Qualche giorno fa vicino a Salerno è nata una bambina: gode di buona salute ed è la secondogenita di una famiglia come tante. O forse no. Perché il fratellino è malato di Talassemia major, una malattia del sangue che costringe chi ne soffre a subire frequenti trasfusioni. C’è però una speranza di guarigione per il bimbo: un trapianto di cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale della neonata. Il caso è eccezionale anche per un’altra ragione: il cordone ombelicale, infatti, può essere donato, ma in forma anonima, senza che ci sia la possibilità di indicare il ricevente. La donazione diretta del cordone ombelicale è permessa soltanto nei casi in cui il donatore ha fratelli affetti da patologie curabili con un trapianto emopoietico; il sangue viene prelevato e utilizzato esclusivamente per i consanguinei. Come accade per la donazione degli organi da vivente. Anche la conservazione del cordone ombelicale per uso autologo è vietata in Italia. In molti altri Paesi, invece, le partorienti possono conservare il cordone del proprio bambino come ‘banca privata’ di cellule staminali, qualora ve ne fosse bisogno in futuro. Chi volesse conservare il cordone del proprio figlio deve rivolgersi a banche estere, deve farlo personalmente e deve pagare dai duemila euro in su per la raccolta e una quota annua per la conservazione (vedi, ad esempio, Swiss Stem Cells Bank). Quali sono le ragioni del divieto nostrano? […]
Il testo integrale dell’articolo di Chiara Lalli è stato pubblicato sul blog Bioetica