Plaudo anch’io alla decisione di Zapatero di non andare alla messa, ma non le attribuisco il significato della Menapace. Se la fede appartiene alla sfera della coscienza individuale, come sostiene la cultura liberale, e se Zapatero non è credente, come lascerebbe supporre la sua decisione, egli, non andando a messa, ha semplicemente riaffermato la validità del principio liberale ed esercitato, di conseguenza, la propria libertà di scelta. Se, al contrario, Zapatero è credente e ha deciso di non andare a messa per «rendere più netta la differenza fra i due poteri», egli è caduto – per eccesso di laicismo – in una doppia contraddizione. Ha contraddetto se stesso, come credente, abdicando contemporaneamente alla propria libertà di scelta. Ha contraddetto anche il principio liberale, come laico, ricollocando la fede nella sfera pubblica. Quel che si dice trasformare il laicismo in «religione di Stato». […] Poi, la giornalista di Liberazione va oltre. «I semplici cittadini possono sempre prendere parte a funerali e matrimoni o altre cerimonie religiose per rispetto ai loro amici (…) Ma le autorità pubbliche sarebbe bene che mantenessero una più rigorosa distinzione tra le due sfere, specialmente quando si tratta di una messa, cioè di un evento solennissimo e intrinsecamente di fede». Qui, da liberale, non la seguo più. Innanzi tutto, per la ragione che ho spiegato più sopra, a seconda che la cosiddetta «autorità pubblica» sia o non sia credente. In secondo luogo, per una ragione, diciamo così, più politica. Anche l’uomo politico, che partecipa a una cerimonia religiosa come i funerali di Stato perché credente, non tradisce ugualmente la «distinzione tra le due sfere» – e tanto meno la tradisce se non credente – in quanto egli, in quella circostanza, continua a rappresentare lo Stato, non la propria fede (e tantomeno la Chiesa). E ciò in ossequio alla formula classica liberale e cavouriana «libera Chiesa in libero Stato». Non a caso, infatti, Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti, ha messo in discussione proprio quell’«in» che inserisce la Chiesa nello Stato, negandole un’estensione anche civile che lo trascenda, secondo la concezione illuministica della Rivoluzione francese e dello stesso Primo emendamento del Bill of Rights americano. Che non ha certo impedito la diffusione di un forte spirito religioso, e la sua associazione a un non meno forte senso civico, nella società statunitense. In conclusione. Non mi pare sia laicismo quello della Menapace, che fa una terribile confusione fra sfera della coscienza individuale, libertà di scelta, ruolo dell’uomo politico, credente o no che esso sia, in materia religiosa. A me pare, piuttosto, una bella manifestazione di bigottismo e di clericalismo politici.
Il testo integrale dell’articolo di Piero Ostellino è stato pubblicato sul sito del Corriere della Sera