Da (soli) cinquanta anni in Italia è legale la contraccezione. Ormai è consentito non solo utilizzarla, ma anche fare informazione sul tema. Almeno in teoria, perché c’è ancora tanta strada da fare. E resistenze culturali, soprattutto retaggio del moralismo religioso, da superare.
Proprio il 10 marzo del 1971 la Corte costituzionale, con la storica sentenza n. 49, ha abrogato l’articolo 533 del Codice penale che puniva con l’arresto fino a un anno o con una multa “chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse”. Un residuo del vetusto impianto fascista dato alla normativa dal ministro Alfredo Rocco, ma che ancora sopravviveva nell’Italia liberata: il relativo titolo del Codice sui “delitti contro la integrità e la sanità della stirpe” venne spazzato via molto più tardi da quella ventata di rinnovamento sociale e culturale che stava soffiando sul nostro paese.
A promuovere questo cambiamento storico, all’epoca impensabile, l’intenso e pionieristico impegno dell’AIED, l’Associazione italiana per l’educazione demografica. Fondata nel 1953, diventa “un’isola laica e razionale in un paese per lo più prigioniero di culture regressive”, come sintetizza il radicale Massimo Teodori nella recensione del libro di Giancarlo Porta dedicato alla sua storia. Il suo lavoro faticoso in una società dominata dal bigottismo cattolico per promuovere una corretta informazione scientifica e l’autodeterminazione delle donne porta i suoi frutti molto tempo dopo. Uno degli animatori dell’AIED – e che ne diventa poi anche presidente onorario – è stato il compianto Carlo Flamigni: persona dalla sensibilità laica (ci onorò di presiedere anche l’Uaar), ginecologo noto a livello internazionale, da sempre al fianco delle donne per sostenerne i diritti riproduttivi. Intesi in senso più completo: fornire gli strumenti tanto per portare avanti una gravidanza con i progressi della scienza (anche mediante procreazione assistita) quanto per scegliere di non subirla (con la contraccezione e, quando necessario, l’aborto). Tra i fondatori dell’associazione da ricordare pure lo psicologo Luigi De Marchi, molto attento alle conseguenze nefaste dell’esplosione demografica, che viene coinvolto nel caso che porta al pronunciamento della Consulta.
Il simbolo del cambiamento rivoluzionario e della liberazione sessuale nella cultura di massa diventa “la pillola”. Commercializzata in Europa dal 1961, la pillola anticoncezionale viene autorizzata in Italia nel 1967 solo per limitati casi. Non basta superare lo scoglio della Suprema corte sulla contraccezione. Bisogna aspettare il 1976 affinché il Ministero della Sanità ne sblocchi la vendita. L’anno prima arriva l’istituzione dei primi consultori pubblici, così da fornire informazioni corrette e supporto su controllo delle nascite e metodi contraccettivi.
Il processo di evoluzione dei costumi negli anni settanta ha portato anche a riforme come la legalizzazione dell’interruzione della gravidanza e al divorzio. Nonostante la strenua opposizione della Chiesa cattolica e la costante ingerenza politica dei papi. Già Paolo VI nel 1968 proibiva nell’enciclica Humanae Vitae anche la contraccezione, ammonendo gli stati a non intervenire: probabilmente aveva sentore di quel che sarebbe accaduto. La sua posizione d’altronde viene ripresa nel Catechismo, e rimane quella ufficiale della dottrina. Mentre l’uso del preservativo viene sempre più sdoganato (complice un giudizio meno colpevolizzante sulla sessualità maschile), per le donne rimane più complicato accedere alle altre forme di contraccezione. Uno dei cascami della legge 194 in Italia è infatti l’obiezione di coscienza, prontamente strumentalizzata non solo per negare l’accesso all’aborto ma anche alla contraccezione d’emergenza. Intanto i progressi medici mettono a disposizione pure la pillola dei cinque giorni dopo: il problema è quando i farmacisti si rifiutano di venderla, invocando strumentalmente e illegittimamente l’obiezione di coscienza. In questi anni i movimenti cattolici integralisti si sono inoltre infiltrati massicciamente nei servizi sociali e nella sanità, nel nome della sussidiarietà confessionalista, contribuendo a creare non poca confusione e aggiungendo ostacoli.
I tentativi di promuovere una corretta educazione sessuale nelle scuole in maniera sistematica sono naufragati. Ancora più grave quando il tema viene invece affrontato dai docenti di religione cattolica: figure non solo scelte dal vescovo, ma che devono impartire insegnamenti “in conformità” con la dottrina della Chiesa. Il tema rimane un tabù rispetto al quale nessuna forza politica sembra volersi esporre seriamente. L’Italia rimane indietro rispetto ad altri paesi, è difficile anche fare divulgazione. Persino l’ironica campagna di informazione ministeriale che invitava i giovani a usare il profilattico, con protagonista Lupo Alberto, subì l’anatema delle forze cattoliche. Solo nel 2020 è stata eliminata l’autorizzazione preventiva del Ministero della Salute per poter pubblicizzare i preservativi.
Lo scenario che si prospetta per il nostro paese è incerto. È vero, è possibile accedere a più informazioni pure su sessualità e contraccezione. Ma molti ragazzi si “formano” da autodidatti su internet e spesso non imparano a scuola certe nozioni. Secondo il Contraception Atlas 2020 infatti l’Italia si avvicina ai livelli dell’Est Europa: solo il 48% delle donne in età fertile (o i loro partner) utilizza i contraccettivi moderni; si rileva che sebbene siano disponibili i contraccettivi e il sistema sanitario in generale funzioni, latitano educazione sessuale e campagne informative per ridurre lo stigma.
La promozione dei metodi contraccettivi, che non si riduce come vorrebbe qualcuno nell’ingurgitare una pillola o indossare il cappuccio, è fondamentale per una società più laica. Significa emancipazione delle donne – come degli uomini – per vivere con più libertà e consapevolezza la propria sessualità, scegliere se e quando costruire una relazione e avere un figlio. Per una vita che risponda di più alle proprie aspirazioni, e meno alle pretese di qualche autorità terrena o (che si professa) divina. Problemi molto acuti nei paesi in via di sviluppo, dove il family planning serve a combattere mortalità femminile, matrimoni forzati e precoci, abbandono scolastico, disparità tra uomo e donna, ottuso tradizionalismo. Non è un caso che, oggi come ieri, le religioni puntino sul familismo e sul natalismo: come non è un caso che contraccezione faccia rima con secolarizzazione.
Valentino Salvatore
La maggiore tolleranza che da sempre, chiesa esclusa, c’è nei confronti del preservativo è dovuta soprattutto al fatto che serve anche a prevenire le malattie sessualmente trasmissibili, e infatti il termine, come il suo sinonimo “profilattico”, rinvia a questa funzione: evidentemente si stigmatizzava la sessualità extraconiugale (soprattutto delle donne) ma non si arrivava al punto di impedire ai maschietti che andavano con le prostitute di proteggersi dalla gonorrea e dalla sifilide (l’AIDS ancora non era conosciuto). All’uso prevalentemente postribolare del profilattico si può ricollegare l’avversione che fino a tempi non lontani molte donne avevano nei confronti di questo contraccettivo: alcune preferivano rimettersi alla prudenza del partner, cioè al coito interrotto, aumentando il rischio di gravidanze indesiderate, piuttosto che “sentirsi trattate come prostitute”.
Attualmente mi risulta che in quel poco di educazione sessuale che si insegna nelle scuole il preservativo sia stato sdoganato soprattutto presentandolo come protezione dall’ AIDS. Non che, ovviamente, non sia importante tutelare la propria salute, ma non è certo l’AIDS il pericolo maggiore che corrono due ragazzini di 15 – 16 anni, magari entrambi al loro primo rapporto! Mettere in primo piano un pericolo abbastanza remoto rispetto a quello ben più concreto mi è sempre sembrato un ulteriore segno dell’ipocrisia a sfondo clericale con cui sono trattati certi temi. Evidentemente raccomandare ai ragazzini e alle ragazzine di stare attenti prima di tutto alle gravidanze indesiderate può urtare la sensibilità dei buoni cattolici, molto meno metterli in guardia da una gravissima malattia (sebbene, per essere precisi, la chiesa condanni sempre e comunque l’uso del preserevativo). Insomma il preservativo viene tollerato come “male minore” rispetto all’AIDS, ma non rispetto ad una gravidanza non voluta. O sono forse io a pensare male?
A maggior colpa di quelli, segnalo che esiste uno “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, curato dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS, il cui scopo è di presentare un:
“Quadro di riferimento per responsabili delle politiche, autorità scolastiche e sanitarie, specialisti.”
Originariamente lo Standard fu pubblicato nel 2010 in Germania a cura del “Centro federale per l’educazione alla salute” di Colonia. Alla stesura dello Standard hanno partecipato numerosi esperti.
Non è superfluo aggiungere che tra i nomi indicati l’Italia e gli italiani sono assolutamente assenti.
In Italia lo Standard fu presentato dalla FISS -Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica- che ha steso la traduzione del testo originale nella nostra lingua.
Vale la pena di riportare qui l’inizio della prefazione dello Standard: “La regione europea dell’OMS si trova difronte a numerose sfide riguardanti la salute sessuale: i tassi crescenti dell’HIV e di altre infezioni sessualmente trasmesse (IST), le gravidanze indesiderate in adolescenza e la violenza sessuale, solo per citarne alcune. Bambine e bambini, ragazze e ragazzi sono determinanti per il miglioramento della salute sessuale generale. Per maturare un atteggiamento positivo e responsabile verso la sessualità, essi hanno bisogno di conoscerla sia nei suoi aspetti di rischio che di arricchimento. In questo modo saranno messi in grado di agire responsabilmente non solo verso se stessi ma anche verso gli altri nella società in cui vivono…Inoltre il presente documento vuole contribuire a introdurre l’educazione sessuale olistica. L’educazione sessuale olistica fornisce a bambine/i e a ragazze/i informazioni imparziali e scientificamente corrette su tutti gli aspetti della sessualità e contemporaneamente li aiuta a sviluppare le competenze necessarie ad agire sulla base delle predette informazioni, contribuendo così a sviluppare atteggiamenti rispettosi ed aperti che favoriscono la costruzione di società eque…”
Cosa si può pensare se non che viviamo in un paese servo e vile, schiavo di chi agisce “non per timore umano” e che ai nostri politici sta bene la nostra servitù e la nostra schiavitù? Ecco perché a scuola non c’è educazione alla sessualità e ai sentimenti.
Vale la pena di aggiungere una considerazione sul femminicidio, fenomeno che in Italia ha raggiunto livelli spaventosi, che alimentano notizie a frequenza praticamente giornaliera, e che è comportamento certamente legato alla educazione del maschio fin dalla fanciullezza per superare quel patriarcato e quel maschilismo in cui sono maestri quelli che agiscono “non per timore umano”: “Non è possibile tentare una risposta che sia solo repressiva, anche perché i posti in galera sono limitati, e quelli per le donne nelle strutture protette ancora di più. Il femminicidio nasconde un fenomeno che coinvolge decine di migliaia di persone: una vera e propria colpa di massa. La soluzione può essere soltanto culturale: imporre la formazione alle pari opportunità nelle scuole di ogni ordine e grado, obbligatoria e con voto…Un po’ come hanno fatto in Colombia per quanto riguarda l’educazione sessuale, materia obbligatoria di studio dall’asilo alle università, che, nel giro di una decina d’anni, ha fatto diminuire il tasso di nascita da percentuali da Terzo Mondo a numeri europei. ( Michela Zucca Storia delle donne /da Eva a domani)”
D’altronde dopo 5000 anni di patriarcato, che ancora in quegli ambienti continua, cosa poteva succedere nel momento in cui le donne hanno chiesto niente più che il rispetto della persona?
E non bisogna dimenticare la omofobia e la transfobia che nascono sollecitate da quegli stessi ambienti e si manifestano sempre per profonda ignoranza.