È necessario individuare e promuovere le forme di agricoltura che realizzano una maggiore sostenibilità ambientale, sociale, etica ed economica e riconoscere alle scienze agronomiche e alle biotecnologie un ruolo fondamentale nella corsa verso il mantenimento e il miglioramento delle condizioni di vita sulla Terra. Affronta il tema Elisa Corteggiani sul numero 5/2021 della rivista Nessun Dogma.
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La vita umana ha avuto uno straordinario successo sulla Terra, stiamo per raggiungere gli otto miliardi di individui e abbiamo modificato con i nostri insediamenti e le nostre attività almeno il 50% della superficie continentale del pianeta. La più grossa fetta di questo spazio è quella che usiamo per produrre cibo. L’espansione delle popolazioni umane e lo sviluppo di società almeno in parte stanziali, nelle quali sono nati mestieri, culture, invenzioni, sembrano essere coincisi con una disponibilità di cibo su cui si poteva contare.
Oggi, fra gli obiettivi chiave dello sviluppo sostenibile dichiarati nell’agenda 2030 dell’Onu, troviamo: sicurezza alimentare, elevata qualità nutrizionale, riduzione degli sprechi e, visto che abbiamo occupato una buona fetta del pianeta, sfruttamento controllato e contenuto delle risorse primarie (suolo, acqua ed energia) e conservazione della vita sulla Terra nelle sue varie forme. È importante sottolineare che questi temi sono sentiti da una grande parte della società e appartengono senza dubbio alla comunità scientifica che si occupa di agronomia, e che su questi temi ha lavorato per più di 50 anni raggiungendo importantissimi risultati. Il metodo di lavoro di questa comunità si basa su osservazioni, misure, sperimentazione, invenzioni e su un’ottima capacità di valutare in modo onesto e accorto i risultati, correggendo gli errori e non riconoscendo un valore in sé all’imposizione dogmatica delle pratiche già in uso. Nei migliori casi, e non sono pochi, questa comunità ha anche dimostrato curiosità per le proposte che provenivano da altri contesti, sottoponendole però alla stessa valutazione critica e onesta dei risultati: ne è un testamento la moderna agricoltura integrata, che di metodologie di diversa provenienza ne usa varie, per ottenere un risultato di alta produttività e basso impatto.
In tutti i casi è la tecnica umana a fare l’agricoltura, che è un fenomeno tutt’altro che spontaneo. Ma molta parte della discussione contemporanea, soprattutto in Italia, confonde le tecnologie applicate all’agricoltura con gli obiettivi di sviluppo, e derubrica certe tecnologie a processi naturali, sbagliando.
Sicurezza alimentare, alto valore nutrizionale e salvaguardia dell’ambiente
Alla base della sicurezza alimentare del mondo occidentale, a partire dal secondo dopoguerra, c’è una innovazione tecnologica che chiamiamo “rivoluzione verde” e che, grazie a un progressivo aumento dell’energia usata per la produzione agricola, alla fertilizzazione con composti azotati di sintesi, allo sviluppo degli agrofarmaci e ai grandi progressi nella genetica delle piante coltivate, ha portato ad aumenti consistenti della produttività e a una importante diminuzione dell’insicurezza alimentare. Le varietà di piante ad alto valore nutritivo e ad alta produttività che furono introdotte in quel periodo, e che ancora oggi coltiviamo, furono selezionate tra quelle prodotte da incroci e da mutagenesi casuale, ottenuta grazie all’irraggiamento con raggi gamma o al trattamento con mutageni chimici. Queste piante, che potremmo chiamare a buon diritto Ogm, visto che anche una sentenza della Corte europea del 2018 le definisce tali, sono oggi utilizzate in tutti i tipi di agricoltura, da quella tradizionale a quella moderna, comprese quelle biologica e biodinamica.
L’eredità della rivoluzione verde può e deve essere migliorata ancora, riducendo l’uso degli agrofarmaci e introducendo varietà coltivabili più resistenti alle malattie e alle condizioni climatiche in rapido cambiamento, e con profili nutrizionali più utili.
A oggi, quali strumenti hanno consentito di ottenere maggiori successi in termini di sicurezza alimentare, contenendo nel contempo l’impatto sulle risorse primarie e sulla biodiversità?
In ogni area coltivata produttiva si fa crescere un grande numero piante di interesse e si limita tanto la competizione per le risorse da parte delle infestanti, quanto la concorrenza dei patogeni, dei parassiti e degli altri consumatori dei prodotti della coltivazione.
Un campo coltivato, quale che sia la tecnologia utilizzata, ha una biodiversità certamente minore di una foresta o di molti altri ambienti naturali. Maggiore pertanto è la resa, più piccolo è lo spazio a bassa biodiversità che abbiamo bisogno di occupare per sfamare tutti e, dato che le perdite di resa per cause biotiche sono enormi, un sistema inefficiente di difesa ci porta a dover espandere le aree coltivate sottraendo spazio agli altri ecosistemi.
La soluzione ottimale sarebbe l’uso di sistemi di difesa efficienti, mirati in modo molto specifico contro le specie più dannose e a bassa tossicità per il suolo e gli altri viventi. Oggi l’agricoltura integrata, che si basa sulle conoscenze agronomiche, utilizza in modo crescente e monitorato forme di lotta biologica basate su antagonisti naturali, fa uso di piante resistenti e tolleranti, di pesticidi di sintesi sempre più specifici ed efficaci (che possono essere usati in dosi molto ridotte), ed è aperta alle biotecnologie, fautrici di una vera rivoluzione ecologica, avendo prodotto piante che già oggi possono difendersi da sole in modo specifico dagli insetti più dannosi e che tollerano la presenza di erbicidi di sintesi utili a eliminare le infestanti già a piccole dosi, lasciando minime tracce nelle falde acquifere e senza presentare rischi per la salute umana. Questa migliorata gestione del rischio e della sicurezza è andata di pari passo con le normative sempre più stringenti emanate sia dall’Italia che dall’Europa, e oggi l’impatto ambientale e sociale dell’agricoltura moderna è più contenuto che in passato. Se nel prossimo futuro le piante ottenute con le nuove tecnologie genomiche diventeranno una realtà anche da noi e i nostri ricercatori saranno autorizzati a testare in campo le loro già promettenti scoperte, la sostenibilità della produzione di cibo in Italia e in Europa raggiungerà i livelli desiderati.
Le alternative principali a questo tipo di agricoltura, supportato dalle conoscenze scientifiche, sono oggi in Europa i sistemi basati su impostazioni dogmatiche, che si conformano a regolamentazioni che non hanno piena coerenza razionale con le attuali conoscenze o che mantengono in uso pratiche ispirate a tradizioni o filoni di pensiero, senza misurarne in modo critico gli effettivi risultati né in termini assoluti, né in termini comparativi con le altre tecnologie agricole. Il successo commerciale delle pratiche dogmatiche più diffuse, come il biologico o il biodinamico, è prevalentemente basato su una errata percezione dell’impatto ambientale delle varie tecnologie agrarie, con quelle dogmatiche ritenute a torto meno impattanti sull’ambiente, e con una errata percezione del valore nutrizionale e salutare dei prodotti di questi tipi di agricoltura, che alla prova dei fatti non risultano né migliori né peggiori di quelli prodotti con l’agricoltura integrata o con quella tradizionale ad alto impatto.
Alla base di questa nozione c’è sicuramente anche una fondata ragione storica: si tende a confondere l’agricoltura moderna, possibile grazie alle tecnologie e biotecnologie agrarie, con un tipo di agricoltura intensiva molto diffusa nel recente passato, che faceva uso delle conoscenze scientifiche e della tecnologia, ma aveva scarsa considerazione dell’ambiente e dei lavoratori. Non si devono però confondere tra loro tecnologie e obiettivi etici, e la scienza ha dato prova reale di essere il migliore strumento al servizio tanto della sicurezza alimentare quanto della salvaguardia dell’ambiente e dei lavoratori.
Il biologico, che è la tipologia di agricoltura dogmatica più diffusa in Italia, esclude l’uso delle piante modificate geneticamente con tecnologie moderne e degli agrofarmaci di sintesi, ma fa uso di sistemi di difesa e di pesticidi che a conti fatti hanno una efficienza minore, con conseguente abbassamento della resa a parità di area coltivata e di energia utilizzata, e che hanno effetti inquinanti sulle risorse primarie (suolo e acqua) spesso anche maggiori di quelli dei moderni agrofarmaci.
Un esempio utile in questo senso è rappresentato dall’uso del rame, che quale sistema di difesa è poco mirato, va usato spesso e in abbondanza, e ha un importante impatto sulle acque che dilavano il terreno: mentre l’agricoltura integrata lo usa in quantità moderate, avendo a disposizione anche altri prodotti, l’agricoltura biologica deve di fatto usarlo in abbondanza. Un altro esempio interessante è dato dalla lavorazione dei suoli agricoli, che ne promuove la degradazione e l’erosione: mentre l’agricoltura integrata la pratica solo in alcuni casi e ricorre anche ad altre strategie, nell’agricoltura biologica viene praticata quasi sempre.
Si può immaginare un modello di sviluppo nel quale le superfici utili della Terra siano quasi totalmente occupate dall’uomo, tra aree coltivate, aree urbane e aree industriali, mantenendo in tutte una bassa efficienza di competizione e un contenuto, ma inevitabilmente basso, livello di biodiversità, oppure un modello nel quale la sicurezza alimentare e la salvaguardia della biodiversità passino per un’agricoltura efficiente e per la conservazione degli spazi ad alta biodiversità. Al momento questo secondo modello appare molto più sensato.
La questione ha rilevanza locale ma anche globale: se le rese dell’agricoltura che si fa in Europa mantenendo un basso impatto ambientale, come disposto dalle regolamentazioni, saranno troppo scarse, saremo costretti, come facciamo già, ad importare cibo da altri paesi, che adottano norme e pratiche agricole meno rispettose dell’ambiente e degli agricoltori, con la conseguenza di ridurre la nostra sicurezza alimentare e di esportare in altri paesi l’inquinamento, lo spreco di risorse e il rischio per i lavoratori del settore.
Promuovere forme di agricoltura che, producendo un impatto ambientale e sociale comparabile, hanno una resa più bassa, non è etico. La via più etica è quella verso un’agricoltura che faccia pieno uso delle conoscenze agronomiche e delle biotecnologie, e che abbracci le istanze di salvaguardia dell’ambiente espresse dalla società.
La via etica per la produzione alimentare sostenibile in Europa oggi non ha alternative all’utilizzo delle piante resistenti e con alte qualità produttive e nutrizionali, ottenibili con le più moderne tecniche di modificazione genetica mirata e sito-specifica. Sarà necessario approvare quanto prima buone leggi, affinché queste piante vengano prodotte e utilizzate in modo etico, mettendo in prima linea gli istituti di ricerca pubblici e dotandoli di finanziamenti e strumenti di lavoro adeguati.
In un clima europeo che esprime interesse verso le prospettive di sostenibilità, produttività e qualità che le nuove tecnologie genomiche applicate all’agricoltura possono garantire, l’Italia rimane, per il momento, ferma a leggi estremamente restrittive sull’uso agricolo delle piante modificate con le moderne tecnologie genomiche e sulle possibilità per i ricercatori di fare test in campo. Il nostro paese continua inoltre a sostenere economicamente e a promuovere le pratiche agricole biologiche, che hanno basso rendimento e impatto non ottimale, e il Senato ha recentemente approvato un disegno di legge che darebbe riconoscimento giuridico al biodinamico, una pratica dogmatica basata sull’ideologia del filosofo esoterista Rudolf Steiner che non ha dimostrato vantaggi.
Sicurezza alimentare e resa, è sufficiente ridurre gli sprechi?
A diminuire la resa netta di tutti i nostri sforzi produttivi agricoli contribuisce anche il fenomeno dello spreco alimentare, definito come la somma delle perdite che si verificano durante tutte le fasi di produzione agricola e di quelle che avvengono nell’ultima parte della filiera alimentare. Il problema è di estrema importanza e varie organizzazioni scientifiche e governative hanno lavorato alla definizione e alla quantificazione di queste perdite, che rappresentano un’impressionante frazione dell’intero prodotto agricolo, diminuiscono la sicurezza alimentare e aumentano l’impatto reale sulle risorse primarie di ogni singolo prodotto che riusciamo a consumare.
Al momento le soluzioni più interessanti al problema vengono dal mondo della ricerca applicata, che ha consentito di selezionare piante con frazioni edibili meno deperibili e ha sperimentato con successo sistemi per rallentare i processi di deterioramento dei cibi e aumentare la shelf-life dei prodotti. Di contro, purtroppo, la gran parte degli sprechi viene misurata nei paesi del sud del mondo, dove la catena tecnologica e logistica della filiera alimentare non è altrettanto affidabile.
In un mondo con una popolazione mondiale in crescita e con una biodiversità messa a sempre più dura prova dall’invadenza dell’uomo, la riduzione degli sprechi non basta a giustificare l’uso di tecniche produttive con basse rese, e le prese di posizione ideologiche sulle tecniche agricole e i modelli economici scarsamente sostenibili non possono più essere giustificate – non quando la conoscenza umana ha prodotto buone soluzioni.
Il raggiungimento degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile passa attraverso l’etica, la conoscenza e la scienza
Le scienze agrarie, che hanno prodotto risultati assolutamente mirabili nell’ultimo secolo, oggi sono a torto guardate con sospetto da un gran numero di cittadini che hanno a cuore i temi etici dello sviluppo sostenibile. Spesso si tratta di cittadini che, oltre a non essere esperti del settore, vivono da sempre in contesti urbani e hanno una scarsa conoscenza del mondo agricolo in generale, e di quello moderno in particolare. All’ammirabile passione per la costruzione di un futuro più rispettoso dell’ambiente e al desiderio di nutrirsi al meglio per la propria salute e il proprio benessere, spesso non fa eco una altrettanto importante conoscenza dei temi e dei problemi relativi alla produzione agricola, generando il cortocircuito che mette in contrapposizione il progresso scientifico-tecnologico con la sostenibilità, che confonde le tecniche agricole più dogmatiche con l’obiettivo etico della salvaguardia ambientale e culturale. In un’epoca in cui, per nostra fortuna, le informazioni sono facilmente accessibili e possiamo partecipare a molte decisioni collettive, non dobbiamo dimenticare l’inestimabile valore delle conoscenze che nelle comunità scientifiche di indirizzo crescono aprendo nuove prospettive e correggendo gli errori, senza dogmi.
Elisa Corteggiani
Approfondimenti
https://www.setanet.it/2021/07/04/la-disinformazione-al-governo-e-in-parlamento-una-risposta-allonorevole-maria-chiara-gadda-fondata-sulle-evidenze-scientifiche/
https://www.setanet.it/2021/02/21/agricoltura_biologica_disastro/
https://www.nature.com/articles/d43978-021-00071-0
https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/002/745/DEFEZ2.pdf
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Se ci pensate un attimo,la contestazione,spesso violenta, alle biotecnologie non e’ altro che una delle (brutte)facce di un fenomeno che potremmo chiamare di “follia collettiva” che comprende “terrapiattismo”,NO-VAX,NO-TAV e chi piu’ ne ha piu’ ne metta.
Basti pensare al “politicamente corretto” e ai livelli di paranoia parossistica che ha raggiunto in USA,dove per fare un solo esempio classici Disney vecchi di parecchi decenni rischiano di essere messi all’indice perche’ violano questo o quel cliche’,applicato con una ottusita che rivaleggia con l’integralismo islamico.
Forse è nata una nuova religione: l’idealesimo. Idealisti anonimi che si arrogano il diritto
di porre veti a vanvera. Forse sulle orme di sua banalità, per il quale non c’è argomento
di cui non sa nulla ma sul quale sente l’irrefrenabile bisogno di mettere becco.
Io, che notoriamente sono democratico, non gli nego questo vezzo, ma voglio che lo faccia
nelle sue chiese, per le orecchie del suo gregge.
O forse,come hanno sostenuto molti in passato,e’ semplicemente il risultato di una pace “troppo lunga”.
Sembra un controsenso,vero ?Eppure ,se ci pensate,nel mondo occidentale non c’era mai stato un periodo di pace cosi prolungato,che dura ormai da 76 anni.
Le guerre che si sono moltiplicate nel resto del mondo,diciamolo pure,malgrado tante dichiarazioni di principio influenzano ben poco le nostre coscienze.
E cosi quella tendenza della natura umana che spinse migliaia di giovani ad arruolarsi entusiasticamente nel ’14,e a marciare in massa per l’omino coi baffetti,
ora si estrinseca nel terrorismo nichilistico,nello scagliarsi contro “mulini a vento”
come le scie chimiche,la TAV o i vaccini.
Concordo, ottima la definizione di agricolture dogmatiche inquadra perfettamente il problema.
Purtroppo si è diffusa l’idea che un prodotto “naturale” sia necessariamente migliore, dimenticandosi di quante cose tossiche e pericolose la stessa natura produca e che lo stesso uomo è dovuto intervenire nei secoli e millenni pesantemente sulla natura per selezionare, migliorare e diffondere le coltivazioni precedentemente esistenti in natura per renderle più commestibili, più resistenti e migliorarne l’efficacia. Oggi possiamo fare questo processo in modo più efficiente, rapido e scientifico ed anche sicuro grazie ai notevoli progressi degli ultimi decenni. Lo stesso vale per i processi di lavorazione e conservazione dei prodotti agricoli.
Se la produttività dei terreni fosse rimasta quella di un secolo fa non ci sarebbe cibo per tutti (oltre al fatto che oltre un secolo fa ben il 75 % della popolazione era impiegata nell’agricoltura, mentre oggi solo pochi percento).
Uno dei problemi evidenziati con la coltivazione biologica (spesso solo presunta) è che la produttività dei terreni diminuisce. Se si aggiunge a questo anche il fatto che i terreni coltivati oggi vengono sostituiti anche per produrre biocombustibili o energie rinnovabili c’è il rischio concreto di una scarsità di cibo o la necessità di allargare le zone coltivate, cioè un maggiore impatto sull’ambiente, per poter far fronte alla possibile scarsità di cibo.