Dalla Toscana segnali positivi sui diritti riproduttivi

Un passo avanti verso la tutela del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, riconosciuto nel nostro ordinamento dall’ormai lontano 1978, è arrivato dalla seduta del 14 maggio scorso del Consiglio regionale della Toscana sotto forma di risoluzione. Partendo dalla premessa che l’attuale pandemia ha posto alcuni pregiudizi all’esercizio in sicurezza di questo diritto delle donne, la risoluzione approvata con i voti di Si, Pd, M5s e Iv impegna la giunta regionale a intervenire su due direttrici principali: da un lato potenziando il personale non obiettore, che va mantenuto al di sopra del 50% ricorrendo eventualmente a concorsi ad hoc riservati a chi si impegna a rendersi disponibile per la piena applicazione della legge 194, dall’altro garantendo l’aborto farmacologico a livello ambulatoriale e di consultorio, estendendo contemporaneamente il limite temporale entro cui praticarlo a nove settimane.

Si tratta di norme di buon senso, che se introdotte a livello nazionale porterebbero l’Italia ad allinearsi alla maggior parte delle nazioni attente ai diritti riproduttivi. Ricordiamo che allo stato attuale da noi l’Ivg farmacologica andrebbe praticata in regime di ricovero ordinario non inferiore a tre giorni, anche se poi nella maggior parte dei casi le utenti si dimettono volontariamente dopo aver assunto il farmaco, e comunque non può essere praticata oltre la settima settimana di amenorrea. Regole inutilmente limitanti, figlie di una cultura che nega la possibilità di scegliere se portare avanti o meno una gravidanza indesiderata, e che inoltre vede nel dolore il mezzo per l’espiazione del peccato.

L’ideologia è però un termine di valutazione soggettivo. Per i paladini della maternità obbligatoria, quando non addirittura coercitiva, degna di realtà distopiche, a essere ideologiche sono proprio iniziative come quella del consiglio toscano. Angelo Passaleva del Cav fiorentino parla infatti di “banalizzazione dell’aborto” facendo leva sul dramma delle migliaia di morti causate dalla Covid19, il tutto citato in un articolo che paradossalmente punta il dito proprio sul presunto uso strumentale dell’emergenza sanitaria tuttora in corso. Di qualità della vita e salvaguardia della salute delle donne, attuata anche permettendo loro di stare lontane dagli ospedali in questo momento difficile, parlano invece i consiglieri promotori Sarti, Spinelli e Pecori. Pro e contro che in pratica si lanciano reciproche accuse utilizzando i medesimi argomenti.

FdI in un suo comunicato punta invece sui diritti inviolabili elencati nella Costituzione dai quali discenderebbe una sacralità della vita disattesa dalla risoluzione del consiglio regionale toscano. Già questo sillogismo arbitrario è di per sé discutibile, se non altro perché fu proprio la Corte costituzionale a dichiarare l’ammissibilità dell’aborto alla luce del dettato costituzionale. Il vero e proprio scivolone sta però nella dichiarazione attribuita a Emanuela Busetto, secondo cui la Ru486 non sarebbe altro che la pillola del giorno dopo, di norma assunta entro 72 ore dal rapporto, che alla luce di quanto richiesto dal Consiglio verrebbe invece somministrata, secondo Busetto, alla nona settimana di gestazione. Un granchio colossale, poiché la pillola del giorno dopo è un anticoncezionale che non ha nulla a che vedere con la Ru486, che è appunto il farmaco abortivo. E meno male che Busetto stessa dichiara poi «il libero arbitrio scaturisce dalla conoscenza altrimenti è arbitrario». Appunto Busetto, appunto: la conoscenza.

Massimo Maiurana

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3 commenti

Engy

Io farei ogni tanto un discorso un po’ più di ampio respiro e allora sottolineerei un’evidenza e cioè che fin dall’inizio della pandemia la sanità pubblica italiana, anche quella migliore sulla cara, è saltata ed è stata capace soltanto di occuparsi di Covid, a volte facendo danni tragici (vedi il discorso delle rsa dell’Emilia-Romagna e della Lombardia).
Quindi è evidente che quello che già funzionava difficoltosamente prima (tipo ivg), non può essere migliorato in piena emergenza da covid-19.
Sarebbe però opportuno denunciare una situazione sanitaria bloccata in generale, non fossilizzarsi sempre e solo sull’aborto e dunque denunciare un sistema sanitario che, per responsabilità decennali della politica, si è di fatto paralizzato e ha trascurato patologie diverse e anche gravi o di media gravità, ha bloccato la chirurgia di elezione, allungato ulteriormente le liste d’attesa: io per prima e alcuni miei familiari in questi giorni abbiamo dovuto far ricorso, per motivi non banali, a prestazioni a pagamento, tipo RM, il che non è molto piacevole, soprattutto per chi ha limitate risorse economiche!

RobertoV

Non so quale sia la situazione in Emilia Romagna, ma quello che segnali è abbastanza normale in Lombardia. I tempi di attesa nel pubblico diventano sempre più lunghi ed ormai spesso sono di parecchi mesi o addirittura possono arrivare ad un anno se non ti accontenti di farli in qualche ambulatorio minore con standard ovviamente differenti. Mi hanno appena spostato una visita di controllo, già rinviata di 6 mesi, di altri 6 mesi a fine novembre. E questo nonostante il soccorso di tante cliniche private convenzionate, cioè che ricevono lauti rimborsi per offrire visite col sistema sanitario nazionale, nonostante offrano standard differenti se fai la visita privatamente o in convenzione. Queste cliniche ti offrono apertamente o velatamente le alternative: parecchi mesi di attesa con la sanità pubblica o pochi giorni se vai al privato. Alla fine uno opta spesso per il privato, soprattutto se le proprie aziende hanno assicurazioni private o convenzioni che danno rimborsi parziali, cosa diffusa in Lombardia. Contano sul fatto che comunque sia una regione ricca e dove la gente lavora. Cioè è un sistema costoso. Ovviamente gli ospedali e cliniche private si tarano in modo da massimizzare i guadagni dal pubblico. Purtroppo anche il pubblico viene gestito in una logica efficentista: pochi letti sfruttati al massimo (degenze ridotte all’osso) e pochi medici ed infermieri per ridurre i costi, limitazione delle visite effettuabili. Poi quando ci sono emergenze salta tutto perchè non ci sono margini.
In più hanno messo ai medici di base tanti vincoli in modo da ridurre la possibilità di prescrivere esami. E’ difficile ottenere una prescrizione di RM col sistema sanitario nazionale e dopo ci sono parecchi mesi di attesa, meno se le macchine sono vecchie.
Per l’aborto il problema ulteriore è che può essere effettuato solo nelle strutture autorizzate, limitando quindi la disponibilità. Ed ovviamente i tempi sono stretti.

Engy

Mah, sulla carta quello della Emilia-Romagna è il migliore o tra i migliori servizi sanitari nazionali (già Nanni Moretti, in un vecchio film, Aprile, contribuiva ad alimentare il mito del modello emiliano-romagnolo), ma anche qui ad esempio da decenni non si sfugge all’efficientismo di cui parli, alle degenze ridotte al minimo, ecc…
Sicuramente la regione ER ha affrontato la emergenza da covid-19 non privilegiando soltanto l’assistenza ospedaliera, ma contando su di una rete di servizi territoriali che hanno seguito i pazienti al proprio domicilio…

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