Non è nuova l’idea di trasformare la scuola statale in un sistema formativo flessibile e pluralista, ridimensionando la funzione di quello pubblico. Ne parlò fin dal 1961 Umberto Pototschnig, se ne fecero interpreti nell’84 cento deputati capeggiati dall’onorevole Casati e, nel ‘95, al Senato, i Ds che trasposero nel Ddl n. 2392 le idee di un documento elaborato da intellettuali e politici di aree culturali diverse (laici, cattolici, evangelici, marxisti, liberali), al quale si contrapposero altri esponenti delle stesse aree con il «Documento su istruzione e democrazia». Parallelamente tra il ‘98 e il 2005 si sono moltiplicati gli interventi di vescovi (il cardinale Ruini mobilitò piazza San Pietro) e dello stesso pontefice (che definì quella italiana un’«infelice anomalia») in favore di un’effettiva parità scolastica con finanziamento dell’istruzione privata. Al di là del tono alto e dello spessore argomentativo, la proposta del cardinale Scola, presentata nell’intervista di ieri al Corriere , sembra andare oltre: allo Stato resterebbe il «governo» delle scuole, ma non l’obbligo di istituirle in quanto create e liberamente gestite da «tutti i soggetti e le realtà associate» che soddisfino «certe condizioni di accreditamento» e che, quindi, avrebbero «diritto e risorse effettive… per aprire scuole e università». Educare non sarebbe più compito dello Stato o della famiglia, ma dei soggetti e delle associazioni, secolari o religiose: nessun ostacolo, quindi, all’apertura di scuole anche islamiche «accreditate» a carico del bilancio statale. […] Ne deriverebbero, ovviamente, la gratuità delle iscrizioni e non pochi problemi a immaginare l’ora concordataria di religione nelle scuole diverse da quelle di tendenza cattolica, mentre in quelle di altro orientamento confessionale sarebbe impossibile non consentire l’istruzione religiosa specifica e in quelle di orientamento «filosofico» vietare, alla luce della Carta Ue di diritti fondamentali, l’ora di ateismo (in Belgio si formano all’università i cappellani atei per gli ospedali).
Non è questa la sede per richiamare in dettaglio i principi della Costituzione in materia, ma è sufficiente ricordare che giuristi e giudici considerano l’istruzione «compito essenziale e indefettibile dello Stato», pienamente rientrante tra i servizi pubblici essenziali che esso è obbligato a erogare in attuazione del preciso dettato dell’articolo 33, mentre tutti i cittadini hanno diritto di ricevere l’istruzione in scuole statali istituite dalla Repubblica e aperte a tutti (articolo 34) su basi di uguaglianza senza distinzione (articolo 3). […] Il dettato costituzionale mostra che l’audace disegno del Patriarca di Venezia è proiettato verso il futuro, ma non sarebbe oggi conforme alla legge fondamentale. Siamo certi che proprio l’ampiezza delle sua proposta escluda scorciatoie legislative statali o regionali. Se essa troverà ascolto in sede politica, si imbocchi con decisione e trasparenza la via della legge di revisione dell’articolo 33. Non è da escludere che anche in questa ipotesi il complesso meccanismo della modifica costituzionale non finisca per ridare la parola, attraverso un referendum, a quel «popolo sovrano» che lo stesso Patriarca definisce «l’arbitro» della questione.
Il testo integrale dell’articolo di Francesco Margiotta Broglio è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera