Poiché lo stato non vuole informare sul meccanismo fiscale dell’8×1000, l’Uaar lo fa al suo posto, ne parla Manuel Bianco sul n. 4/2020 della rivista Nessun Dogma.
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«Ah, quindi volete che i contribuenti destinino all’Uaar il loro otto per mille?» Questo è quello che mi ha chiesto un produttore di video informativi dopo avergli introdotto la proposta di realizzare un’animazione per spiegare come funziona l’otto per mille. Sono rimasto allibito, quante volte questa persona avrà compilato la dichiarazione dei redditi senza avere la minima idea di cosa sia l’otto per mille. Quella riflessione mi ha aiutato però a capire quanta superficialità esista riguardo a un meccanismo che molti credono di conoscere. La colpa di questa confusione è anche delle istituzioni che evitano di fornire informazioni esaurienti a riguardo.
E se lo stato latita, ci pensa l’Uaar a informare i cittadini: ecco a voi otto dati di fatto sull’otto per mille.
L’otto per mille è un club esclusivo
Solo le istituzioni religiose riconosciute dallo stato e lo stato stesso possono partecipare alla distribuzione delle quote. La lista completa dei soggetti beneficiari si trova qui. Per il mio amico di sopra: no, non puoi destinare il tuo otto per mille a Emergency, Greenpeace o un’altra Ong.
Il tuo otto per mille non è trasferito direttamente a chi scegli
Qui è dove si concentra l’incomprensione più grande: quando selezioni un determinato soggetto beneficiario (stato, chiesa, valdesi, eccetera) l’otto per mille dei tuoi contributi non è preso e trasferito nel conto corrente di chi hai scelto.
Per capire meglio bisogna separare la scelta sul modello 730 dai soldi. Questi ultimi vengono spostati, per tutti i contribuenti, in un unico deposito; immaginate siano tutti raccolti nella casa salvadanaio di Paperon de’ Paperoni. A questo punto i soldi non sono ancora stati distribuiti a nessuno. Per rendere più concreto l’esempio la somma raccolta è 1,4 miliardi di euro. Lo stato ridistribuisce poi quei 1,4 miliardi di euro solo ed esclusivamente sulla base delle scelte espresse. Da qui discendono i due punti seguenti.
Con meno del 35% delle scelte la chiesa prende l’80% del malloppo
La cifra di 1,4 miliardi di euro non è stata presa a caso, è la quota di otto per mille ripartita nel 2019. Trovate i dati in questa pagina del ministero dell’economia e delle finanze. La prima tabella (figura) riporta quanti contribuenti hanno effettuato una scelta per l’otto per mille: il 43,15%, nettamente meno della metà. La seconda tabella elenca la ripartizione delle scelte espresse dai contribuenti e degli importi erogati. Prendiamo ad esempio l’istituzione che più si è avvantaggiata dal meccanismo – provate a indovinare, suspense… – la chiesa cattolica. Sul totale dei contribuenti solo il 34.46% ha scelto di destinare la quota Irpef di otto per mille alla chiesa, però la chiesa ha intascato l’80,73% della somma, in soldoni 1,071 miliardi di euro invece di 0,483 miliardi di euro. Questo perché quel 34.46% di preferenze è il 79,87% delle scelte espresse. La differenza tra 79,87% e 80,73% è dovuta al fatto che la chiesa cattolica gode anche del privilegio di un anticipo annuale con successivo conguaglio.
Se non firmi i tuoi soldi non restano allo stato
Siccome i soldi vengono ripartiti solo ed esclusivamente sulla base delle scelte espresse, chi non firma non esiste, e i suoi soldi vengono distribuiti sulla percentuale di quello che hanno scelto gli altri. Se io agnostico non firmo pensando che i soldi restino allo stato, rimango fregato e l’80% dell’otto per mille dei miei contributi è dirottato alla chiesa. La quota di otto per mille legata alle scelte non espresse, anche chiamata inoptato, quest’anno sarebbe stata di circa 790 milioni di euro. Sapete quanto avrebbe fatto comodo quella cifra al sistema sanitario nazionale durante l’emergenza Covid? Noi dell’Uaar sì e infatti abbiamo lanciato una petizione per chiedere che l’inoptato venisse usato per sanità e ricerca. Anche stavolta il governo ha fatto orecchie da mercante, impegnato forse ad ascoltare le lamentele della Cei.
L’otto per mille è figlio dei Patti lateranensi di origine fascista
L’assurdo meccanismo descritto sopra è regolato dalla legge 222/85 (governo Craxi) che ha ratificato la revisione del Concordato del 1929 tra stato e chiesa, origine di questo e tanti altri privilegi ecclesiastici, tra cui l’insegnamento della religione cattolica a scuola. L’otto per mille infatti non è altro che la sostituzione, più costosa per le casse dello stato, del meccanismo della congrua.
Governo e parlamento potrebbero modificare quando vogliono il meccanismo
L’articolo 49 della legge 222/1985 recita: «Al termine di ogni triennio successivo al 1989, una apposita commissione paritetica, nominata dall’autorità governativa e dalla Conferenza episcopale italiana, procede alla revisione dell’importo deducibile di cui all’articolo 46 e alla valutazione del gettito della quota Irpef di cui all’articolo 47, al fine di predisporre eventuali modifiche». Tutti i solleciti dell’Uaar in questo senso non sono mai stati accolti da nessun governo.
Negli altri paesi non funziona così
Se guardiamo cosa succede negli altri stati, vediamo che l’otto per mille è un’anomalia tutta italiana. In Svizzera e Germania, ad esempio, vieni tassato (direttamente) solo se ti dichiari membro registrato di un’istituzione religiosa riconosciuta. Altrimenti i tuoi soldi restano nelle tue tasche.
Lo stato e l’otto per mille
Il rapporto tra stato e otto per mille è volutamente complesso a causa della codardia di tutti i governi a mettere a dieta la gallina dalle uova d’oro della chiesa. La Corte dei conti ha più volte denunciato l’ignavia dello stato nel non pubblicizzare sé stesso nella scelta dell’otto per mille. Tutti ricordiamo il grande sacrificio di padre Alberto che aiuta a salvare i bimbi bisognosi (meglio se neri) dalla fame – grazie padre Alberto – ma sfido chiunque di voi a ricordare una pubblicità del governo che sproni a firmare per lo stato. Inoltre la stessa Corte dei conti ha criticato il meccanismo di ripartizione attuale perché non rispetta «i principi di proporzionalità, volontarietà e uguaglianza». Inutile dire che sono parole perse nel vuoto.
L’unico passo in avanti, introdotto quest’anno, è la possibilità di specificare la destinazione d’uso della quota di otto per mille statale: calamità naturali, fame nel mondo, assistenza ai rifugiati e ai minori stranieri non accompagnati, conservazione dei beni culturali, edilizia scolastica.
Per saperne di più visitate il sito www.occhiopermille.it e guardate il video esplicativo e molto chiaro, sebbene le cifre riportate siano datate.
Per chi fosse curioso di sapere com’è andata con il video menzionato all’inizio, il produttore si è tirato indietro con una scusa pretestuosa poco tempo dopo il primo incontro. A distanza di mesi ha poi monetizzato l’idea di un video informativo sull’otto per mille, mischiando due per mille, cinque per mille e otto per mille, e sponsorizzando nello stesso video la donazione del cinque per mille a una Ong. Il video non sembrerebbe comunque molto chiaro, tra i commenti in evidenza potete infatti leggere: «Il prossimo anno darò il mio otto per mille a questa Ong».
Meglio che di otto per mille continui a occuparsene l’Uaar.
Manuel Bianco
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«…L’unico passo in avanti, introdotto quest’anno, è la possibilità di specificare la destinazione d’uso della quota di otto per mille statale: calamità naturali, fame nel mondo, assistenza ai rifugiati e ai minori stranieri non accompagnati, conservazione dei beni culturali, edilizia scolastica…»
‘Passo in avanti’ mica tanto: ognuna delle opzioni può – e certamente sarà – deviata
a favore della Città del Male:
• calamità naturali = terremoti = ricostruzione delle chiese.
• fame nel mondo = organizzazioni gestite dai preti.
• assistenza ai rifugiati e ai minori stranieri non accompagnati = idem come sopra.
• conservazione dei beni culturali = in buona parte di proprietà della chiesa.
• edilizia scolastica = in buona parte di proprietà della chiesa.
Anche destinando l’8 per mille allo stato bisogna scgliere la categoria. Restauro dei beni architettonici può andare alle chiese, accoglienza dei clandestini, ci mancherebbe pure e spesso sono strutture religiose. Alla fine ho scelto le scuole, ma pure con queste non si può stare tranquilli, visto quante scuole private con edifici annessi pseudoscolastici ci sono e quindi forse lo devo cambiare. Il contribuente che non vuole foraggiare il clero italiano è quasi spacciato. Forse è meglio scegliere la ricostruzione delle zone terremotate, forse.
O forse no, perché di regola danno la priorità alle chiese.
Un esempio: entro l’estate si prevede l’inizio della ricostruzione della chiesa di Norcia,
della quale è rimasta in piedi solo la facciata, le cui parti originali sono solo due piccole nicchie. Tutto l’edificio è crollato e comunque era già crollato tre volte negli ultimi tre secoli.
Questi lussi se li paghino i devoti. Dal proverbiale braccino corto.
Una delle tesi care ai clericali a difesa del meccanismo è che tutti gli italiani sarebbero adeguatamente informati di come funziona e che quindi quel 60 % di persone che non si esprime lo fa perchè a loro va bene così, in una sorta di silenzio assenso, come per le elezioni dove decide chi vota. Questo articolo per l’ennesima volta dimostrerebbe il contrario e sarebbe interessante fare una indagine su quanto conoscano effettivamente il meccanismo e sulle ragioni della non scelta.
Ma anche accettando l’idea che siano delle elezioni, il fatto che solo il 40 % vi partecipi dovrebbe essere un segnale preoccupante e di solito interpretato come sfiducia nel sistema, in più con una forte limitazione dei possibili partecipanti da votare e della alternative, con squilibri nelle informazioni dei vari soggetti e pubblicità ingannevoli, ed uno stato molto ambiguo sulle sue attività che spesso rigira i propri soldi alla stessa chiesa cattolica (basterebbe vedere come nell’attività umanitaria si comporti con la caritas e le varie strutture della chiesa cattolica come se fossero onlus di stato).
A questo va aggiunto che la torta da dividere cresce con le tasse, indipendentemente dalla religiosità degli italiani. Così in 30 anni la quota attualizzata è più che triplicata. Cioè un meccanismo che doveva sostituire la precedente congrua alla chiesa cattolica che serviva soprattutto per gli stipendi dei preti fornisce alla chiesa cattolica oggi una quota pari al triplo degli stipendi dei preti che non è più la quota principale, il tutto nonostante il calo dei fedeli e nonostante nel 2018 solo il 31.8 % dei contribuenti avesse dato la sua preferenza per la chiesa cattolica. Così la chiesa cattolica per giustificare la montagna di soldi in più ha un po’ aumentato le sue spese umanitarie: ma per questo bastava operare sul 5 per mille senza permetterle di sfruttare il pretesto dell’attività umanitaria per aumentare notevolmente le sue entrate complessive.
Resta il problema del perché uno stato debba occuparsi dei finanziamenti delle religioni e del perché abbia sentito il bisogno di aumentare considerevolmente la quota rispetto all’epoca della religione di stato, il tutto in un periodo di maggiore attenzione agli sprechi e di necessità di ridurre le tasse, creando un gruppo di privilegiati rispetto al 5 per mille.