Se ne è parlato, e scritto, molto, e molto se ne parlerà e se ne scriverà ancora, fino al giorno del voto, e anche oltre. Ma da un equivoco – aver definito un conflitto scientifico quello che è un conflitto etico – va subito sgombrato il terreno del referendum. A una democrazia liberale non si può chiedere di dare una riposta a un quesito etico: se l’embrione umano sia qualcosa o qualcuno. Essa può solo limitarsi a contare le teste: non sul quesito etico, bensì sul modo di regolare, attraverso la Legge, la fecondazione assistita e la ricerca scientifica sulle cellule staminali. Tutt’al più, le si può chiedere – come fa la cultura liberale rispetto all’istituto del referendum – di valutare i pericoli di snaturare il concetto stesso di diritto attraverso scelte collettive per quanto democraticamente espresse. […] Solo per il fatto che la Legge di natura sia stata «colonizzata» dalla teologia (cattolica), sarebbe sbagliato ridurre il dibattito odierno a «una partita fra laici e cattolici». Altrettanto sbagliata a me pare, però, anche la posizione di quei «laici (o atei) devoti» che, associando troppo strettamente le origini del liberalismo alla tradizione umanistica del cristianesimo, finiscono col ridurre il liberalismo a una sorta di secolarizzazione-corruzione del cristianesimo; dimenticando che fra i successi del liberalismo c’è anche l’autonomia della scienza dalla teologia, contro le persecuzioni religiose. Sono tutti buoni motivi per andare a votare e far prevalere nel referendum del 12 e 13 giugno le ragioni del «sì».
Piero Ostellino sul Corriere della Sera