In Turchia si riacutizza il conflitto tra laici e islamisti. Con questi ultimi da anni ormai al potere e avidi di posizioni, per piazzare uomini fidati in tutte le istituzioni. L’obiettivo è smantellare la tradizionale laicità turca imposta da Ataturk, ma non solo. A farne le spese, in questa pesca a strascico, tutta una serie di diritti e libertà, come sanno bene le componenti non allineate all’islam più conservatore.
Un mese fa il governo di Erdogan ha nominato il nuovo rettore dell’università di Boğaziçi, uno degli atenei più prestigiosi e dinamici della Turchia. È Melih Bulu, un personaggio controverso noto per la lunga militanza nel partito al potere, le posizioni dure e l’aggressività sui social. Come quando rispose su Twitter alle critiche degli studenti dell’università di Haliç, di cui era rettore, con un account fake. Scavalcando le procedure tradizionali, l’esecutivo lo ha incaricato per decreto a capo di Boğaziçi, senza elezione del senato accademico. Ciò ha suscitato la protesta di tantissimi studenti, che si sono mobilitati nel campus, incontrando fin da subito la dura reazione poliziesca. Gli universitari si sono dati appuntamento ogni giorno per protestare in maniera pacifica davanti all’ufficio del rettore, facendo sit in ma dandogli le spalle. Anche i docenti hanno accolto con freddezza Bulu, esterno a quella comunità accademica e imposto dall’alto. Il partito di opposizione Hdp si è schierato con i manifestanti e contro l’ennesima deriva del regime del “sultano” Erdogan.
Gli studenti laici di Boğaziçi hanno dato vita per protesta anche a una mostra, con foto e immagini sui temi dei diritti civili e della libertà di espressione. È stata questo il pretesto per intensificare la repressione governativa. A scatenare i politici confessionalisti, infatti, un’opera di quattro studenti giudicata blasfema. In cui una immagine della Kaaba – l’edificio a La Mecca in cui è custodita un’antica pietra venerata dai musulmani – vede al centro una Shahmaran (creatura del folklore mediorientale metà donna e metà serpente) e ai quattro angoli delle bandiere arcobaleno in varie tonalità. Secondo gli autori, l’immagine della donna-serpente della tradizione anatolica è “un’acuta satira all’autorità patriarcale degli uomini”: l’obiettivo è incoraggiare l’emancipazione femminile e mettere in discussione le “norme sociali di genere”.
L’esposizione è stata presa di mira e vandalizzata da gruppi islamisti, senza interventi della sicurezza. Mentre i media vicini al governo, come il quotidiano conservatore Yeni Şafak, contribuivano all’opera di delegittimazione. Le autorità hanno aperto inchieste nei confronti dei giovani accusati di offendere i sentimenti religiosi. I quattro studenti coinvolti nell’allestimento dell’opera sono stati arrestati. Per l’ufficio del governatore di Istanbul è infatti un “brutto attacco” che “deride” la religione. Il direttore degli Affari religiosi Ali Erbaş ha incolpato gli studenti di “innumerevoli attacchi ai valori islamici”. Pure il nuovo rettore si è lanciato in un altro tweet aggressivo, poi rimosso, denunciando “l’attacco alla santità dell’islam” con tanto di hashtag contro il “disonore lgbt”.
È sceso in campo pure il ministro degli Interni Süleyman Soylu, che trionfante ha proclamato in un impeto omofobo: “quattro deviati lgbt che hanno mancato di rispetto alla magnifica Kaba sono stati incarcerati”. La polizia in assetto antisommossa è stata mandata dentro al campus. Mentre fioccano gli arresti: almeno 159, in gran parte studenti che stanno protestando in maniera pacifica per manifestare il dissenso verso Bulu.
Stavolta il teatro della battaglia è l’università di Boğaziçi, tra le zone franche – forse ancora per poco – oggetto delle brame di Erdogan e del suo partito islamico Akp. Una delle isole di cultura dove ancora resiste un’attitudine liberale e aperta, nella marea montante del conformismo conservatore che si alza in Turchia. Ma dove rischia di ripetersi un copione già visto, con le proteste di diversi anni fa a piazza Taksim e nel parco Gezi.
Valentino Salvatore