Prevedere il futuro piace a tanti. Tanti amano scriverne per tanti che amano leggerne. Non è un fenomeno recente: ci provò persino Gesù, anche se la sua profezia (Mt 16,28) non si rivelò particolarmente accurata. È già facile sbagliare quando si dispone di ogni elemento per formulare un giudizio ponderato: figuriamoci quando, gli elementi, mancano praticamente tutti.
Marco Ventura è un docente di diritto canonico ed ecclesiastico ed è un opinionista del Corriere della Sera. Ha recentemente scritto un libro per i tipi del Mulino: Nelle mani di Dio. La super-religione del mondo che verrà. Ha formulato una previsione che definire azzardata è dir poco: «si profila all’orizzonte una religione più grande, più potente, e perciò più adatta alle sfide del nostro tempo» – che sarebbero, a suo dire, «la pace, lo sviluppo e la programmazione» di un mondo migliore. E poiché «per ognuno dei tre bisogni siamo nelle mani di Dio», oggi il mondo «ha tre volte bisogno della super-religione». Nientepopodimeno che.
L’autore è consapevole che, affinché la “profezia” si realizzi, «le religioni devono superarsi», mettendo da parte le divisioni. A voler essere precisi, un progetto del genere implica che scompaiano, per sciogliersi in un insieme gigantesco. Ma fino a prova contraria tutte le religioni sono a loro volta frammentate in confessioni, correnti e fazioni che amano litigare su tutto: liturgie, date delle festività, scelta dei testi sacri… cattolici e ortodossi sono arrivati a scannarsi per un ablativo. Ok, l’ablativo era forse una scusa per celare la vera materia del contendere: ma è sintomatico già il fatto che è stato possibile ricorrervi. Per quanto il sincretismo religioso sia un fenomeno attestato, risulta però aver funzionato soltanto su alcuni aspetti, mai su intere comunità. Si fondono le società, persino le multinazionali, ma non le fedi. Per contro, gli scismi sono sempre stati frequentissimi.
Ed è ancora più difficile che le religioni e i loro fedeli decidano di fondersi per tre bisogni arbitrariamente individuati da Ventura, che sembra confondere i propri desideri con le necessità del pianeta e dei credenti. Su quali evidenze, poi? Nessuna. Anzi, una: che, nell’ultima ricerca del sociologo Franco Garelli, il 50% del campione (italiano) ha manifestato «il desiderio di una religione universale». Tuttavia, è lo stesso Garelli, intervistato da Repubblica, a definire la super-religione «un’aspirazione astratta più che una risorsa vitale», che, «pur bizzarra», rivela «il desiderio di religioni più cooperanti, che diano il meglio di sé nella costruzione piuttosto che nel mostrare i muscoli». Scaturirebbe insomma da un’opinione critica delle religioni tradizionali. E comunque, non nascerebbe per iniziativa dei vertici delle comunità di fede, ma di una parte (nemmeno quella più militante) della loro base. La creazione di una religione, per di più mondiale, con una traiettoria bottom-up rappresenterebbe un’altra novità senza precedenti.
Peraltro, la stessa ricerca mostra come cresca anche il fenomeno dei “cristiani culturali”: vale a dire coloro che si professano cattolici per dichiarato conformismo e tradizione, anche quando non sono credenti. Già rispondendo in questo modo mostrano la consapevolezza di ritenersi cattolici per via dell’accidente di essere nati in un paese cattolico, adeguandosi poi per quieto vivere alla società che è capitata loro. È un’appartenenza talmente automatica e routinaria che non si capisce proprio perché dovrebbe essere scalfita da una fantomatica super-religione. L’inchiesta di Garelli porta alla luce anche un 50% che sembra essere soddisfatto della propria identità. E si sa, le identità rivendicate sono quasi sempre più vincenti delle adesioni deboli. Vanno anche decisamente di moda.
Ciononostante, Ventura riesce a proiettare il suo progetto ancora oltre, dimostrandosi super-ecumenico nel significato originario del termine: vuole arrivare a coinvolgere l’intero pianeta. Perché individua la super-religione «in ogni uso della religione, anche in quell’uso che i credenti ritengono abusivo, anche in quello che mischia religione e non-religione al punto da non distinguerle più». Chiede quindi di mettere in discussione pure «i confini tra religione e non-religione, perché è anche necessario che quanti si riconoscono in una fede, l’85% della popolazione mondiale, lavorino insieme con quanti non hanno una religione, ma altre convinzioni, altre spiritualità». Lavorare «insieme», beninteso, all’interno della super-religione: quel 15%, che lo voglia o no, è stato dunque a sua volta posto «nelle mani di Dio».
Tale è la sua convinzione che arriva a forzare le caratteristiche dell’ateismo organizzato, scambiando (lui giurista) richieste di pari dignità legale per affanni spirituali. Se è vero che, negli ultimi anni, sono spuntate assemblee domenicali atee e justice-centered humanisms, che finiscono per annacquare le peculiarità non religiose, è anche vero che sono spuntate rivendicazioni di orgoglio ateo prima inesistenti. E dunque, una volta di più vale la vecchia regola che, se tutto diventa religione, nulla è più religione.
Anche quando starebbe nelle mani di Dio. Perché il titolo è in effetti la perfetta sintesi di un libro impregnato di linguaggio immaginifico e di vocaboli evocativi, ambigui e plurisenso, che possono quindi voler dire tutto e il contrario di tutto. È per esempio facile ribattere che anche i credenti, lo vogliano o no, sono nelle mani della realtà – e da un punto di vista accademico costituisce un’affermazione senz’altro più credibile. Sono del resto le specificità del fenomeno religioso (tradizione, conformismo, gregarismo, dogmatismo, irrazionalità) a negare in radice la super-religione. Al punto che le aspirazioni e le necessità che dovrebbe incarnare potrebbero ricadere più facilmente sotto l’etichetta di “super-ateismo”.
A ben vedere, infatti, ciò che auspica gran parte di quel 50% a cui si aggrappa l’autore è un mondo in cui ognuno vive piacevolmente come vuole, senza che altri gli rompano le scatole perché viva come loro e senza che altri usino le istituzioni per far imporre a tutti di vivere come vogliono loro. È insomma un programma molto più simile al manifesto d’intenti dell’Uaar (a sua volta citata nel volume) che alla mission della chiesa – o di qualsiasi altra religione.
L’ipotesi del super-ateismo sarebbe inoltre corroborata dalla crescita numerica dei non appartenenti e dei non credenti, fenomeno mondiale e persino italiano (è il dato centrale del libro di Garelli, ma resta in ombra in quello di Ventura). Persino l’Osservatore Romano ammette ormai apertamente che la secolarizzazione prosegue impetuosa e che le chiese sono sempre più vuote, e ne discute da settimane alla ricerca di (disperate?) soluzioni. E se è vero che l’autorevole Pew Reasearch Center ha vaticinato, nel 2050, una riduzione dei non credenti su scala mondiale, la sua previsione è basata soltanto sull’andamento demografico – perché i cambi di casacca hanno invece quasi tutti un’unica direzione finale: l’incredulità.
Sarebbe stata benvenuta qualche riflessione sulla compatibilità della matrice religiosa della sovrappopolazione con la speranza di uno sviluppo sostenibile. Piaccia o no, il segreto del successo delle religioni risiede infatti quasi esclusivamente in tre “p”: prole, politica e pervasività. La trasmissione automatica della religione è tanto più efficace quanto più la fede invade la vita dell’individuo (innanzitutto in famiglia, e in seconda battuta nella società). Tale meccanismo, nel modello di Ventura, finirebbe invece per svanire, anche perché nelle famiglie dei credenti “universalisti” già adesso funziona maluccio.
Infine, se ci guardiamo indietro, notiamo che le poche persone che hanno cambiato il corso della storia erano tutte imprevedibili marginali: “cigni neri” di cui quasi nessuno sospettava l’esistenza, e che nessuno sapeva quindi come affrontare. Anche se non si può a priori escludere che Ventura si riveli uno di essi, e anche se è condivisibile l’anelito che ci sia ancora storia umana e che sia una storia amabile, resta il fatto che non sappiamo nemmeno quanta “storia” ha ancora davanti a sé l’umanità. Se ci basassimo solamente sull’attualità, dovremmo attenderci un futuro ancora più polarizzato, atei vs fanatici. Ma chissà, magari tra un secolo si scoprirà che avremmo dovuto prestare molta più attenzione a un’attività in crescita tra i giovani Usa: la consultazione degli oroscopi.
Raffaele Carcano
Ho espresso diverse volte quella che per me è l’esigenza di un movimento o partito politico degli atei, dei laici, e dei non-affiliati.
Per caso ho scoperto questo:
http://www.democrazia-atea.it
di cui non so molto, se non che finalmente qualcuno ha intrapreso l’iniziativa. Mi piacerebbe portarlo all’attenzione dei soci UAAR, per sentire diverse opinioni in merito.
Sito interessante, grazie per la segnalazione.
Membri della segreteria si sono sbattezzati: erano venuti a conoscenza dello sbattezzo tramite l’UAAR o ne hanno scoperto la possibilità da soli?
Il prezzo dell’iscrizione è esiguo.
Mi sembra che molti obiettivi siano in comune con quelli dell’UAAR.
Approfondiremo la conoscenza.
Nonostante gli sforzi di Eugenio S. con Papa Francesco per arrivare al Dio unico, la scheda per la destinazione dell’otto per mille dell’IRPEF 2021 propone, in Italia, ben 12 “religioni”. A meno di pensare che il Dio unico sia una moneta come l’Euro. Auguri!
L’idea di unificare le religioni monoteiste, trovando compromessi soddisfacenti per tutte, non ha mai funzionato, ma probabilmente non è mai esistita. Ritengo che la visione di una eventuale « super-religione del mondo » in un futuro prossimo o remoto, per evidenti ragioni sia pura utopia !
Sono del parere che finché esiteranno paure irrazionali, particolarmente l’angoscia esistenziale o della morte, esisteranno religioni. Potrebbero, più che probabilmente mutare a secondo delle opportunità o interessi, tendenze, convinzioni ecc.. ma difficilmente estinguersi.
NB Quando il nostro cervello non trova risposte soddisfacenti a certe domande, « soffre », per placare questo sia pur relativo malessere non fa altro che fantasmare, ad esempio immaginare un aldilà dove è perennemente bello vivere….Sono pero’ esclusi coloro che hanno commesso certi « peccati mortali », quindi eternamente dannati…..una enorme fregatura.
Spesso chi è troppo vicino al problema, o ci è addirittura dentro come nel caso, appunto, della religione, è facile non vedere e comprendere quale sia il punto critico: non pensano gli esegeti che semplicemente le religioni sono invecchiate? Appaiono per quello che sono: racconti incredibili?
Detto ciò, l’dea di una super-religione si tradurrebbe in una supercazzola di portata cosmica.
Certamente dovrebbe essere un progetto di durata plurisecolare, perché non sarebbe facile far sparire in soffitta tutto il bric-a-brac leggendario sulla natura divina del loro olimpo, nascite virginali, miracoli puerili ecc.
L’argomento è interessante da discutere. Per come vedo io la situazione la civilizzazione si avvia verso l’ateismo diffuso, ragionando per secoli prossimi venturi.
Una super-religione coalizzata potrebbe essere una risposta futura all’affermarsi e diffondersi dell’ateismo. Altrimenti le grandi religioni che spontaneamente si fondono, non mii sembrano probabili.
«…Una super-religione coalizzata potrebbe essere una risposta futura all’affermarsi e diffondersi dell’ateismo…»
Dovrebbero spiegare chi si arrogherebbe l’autorità di portare avanti una simile infamia:
una religione artificiale con lo scopo evidente di irretire tutta l’umanità?
Non dubito che nel clero ci sia chi boriosamente pensi di realizzare ciò, ma realisticamente
mi pare troppo, soprattutto considerando il materiale umano che hanno a disposizione.
Già adesso esistono due super religioni, la cristiana e quella musulmana, che a quanto dichiarano rappresenterebbero circa la metà della popolazione mondiale. Vedendo la loro attività di colonializzazione dell’Africa dove è in atto una forte crescita demografica, il loro peso percentuale nel mondo dovrebbe aumentare. E ci sono prove di alleanza. Certo anche al loro interno non sono molto unite, ma un nemico comune potrebbe farle unire di più e superare le divisioni su alcuni punti di interesse, almeno per un certo periodo di tempo. Certo ci sarebbero problemi sul comandante in capo, posto a cui ambisce il papa, e sui dettagli della religione, ma sono gli stessi problemi degli imperi. Anche l’impero romano era unito nella diversità, non certo in modo democratico.