«Hai infangato il nostro nome. Ucciditi e pulisci la tua vergogna, o noi ti uccideremo per primi». Avete capito male, non è lo spot di qualche film dell’orrore, ma un esempio dell’amara realtà che si vive nelle zone più arretrate della Turchia. Quelli che avete appena letto sono i tetri incitamenti al suicidio arrivati via sms sul cellulare della 17enne turca Derya, che non ha rispettato la rigida «etichetta» coranica. I mittenti sono gli stessi parenti della povera fanciulla, colpevole solo di aver baciato il compagno di scuola. Derya, per fortuna, si è salvata. All’inizio si stava facendo condizionare dall’incessante tambureggiare dei diabolici messaggini, che le arrivavano anche 15 volte al giorno. Sapeva che molti anni fa già sua zia era stata uccisa dal nonno per aver solo guardato un ragazzo. Ha quindi tentato di annegarsi nel Fiume Tigri e perfino di impiccarsi. Ma è sopravvissuta ed è riuscita a trovare rifugio presso la sede di un’associazione per i diritti delle donne, raccontando la sua storia e facendo conoscere al mondo la piaga delle «vergini suicide» turche. Vi è dedicata un’approfondita inchiesta uscita di recente sulle pagine del prestigioso International Herald Tribune. Il fenomeno dilaga da tempo nella profonda Anatolia rurale, fra le città di Batman, Diyarbakir, Bitlis e Kars. Poiché il governo turco, nella sua smania di entrare nell’Unione Europea, ha abolito il delitto d’onore, ecco che la paranoia fondamentalista, cacciata dalla porta, rientra… …in casa dalla finestra. Fra quelle valli bruciate dal sole, se una ragazza si azzarda anche solo a vestirsi all’occidentale o a voler andare al cinema (imitando magari le connazionali che abitano nella grande Istanbul) il marchio del disonore le cade addosso come un macigno. Figuriamoci poi se scambia effusioni col suo ragazzo senza essere sposata. Per aggirare il codice penale ecco dunque scattare un subdolo lavaggio del cervello. Padri, fratelli o zii della malcapitata cominciano a tormentarla in tutti i modi, con frasi alla Stephen King, per spingerla ad autocolpevolizzarsi e a togliersi la vita. In pratica, la «uccidono» senza esporsi ad alcun rischio personale. […]
Il testo integrale dell’articolo di Mirko Molteni è stato pubblicato sul sito della Padania