Solo pochi giorni fa l’arcidiocesi di Agrigento confermava in una conferenza stampa il riconoscimento del martirio e la prossima beatificazione di Rosario Livatino, giudice e devoto cattolico ucciso dalla mafia, auspicando che la data scelta per tale rito coincidesse con il 9 maggio, giorno in cui nel 1993, Karol Wojtyla, l’allora capo del movimento cattolico, criticò la mafia in un suo discorso, evento considerato addirittura storico e precursore della liberazione della chiesa dalla criminalità organizzata, sebbene per menti meno metafisiche di quelle cattoliche sia difficile comprendere come ci si possa liberare di qualcosa con la quale si è invischiati fino al collo in loschi giri di affari internazionali, finanziamenti e riciclaggio di denaro sporco. Come disse monsignor Marcinkus, il banchiere di dio, che tra soldi e bella vita era metafisico quanto un sanpietrino, “la chiesa non si governa ad avemarie”.
E mentre la chiesa propone il suo ennesimo spot pubblicitario, appropriandosi a posteriori dello sforzo di un singolo uomo per trasformarlo in un vessillo dietro cui nascondere la propria inadeguatezza, non si può fare a meno di pensare come, nel frattempo, ben poco sia cambiato.
I mafiosi continuano a celebrare matrimoni, battesimi e funerali in pompa magna e nelle loro città, nei loro quartieri, statue, altarini e cappelle votive, sono uno dei segnali più chiari della loro presenza e del loro potere, per non parlare di come le onnipresenti manifestazioni religioso-folkloristiche cattoliche, restino una costante occasione per onorare o commemorare gli esponenti della mafia locale che spesso hanno contribuito all’organizzazione e al finanziamento delle stesse. E così a settembre 2019 una madonna si inchina a un boss a Ventimiglia e a giugno 2019 un’altra lo fa a Caserta, mentre nel 2015 il clan dei Casamonica celebrava un funerale a dir poco bombastico presso la chiesa “Don Bosco” di Roma, addobbata per l’occasione con vari striscioni tra i quali citiamo “Vittorio hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso” corredati di una gigantografia del defunto, crocifisso in bella vista, con il Colosseo e San Pietro a fare da sfondo. In quell’occasione a don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, partì un mezzo embolo, ed è interessante ricordare anche come nella stessa chiesa, il cardinal Ruini negò il funerale a Piergiorgio Welby colpevole soltanto di essersi opposto all’accanimento terapeutico e di aver scelto di porre fine alla propria vita con l’eutanasia. Quando si dice priorità.
«Oh ma la chiesa ha espresso varie volte la sua ferma posizione contro la mafia», obietterà il buon cattolico, dicendo chiaramente che i mafiosi sono brutti e cattivi e che dovrebbero proprio smetterla di uccidere persone usando i simboli della loro religione mentre lo fanno.
In effetti, dopo una lunga storia di connivenza, collaborazione e omertà (ricordiamo la celebre risposta del cardinale Ruffini “A quel che ne so io [la mafia] è una marca di un detersivo” o la latitanza del sanguinario e religiosissimo boss Aglieri con tanto di cappella privata e di frate che gli celebrava la messa a domicilio, negli ultimi anni ad intervalli più o meno regolari, la chiesa ha palesato il suo impegno contro la mafia sotto forma di altisonanti discorsi e severi moniti che gli hanno fatto guadagnare il plauso internazionale senza che dovessero effettivamente muovere un dito. Tanto sul campo ci sono i vari don Ciotti, Pino Puglisi e Giuseppe Diana, a lottare davvero e a farsi ammazzare, persone che con i salotti del Vaticano hanno ben poco a che fare ma che sulle spalle portano l’impossibile compito di riscattare l’inerzia di un’istituzione persa nei suoi privilegi e nella sua autoreferenzialità.
Nel 2014 Jorge “Francesco” Bergoglio, attuale papa, arrivò a tuonare che i mafiosi erano scomunicati, affermazione dall’incredibile potenziale sociale… se solo fosse stata vera. Sette anni dopo infatti, non c’è traccia di procedimenti o documenti ufficiali della suddetta scomunica, che rimane prerogativa di chi compie un aborto o si macchia dei pittoreschi peccati di eresia, apostasia, scisma e simonia, colpe molto più gravi, pare, rispetto ai reati dei mafiosi che anzi, possono tranquillamente ambire al paradiso, come ci assicura ad esempio don Renzo D’Ascenzo, parroco aquilano e assistente spirituale del boss camorrista Raffaele Cutolo il quale si dice certo dell’ascesa celeste del suo “amico”, una “vera autorità” in campo mafioso.
D’altra parte, se nemmeno abusare di un bambino è una colpa abbastanza grave da meritare la scomunica, perché mai dovremmo stupircene?
In tanti anni, la chiesa non ha trovato cinque minuti per creare una scomunica ad hoc per i preti pedofili, probabilmente troppo impegnata ad occultare e mettere a tacere gli scandali o a demonizzare anticoncezionali e diritti riproduttivi. Sembra quasi di sentirlo padre Pizzarro, geniale personaggio di Corrado Guzzanti, spiegare che “A noi [della chiesa] ci interessa la vita dal concepimento alla nascita, già un quarto d’ora dopo non gliene frega più niente a nessuno”.
E non stiamo nemmeno parlando di prendere provvedimenti reali, come il licenziamento e la denuncia alle autorità competenti, ma di fare bidibi-bodibi-bu: considerando che si tratta di un’istituzione che pretende di stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, di determinare la nostra esistenza, influenzare la società e le sue leggi in quanto auto-proclamato modello di perfezione morale e spirituale, depositario dell’unica verità universale, questo livello di impegno non è nemmeno vagamente vicino all’accettabile.
Ma tant’è e tutte le osannate rivoluzioni della chiesa cattolica, come anche le presunte aperture ai divorziati e agli omosessuali, continuano ad esistere solo nella narrativa edulcorata dei giornalisti e nella fantasia di quelle anime candide che ancora riescono onestamente a domandarsi cosa abbiano mai in comune religiosità e crimine organizzato. La risposta è cosa non hanno in comune.
È quasi banale citare gli aspetti più semplici e di immediato paragone: ci sono le gerarchie, i riti di iniziazione, le scenografie pacchiane, il culto della personalità, ma è solo la punta dell’iceberg. Ciò che fa davvero schiantare il Titanic della ragione è la filosofia alla base di tutto, una filosofia che maschera l’annichilimento con l’umiltà, l’abbrutimento con la semplicità, l’ignoranza con la purezza, impacchettata e spacciata attraverso una retorica pericolosamente potente, in grado di giustificare l’ambivalenza a livelli patologici, come quella di chi vive negli agi, accumula ricchezze, giudica e condanna il suo prossimo, rifilando poi alla gente storielle su umiltà, povertà, crune di aghi, pagliuzze, travi e compagnia bella.
Con questo doppio standard come chiave di volta, un mafioso può vivere la sua esistenza di criminale e credente senza rimorso, convinto che la propria devozione possa giustificarlo agli occhi dell’unico, vero giudice, che nella sua infinita saggezza e bontà capirà le sue ragioni e lo perdonerà.
C’è chi in tutto questo, presenta la chiesa come unica vera vittima delle circostanze (la chiesa stessa in primis) e in un certo senso, vittima lo è, imprigionata nella gabbia di amoralità che essa stessa ha costruito perpetrando vuoti dogmi, fini a sé stessi. Non importa quanto alacremente stia provando a ripulire la propria immagine, dopo aver alimentato ed essersi ingrassata per secoli con le forme più chiassose e morbose di devozione popolare, ora non può semplicemente nasconderla sotto il tappeto.
Il popolo vuole il suo spettacolo, i costumi, le litanie, i rituali, soprattutto vuole quel senso di superiorità morale facile, ottenuto senz’altro sforzo che accettare lo status quo.
Praticamente come premiare un pesce perché sa stare nell’acqua.
Ma dall’accettazione acritica di un dogma non si può sviluppare una vera coscienza morale.
Non è certo un caso se quasi il cinquantacinque percento dei carcerati italiani si dichiara cattolico (Statista 2016), come non è un caso che in alcune delle peggiori organizzazioni criminali del mondo la devozione religiosa sia una costante.
L’esaltazione della cieca devozione, l’idea che esistano una legge e un ordine superiori alle mere faccende umane, che solo pochi eletti hanno il diritto di amministrare senza dover dimostrare null’altro che essere i più esaltati di tutti per farlo, sono la formula dell’anti-evoluzione umana e sociale ossia la condizione perfetta perché una religione, ma anche un’organizzazione criminale, prosperino. Dopotutto, come dice il loro libro magico, chi semina vento, raccoglie tempesta.
Federica Renzoni
«…la chiesa propone il suo ennesimo spot pubblicitario, appropriandosi a posteriori dello sforzo di un singolo uomo per trasformarlo in un vessillo dietro cui nascondere la propria inadeguatezza…»
E già si ripete lo stesso copione: il tigi-rai-dio parla in apertura del diplomatico ucciso, con le parole di costernazione del governo? no! con quelle di Sua Banalità, il quale ha già messo il cappello sull’edificante martirio di un devoto e bla bla bla…
Complimenti all’autrice dell’articolo. Apprezzo sempre la prosa creativa… 😆
A proposito di mafie :
La Camorra, l’Ndrangheta, Cosa Nostra e dal 1970 la Sacra Corona Unita nelle Puglie sono le 4 mafie italiane con ramificazioni ben oltre i confini…
Il peso di queste quattro entità è stimato all’8% del PIL, ovvero tra i 130 ei 180 miliardi di euro per un utile netto compreso tra i 70 e gli 80 miliardi di euro all’anno. Possiamo sempre discutere di queste cifre fornite dai datori di lavoro italiani, Confesercenti, e da un istituto specializzato, l’Eurispes. Fornisce comunque una scala di valutazione per il problema. La criminalità costituisce così in Italia la principale industria del paese, il suo principale segmento economico e probabilmente anche la sua principale esportazione.
Da notare che il sistema bancario del Mezzogiorno è sempre più propenso alle infiltrazioni mafiose. Un’ottima relazione della Corte dei conti italiana nel 2011 spinge quindi a essere molto attenti. L’Italia ha fatto di questo tema una priorità nella lotta alla mafia: i risultati sono limitati. Il rapporto rileva che quasi il 53% dei beni pignorati è inutilizzato, in particolare a causa della lentezza del procedimento: dai sette ai dieci anni per il sequestro definitivo del bene. Dal 2006 al 2009 le autorità italiane hanno sequestrato 425 milioni di euro di merci a Cosa Nostra (59% in totale), 189 milioni di euro in Camorra (26% in totale), 90 milioni in Ndrangheta (12%), 9 milioni a Sacra Corona Unita (1%) e 16 milioni ad altre organizzazioni (2%). Cosa vediamo? Il divario tra il giro d’affari delle mafie italiane (130-180 miliardi di euro all’anno) e le confische annuali (729 milioni di euro) è abissale….
Dimenticavo : chi ha governato per 60 anni l’Italia? I comunisti, Pannella, o un partito cattolico tanto venerato in Vaticano che si chiamava “Democrazia Cristiana”?
Basti ricordare un episodio esemplare : ricordate come Bergoglio,all’inizio del pontificato,durante un discorso,rivolgendosi idealmente ai mafiosi,si lascio’ sfuggire:
“Siete tutti scomunicati !” ?
E come la Curia si affretto a chiarire l'”equivoco ” ?
Allo stesso modo in cui chiari’ altri “equivoci” analoghi dovuti all'”impulsivita” del titolare,che nel tempo ha finito col correggersi.
“dall’accettazione acritica di un dogma non si può sviluppare una vera coscienza morale.”
Concordo in pieno e i danni che la chiesa ha causato promuovendo lo sviluppo di questa coscienza morale vuota, facile, come dice l’autrice, purtroppo si riflettono ben al di là della parrocchia…Questo paese ha una spaventosa carenza di solidi principi, principi veri, che permettono ad un popolo di evolversi e migliorare.
Vi ricordate quel personaggio di Toto al quale i compaesani fanno credere di essere morto e all’Inferno ?
Se servendosi di droghe,effetti speciali ecc si convincesse allo stesso modo un mafioso di essere finito all’Inferno per l’eternita e irrimediabilmente,possiamo star certi che manifesterebbe tutto il suo sdegno per il tradimento di un Padreterno che
non ricambia la generosita da lui mostrata verso i suoi rappresentanti (vale a dire i soldi mollati a preti,vescovi e c)
Non dimentichiamo che mafia,camorra e simili sono senza ombra di dubbio fenomeni culturali,le cui origini datano da fattori geopolitici,in primo luogo secoli di malgoverno borbonico.
Una cultura che per generazioni ha segnato profondamente chiunque vi sia cresciuto,e che presentava notevoli tratti di una vera religione autonoma,per cui il timore ispirato dalla mafia non era puramente fisico,ma per certi versi mistico.
Certi riti di iniziazione non erano puramente formali.
Un tempo il fenomeno del “pentitismo” sarebbe stato inconcepibile anche da parte di chi fosse caduto in disgrazia , e pur sapendo segnato il proprio destino non si sarebbe mai sognato di appellarsi alle autorita.
Di qui possiamo vedere che un certo cambiamento di mentalita,per quanto lento sia,avviene anche in quelle zone,e questo,lentamente ,intacca il potere della mafia.
Il problema e’ che nel corso degli ultimi decenni il potere della autorita,mai eccezionale, sembra essersi indebolito ancora di piu’,cosa che ha favorito il diffondersi di fenomeni mafiosi in tutto il paese.
Lo Stato è perdente in partenza di fronte a una organizzazione che usa la violenza in modo estremo, mentre lo Stato deve osservare le regole, spesso fino ai confini della dabbenaggine.