La scelta di negare la libertà di scelta

Raffaele Carcano*

Raffaele Carcano

Viviamo in una società che ancora non accetta il suicidio. In cui fa ancora scandalo, in cui si conciona a lungo intorno alle motivazioni che spingono le persone a compiere questo gesto. Persone diversissime fra loro: come, per restare ai casi più recenti, un prete accusato di pedofilia, un diacono a cui è stato negato l’accesso al sacerdozio, un famoso regista cinematografico. Un ministro del culto cattolico, un aspirante tale e un intellettuale dichiaratamente incredulo.
Non intendo avviare confronti sulla malvagità o la fragilità di credenti e non credenti. Vorrei invece fare qualche riflessione sulla libertà di scelta, partendo da uomini che hanno compiuto la scelta estrema. Per don Sergio Recanati e Luca Seidita la morale di riferimento era quella cattolica: una morale predefinita, perché definita nei minimi particolari da altri. Per Mario Monicelli non esistevano morali a cui far riferimento: se non la propria, frutto di un esame della propria coscienza portato avanti per nove decenni. L’approccio alla vita dei non credenti è inevitabilmente personale: sta a ogni singolo individuo scegliere se continuare a soffrire o interrompere definitivamente il dolore. La filosofia laica ha saputo esprimere riflessioni molto alte sul senso della vita, dall’assurdità della stessa così ben evidenziata da Albert Camus fino all’Inconveniente di essere nati e alla Tentazione di esistere di Emil Cioran: che pure morì a 84 anni, vinto solo dall’Alzheimer. Perché il nichilismo può anche essere ateo, ma solo una piccola parte del mondo incredulo è nichilista (con buona pace di Benedetto XVI, che si ostina a sostenere il contrario). L’etica laica si basa sulla qualità della vita, non sulla lotta contro la vita. Il suicidio è un opzione, una possibilità di scelta: non una scelta obbligata.
Del resto, è proprio negli ultimi secoli, quelli caratterizzati dai più imponenti processi di secolarizzazione della storia umana, che il suicidio ha cominciato a ricevere considerazione. Ma sarebbe più corretto scrivere ricominciato: nell’antichità classica il suicidio era persino considerato doveroso, in certe circostanze. Una circostanza parimenti insostenibile, che mostra tuttavia come la libertà di scelta non sia un’esclusiva dei non credenti, ma sia rivendicabile anche da quei credenti che improntano la propria vita alla libertà da ogni dogma. Non è un caso che la continuità negli atteggiamenti verso la morte tra il mondo antico e quello moderno sia stata interrotta soltanto con l’instaurarsi dell’impero cristiano, promotore di leggi liberticide: una di queste, contenute nel Codice di Giustiniano, introdusse per la prima volta punizioni per il tentato suicidio.
Il magistero cattolico preclude la libertà di scelta. Ritiene che la vita sia un dono di Dio: un bizzarro concetto di ‘dono’, va ribadito, perché la persona a cui viene regalato non ne può disporre. La dottrina cattolica esalta ancora oggi la sofferenza, considerandola come una «partecipazione alla sofferenza del Figlio di Dio». I cattolici, non accettando la finitudine dell’essere umano, vogliono prolungare la vita all’infinito: non solo in un’ipotetica e indimostrata realtà ultraterrena, ma anche su questo pianeta, imponendo inutili, umilianti e prolungati trattamenti, anche quando è palese che si stanno trasformando in accanimento terapeutico. E rivendicano anche, purtroppo, l’esclusiva determinazione di ciò che può essere considerato ‘accanimento terapeutico’
Può dunque dare scandalo il suicidio di un sacerdote, perché viola la dottrina che egli stesso è chiamato a insegnare. Non potrà mai farlo quello di un non credente, che non viola alcuna regola e compie una delle tante libere scelte morali che ogni individuo può compiere. Anche un credente: perché nemmeno la Chiesa può impedire a un uomo di uccidersi.
Può però impedire che altri lo aiutino a morire. Fabio Fazio ha colto con estrema precisione questo punto: accettando nella sua trasmissione associazioni che si definiscono pro-vita, avrebbe implicitamente fatto passare Mina Welby e Beppino Englaro quali alfieri della morte. Assurdo. Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro (come del resto Mario Monicelli) amavano ardentemente la vita. Ma ritenevano che vivere tra atroci sofferenze o in uno stato di completa inattività cerebrale, incapaci di poter gestire il proprio corpo, ormai dipendente da macchine violentemente intrusive, non fosse vita.
I laici non chiedono che si interrompa la vita di tutti coloro che si trovano in queste condizioni: rivendicano invece che chi si trova in queste condizioni possa scegliere se continuare o meno a subire ciò che si può legittimamente ritenere un’inutile tortura, anziché una «partecipazione alle sofferenze» di un Signore in cui magari non si crede. La vera contrapposizione non è dunque tra pro-vita e pro-morte, ma tra chi è favore della libertà di scelta e chi vorrebbe invece vietarla. O magari toglierla dall’individuo per consegnarla a medici, a comitati etici pieni di esponenti delle associazioni contrarie a concederla, forse addirittura a sacerdoti, sulla base di leggi e direttive imposte dalle gerarchie ecclesiastiche alla nostra classe politica. Il clericalismo della quale ci avvilisce più di quanto possa riuscirci un premier dedito a festini selvaggi. Perché, entro certi limiti (quelli della sicurezza nazionale, per esempio, o della correttezza nella concessione degli appalti), anche darsi al bunga bunga, finché i partecipanti sono adulti consenzienti, è l’espressione di una libertà di scelta.
Anche il «lasciatemi tornare alla casa del padre» di Giovanni Paolo II fu l’espressione di una libertà di scelta. Politici ed ecclesiastici sembrano purtroppo far proprio il concetto di libertà di scelta soltanto quando la scelta spetta a loro. Scegliendo di negare la libertà di scelta.

In memoria di Mario Monicelli, che tante emozioni ci ha saputo dare, che non ha avuto altra scelta che buttarsi dalla finestra di un triste ospedale

* Studioso della religione e dell’incredulità, curatore di Le voci della laicità, coautore di Uscire dal gregge, segretario UAAR

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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