Il 12 agosto 1956 Lorena Nunziati e Mauro Bellandi si sposarono civilmente a Prato. Lo stesso giorno, il vescovo di Prato, mons. Pietro Fiordelli, indirizzò al preposto della chiesa di S. Maria del Soccorso la seguente lettera, affinché la leggesse ai suoi fedeli:
Oggi, domenica 12 agosto, due suoi parrocchiani celebrano le nozze in Comune, rifiutando il matrimonio religioso. L’Autorità Ecclesiastica ha fatto ogni sforzo per impedire il gravissimo peccato. Questo gesto di aperto, sprezzante ripudio della religione è motivo di immenso dolore per i sacerdoti e per i fedeli. Il matrimonio cosiddetto civile, per due battezzati, assolutamente non è matrimonio ma soltanto inizio di uno scandaloso concubinato. Pertanto Lei sig. Preposto, alla luce della Morale cristiana e delle leggi della Chiesa, classificherà i due tra i pubblici concubini e, a norma dei canoni 855 e 2537 del Codice di Diritto Canonico, considererà a tutti gli effetti il sig. Bellandi Mauro come pubblico peccatore e la sig. na Nunziati Loriana come pubblica peccatrice. Saranno loro negati tutti i SS. Sacramenti, non sarà benedetta la loro casa, non potranno essere accettati come padrini a battesimi e cresime, sarà loro negato il funerale religioso. Solo si pregherà per loro perché riparino il gravissimo scandalo. Infine, poiché risulta all’Autorità Ecclesiastica, che i genitori hanno gravemente mancato ai propri doveri di genitori cristiani, permettendo questo passo immensamente peccaminoso e scandaloso, la Signoria Vostra, in occasione della Pasqua, negherà l’Acqua Santa alla famiglia Bellandi e ai genitori della Nunziati Loriani. La presente sia letta ai fedeli.
Il documento fu letto ai fedeli dal parroco e fu pubblicato sul Bollettino parrocchiale sotto la voce “Richiami”. Il vescovo fu querelato dai Bellandi e Nunziati, fu condannato in primo grado all’ammenda di 40.000 lire e fu prosciolto in appello, in quanto aveva esercitato il suo dovere di buon pastore nei confronti di due battezzati.
Sulla vicenda, si veda l’articolo di Mario Patuzzo pubblicato su “L’Ateo” numero 4/1999