Si chiamava Mahsa Amini, aveva 22 anni e molto probabilmente non immaginava, il 16 settembre scorso, di divenire l’ennesima vittima del regime teocratico dell’Iran. A punirla con la morte per non aver indossato il velo in maniera “corretta” è stata la polizia morale dell’Iran, organo deputato a “promuovere la virtù e sopprimere il vizio”. Ma la sua tragedia si dissolve e perde quasi umanità, nel lugubre elenco di persone trucidate dalla Repubblica Islamica: atei, omosessuali, minoranze religiose e donne adultere, colpevoli di “devianze” varie, e di violare un codice morale tra i più reazionari del pianeta.
Ma se non sorprende la risposta forte ed immediata del mondo laico ed umanista, stupisce invece la posizione di quell’ “internazionale terzomondista” che, in nome di un feroce sentimento antioccidentale, ha negli anni presentato l’Iran ed altri esperimenti di governo islamisti come un baluardo antimperialista, se non come un modello da seguire. In ballo, però, c’è ben di più di un semplice dibattito geopolitico (di suo già importantissimo).
Sulla questione dell’hijab il confronto è infatti da tempo infuocato, con un’opinione pubblica spaccata tra una destra nativista che spinge per un divieto tout court , e una sinistra multiculturalista che, nel difendere il diritto all’autodeterminazione delle donne, finisce maldestramente per normalizzare uno strumento d’oppressione.
La questione si fa però più ampia ed arriva ad abbracciare l’islam nel suo complesso. In uno dei più grandi paradossi dell’Occidente post-coloniale, il mondo progressista è divenuto infatti paladino delle istanze di un’ideologia (l’islam) ferocemente reazionaria ed ostile ai diritti universali, per il semplice fatto che questa è associata al terzo mondo e alle popolazioni vittime del colonialismo. E non è un caso se persino in ambienti dove l’avversità alle religioni è molto forte le affermazioni critiche nei confronti dell’islam vengono edulcorate o addirittura evitate, pena l’essere accusati di razzismo o – con maggiore esattezza lessicale – islamofobia.
Il copione è sempre lo stesso: schiere di influencer, giornalisti ed esponenti del mondo progressista si scagliano contro l’oppressione di genere, ma quando si tratta di nominarne la matrice si tirano indietro altrettanto velocemente. In alcuni casi però c’è anche chi si cimenta in argute performance lessicali per fornire versioni della realtà non più edulcorate, ma piuttosto controfattuali.
In seguito all’omicidio di Saman Abbas, ci fu ad esempio chi, nel mondo del giornalismo, si spinse a proporre che quanto accaduto non aveva nulla a che fare con l’islam, né tantomeno con la religione in generale, ma che piuttosto fosse riconducibile al patriarcato. È curioso, in un certo senso, perché se ne deduce che la religione e il patriarcato non abbiano nulla in comune. E allora con che aggettivo bisognerebbe definire, per rigore ortodossia politicamente corretta, i matrimoni combinati, la mutilazione genitale, l’obbligo di indossare il niqab e la pena di morte prevista per le donne (e solo per le donne) colpevoli di adulterio, se non patriarcali?
In un’epoca in cui – talvolta in modo caricaturale – si va alla ricerca di tracce di patriarcato anche nelle desinenze grammaticali, è possibile ignorare un tale elefante nella stanza? Il sospetto – che rischia di tramutarsi in certezza – è che sul desiderio di rimuovere le disuguaglianze e l’oppressione di genere prevalga quello di non offendere il sentimento religioso. Forse in questo contesto storico più che mai, chi si occupa di attivismo e comunicazione è chiamato a fare delle scelte drastiche. Ieri la scelta era tra il riconoscere Samuel Paty come vittima del terrorismo islamista, e non – più genericamente- di un pazzo col coltello. Oggi la scelta è tra il chiamare col suo vero nome – ossia, islamismo sciita – l’ideologia responsabile della morte di Mahsa, o voltarsi dall’altra parte e citare termini più vaghi (patriarcato, mascolinità tossica) che designano conseguenze, e non certo cause, di quella cornice ideologica.
Non c’è infatti religione che sia senza patriarcato, ed è innegabile che il patriarcato goda di salute tanto migliore quanto più la società trae la sua morale collettiva dalla religione. Il mondo islamico è attualmente frammentato tra timidi tentativi di riforma spesso accolti con minacce, grottesche operazioni di pink washing e una folta maggioranza a trazione conservatrice e reazionaria. Trovare una via di mezzo tra la xenofobia dell’estrema destra e il ‘razzismo delle basse aspettative’ di una parte consistente del mondo woke non è certo la soluzione immediata. Si tratta di fare scelte di campo, forse pericolose, ma necessarie.
Simone Morganti
E’ vero che il patriarcato non è nato dalle religioni, ma che le principali religioni sono nate e si sono strutturate in situazioni di patriarcato ed essendo strutturalmente conservative sono un potente mezzo di conservazione e difesa di tale modello: d’altronde sono uno strumento di governo.
Amini è stata arrestata ed uccisa dalla polizia religiosa che è un prodotto della religione che ha preso il potere in Iran: come si fa quindi a sostenere che la religione non c’entri e sia colpa del patriarcato?
Purtroppo una parte della sinistra comunista nel suo odio antiamericano applica il concetto del nemico del mio nemico è mio amico, come si vede anche con la guerra in Ucraina, per cui diventa giustificabile se è un avversario degli USA. Inoltre l’islam oltre ad essere visto come legato al terzo mondo “oppresso” dal colonialismo occidentale (forse in passato, ma di certo non oggi, considerando per esempio l’Arabia Saudita o il Qatar) è visto come una religione sociale e, quindi, più interessante per chi ha una visione “sociale” della società. Ma sappiamo bene, purtroppo, come abbiamo visto anche per l’URSS, che una visione sociale non rende la società più giusta e democratica e non impedisce lo sfruttamento e l’accumulo di ricchezze di alcuni e non favorisce il benessere dei cittadini. Già la sola idea che in un paese possa esistere una polizia religiosa, dovrebbe rendere qualsiasi giustificazione inaccettabile per chiunque sia di sinistra.
Mi piacerebbe sapere qualcosa in più su Simone Morganti, ad esempio se ha scritto libri o articoli di critica alle religioni. Fino all’inizio dell’ultimo Congresso, l’UAAR si opponeva alla critica delle religioni (ed anche al New Atheism, preferendo il Neo stoicismo di Pigliucci).
Dopo l’ultimo Congresso forse si può cominciare ad esporre qualche critica. Ma senza fughe in avanti.
L’Uaar ha sempre criticato le religioni dall’inizio a oggi, ma nel senso che critica e si batte contro il clericalismo e contro le loro ingerenze nelle vite di tutti. Tu vorresti che criticasse le loro dottrine, che è una cosa diversa e che effettivamente non è di interesse dell’Uaar.
Per farla in breve, a noi interessa il fatto che gli ayatollah limitano la libertà e l’autodeterminazione specialmente delle donne, non ci interessa se il loro patriarca Abramo sia esistito o meno e delle contraddizioni in merito nei loro testi sacri.
Per assurdo: potrebbe essere lecito limitare la libertà e l’autodeterminazione delle donne
se vi fossero delle motivazioni razionali di fondo?
Se possiamo contrastare queste attività è anche perché sappiamo che Abramo non è mai esistito. Le motivazioni sono necessarie, senza essere lo scopo.
Vallo a dire a Mixtec che Abramo non è mai esistito e ti dimostrerà che quello è un argomento per nulla funzionale alle nostre battaglie 😉
“Trovare una via di mezzo tra la xenofobia dell’estrema destra e il ‘razzismo delle basse aspettative’ di una parte consistente del mondo woke non è certo la soluzione immediata. Si tratta di fare scelte di campo, forse pericolose, ma necessarie.”
Scusa Morganti, ho capito male o devo scegliere tra essere “xenofobo” o essere “razzista dalle basse aspettative”?
Discutere di Abramo e rilevare che egli molto più realmente interagì con degli dei umani che più umani non si potesse, invece che col Dio dell’Universo, sceso sulla Terra per “genocididiare” i Sodomiti, significa confutare le tre religioni “abramitiche” alla loro base.
Si tratta ovviamente di un modo di criticare le religioni da un punto di vista filosofico, e non secondo una azione politica.
Ricapitolando: per Diocleziano la lotta laica passa per l’affermazione della falsità dell’esistenza di Abramo e compagni, per Mixtec al contrario bisogna affermare che è esistito ma aveva a che fare con dei umani. In entrambi i casi occorre quindi cimentarsi nel debunking delle Sacre scritture. La domanda (retorica) è: cosa aggiunge (o toglie) questa attività di confutazione della Bibbia a, per esempio, la battaglia contro l’otto per mille? Forse che tale imposta diventa ora giusta ora sbagliata in funzione della veridicità di quanto scritto in quei testi sacri?
Stavamo parlando dell’Iran, ed anche del Pakistan. E, come ha scritto Morganti
“La questione si fa però più ampia ed arriva ad abbracciare l’islam nel suo complesso. In uno dei più grandi paradossi dell’Occidente post-coloniale, il mondo progressista è divenuto infatti paladino delle istanze di un’ideologia (l’islam) ferocemente reazionaria ed ostile ai diritti universali, per il semplice fatto che questa è associata al terzo mondo e alle popolazioni vittime del colonialismo. E non è un caso se persino in ambienti dove l’avversità alle religioni è molto forte le affermazioni critiche nei confronti dell’islam vengono edulcorate o addirittura evitate, pena l’essere accusati di razzismo o – con maggiore esattezza lessicale – islamofobia.”
Tutto questo nell’ambito del “mondo osservato dall’Uaar” (in questo caso l’Uaar che osserva si chiama Simone Morganti). Osserviamo e facciamo quattro chiacchiere da “circolo del web”. Poi, lottiamo contro l’8 per mille alla Chiesa Cattolica, della qual cosa all’Iran ed al Pakistan non gliene frega un bel niente.
L’8×1000 non è il gatto di Schroedinger: se credere poggia unicamente su falsità può solo essere morto. E, si spera, non firmerebbe per l’Impero del Male.
Quindi, secondo me, bisogna lavorare sui credenti. Finché sono ancora vivi.
Ricapitolando: Mixtec sostiene l’esistenza di Abramo, Diocleziano sostiene la sua inesistenza, per entrambi l’Uaar dovrebbe partecipare all’analisi storica dei contenuti biblici ma a questo punto a quale tesi dovrebbe aderire? È chiaro che si tratta di un giochetto che nella migliore delle ipotesi lascia il tempo che trova perché semplicemente il credente non si cura di cosa dice la storia riguardo ai suoi beniamini, lui crede e basta. La fede non implica affatto capacità critica, semmai la nega o non ne tiene conto. Nella peggiore delle ipotesi invece si rischia di essere smentiti qualunque cosa si dichiari e in tal modo qualunque campagna anticlericalista perderebbe credito, perché l’argomento verrebbe immediatamente utilizzato contro di essa.
Non è questa la linea dell’Uaar, non lo è mai stata almeno da quando ne faccio parte io. All’Uaar non interessa a cosa credono i fedeli, interessa solo che la loro fede non abbia ripercussioni nella vita delle persone, credenti e non.
Mixtec
E tu credi di poter convincere un credente con argomenti razionali? Quelli funzionano solo per chi è già su posizioni critiche. Basta vedere anche ciò che succede coi complottisti e no-vax.
Gli argomenti razionali li rifiuteranno inventandosi tutta un serie di scuse e delegittimando chi li porta. Per esempio lo stesso BXVI quando era papa sconfessò tutta la storiografia “laica” su vangeli e bibbia, sostenendo che solo con la fede (ovviamente solo cattolica per lui) si può fare tale indagine storica. Monsignore Cantalamessa nel contestare il biblista Pesce che ha scritto Indagine su Gesù sostenne che bisognava fare riferimento agli studi di un abate, guarda caso cattolico, che aveva fatto lo studio più esaustivo e definitivo sull’argomento, un po’ come dire che sull’effetto del fumo bisogna fare riferimento solo agli esperti della Philip Morris.
Anche nel caso della storia delle religioni il far vedere i crimini della chiesa’, quale è stato il loro vero comportamento, la loro intolleranza, lo stesso problema con la pedofilia verrà giustificato, minimizzato raccontando una realtà differente e vittimistica per non mettersi in discussione, in questo abbondantemente aiutati dai politici e media clericali. L’islam si comporta ovviamente nello stesso modo, con in più attualmente che non si fanno problemi ad utilizzare metodi violenti e che considerano blasfemo e, quindi, perseguibile qualsiasi messa in dubbio.
Capita, a volte, che ci si trovi in un’associazione filosofica e ci si ponga delle domande filosofiche.
Del tipo: perché, ad un certo punto, nel mondo ellenico-romano si cessò di credere all’esistenza di Zeus-Jupiter, Athena-Minerva, Eracle e le sue fatiche, in favore di YHWH, un dio ebraico trasformato in un dio trino, ed a considerare rivelati dallo stesso dio una serie di scritti ebraici, e veri ed autentici gli avvenimenti in essi narrati?
E perché i Persiani, ad un certo punto della loro storia, smisero di credere in Ahura-Mazda e Mithra, in favore dello YHWH citato prima, ma rivelato in arabo?
Questi pezzi di umanità rima credevano in alcune cose e poi credettero in altre. Perché?
Perchè i credenti in favore del nuovo dio fecero di tutto perchè gli altri non potessero più credere in ciò che credevano prima. Mentre nel mondo ellenico-romano c’era una certa tolleranza nella scelta di una religione e negli dei da venerare, cosa comprensibile in una religione con tante divinità, quella nuova monoteista si è adoperata da subito perchè questo non fosse più possibile perseguitando gli altri e cercando l’appoggio del potere dittatoriale e identificando la nuova religione come strumento di potere. Dalla religione di stato, alla distruzione dei templi e degli idoli, alla persecuzione di chi anche solo si discostava dalla versione dominante (il 1° eretico viene ucciso ufficialmente nel 3° secolo, ancora prima di prendere il potere) e alla sovrapposizione e riciclo del precedente all’interno della nuova forma ed alla distruzione e proibizione di qualsiasi cosa fosse legata alla precedente religione (pure le olimpiadi). Questo passaggio non è stato per niente libero, spontaneo o inevitabile come la propaganda cristiana pretende di raccontare.
Il problema è che un credente ti dirà che questo è avvenuto solo in qualche caso, che le persone hanno spontaneamente scelto una religione “superiore” e che siamo prevenuti, bisogna ascoltare la storiografia agiografica della chiesa, l’unica “vera”, oppure che erano i tempi e che oggi non sono più così, pretendendo di tenersi tutti i vantaggi di quel periodo.
Il film” In Codice da Vinci ” contiene parecchie verita’,nei discorsi del personaggio di Ian McKellen.
Ed e’ un miracolo che la Chiesa non ne abbia ostacolato l’uscita.