La conferenza episcopale ha diffuso oggi le nuove linee guida per trattare i casi di pedofilia che dovessero coinvolgere sacerdoti. Nonostante la più volte annunciata volontà di fare pulizia e garantire trasparenza viene sostanzialmente riconfermato, proprio sulla base dei privilegi concessi dal Concordato, il modus operandi della Chiesa cattolica che tante criticità ha fatto emergere in passato.
Soprattutto durante il pontificato di Benedetto XVI sono scoppiati numerosi scandali sessuali che hanno coinvolto tanti sacerdoti in tutto il mondo. Con la tendenza da parte delle gerarchie non solo a non denunciare e a scoraggiare la denuncia, ma anche ad insabbiare molti casi. Comportamento che ha suscitato una diffusa indignazione e che ha contributo al calo di consensi in diversi paesi, come gli Stati Uniti o l’Irlanda.
Sulla base delle nuove disposizioni Cei, per i vescovi non vi è alcun obbligo di denunciare alla giustizia civile, nel caso venissero a sapere che un prete ha commesso abusi sessuali nei confronti di bambini. Perché il vescovo “nell’ordinamento italiano” non ha “la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio”: quindi “non ha l’obbligo giuridico di denunciare”.
Monsignor Mariano Crociata, segretario generale dei vescovi italiani, conferma la volontà di “cooperazione” con la giustizia italiana. Ma “restano fermi i vincoli posti a tutela del sigillo sacramentale”, si tiene a ribadire nel documento. Ovvero, il segreto confessionale viene tutelato, anche in casi gravi come la notizia di condotte illecite. La cooperazione con l’autorità civile può esservi “nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile”. E, si badi bene, “nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza Episcopale Italiana”.