Sempre più spesso la destra confessionalista, con il pretesto di difendere i minori, cerca di avvelenare il dibattito su temi etici e sessualità. Affronta il tema Simone Morganti sul numero 1/23 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Se ti occupi di diritti civili sarai felice di sapere che in realtà il tuo obiettivo non è affatto l’uguaglianza. Secondo i seguaci delle teorie di QAnon, lo sanno tutti qual è il tuo vero scopo: quello di rapire i bambini e rinchiuderli da qualche parte (magari in una pizzeria del Nord America) e trasformarli in pericolosissimi marmocchi devoti a Satana.
Sì, perché «i bambini ci guardano», come disse alcuni mesi fa l’onorevole Augusta Montaruli (FdI, ora sottosegretaria al ministero dell’università e della ricerca), nel bel mezzo di un dibattito parlamentare sulla cannabis (tema su cui notoriamente la politica italiana dà il meglio di sé).
E del resto, le sue parole non fanno una piega: quale bambino nel tempo libero non si mette a vedere le sedute parlamentari in diretta? L’idea – distopica – evocata dall’onorevole è che i bambini osservino in continuazione i nostri comportamenti e li giudichino, un po’ come farebbe Dio secondo i credenti.
Al suo fianco c’è l’idea – tirata continuamente in ballo nei dibattiti – che proporre innovazioni etiche sia pericoloso per i bambini: è il “think of the children argument” (“qualcuno pensi ai bambini!”), una fallacia logica che è anche leitmotiv della propaganda cristiana e conservatrice.
Il nome “think of the children argument” è stato preso in prestito nel lessico giornalistico americano dalla brillante serie di cartoni animati The Simpsons. Si tratta di un atteggiamento retorico che, nei casi migliori, mira a suscitare pietà nei confronti dei bambini vittime di abusi e violenza.
Uso senz’altro più che giusto: lo sfruttamento e il traffico di minori sono delle piaghe sociali e la condanna della società civile è quasi unanime. Nei casi peggiori, diventa un espediente retorico finalizzato ad avvelenare il dibattito sui temi etici e – in particolare – sulla sessualità.
E così, il “think of the children argument” ha iniziato a spopolare tra i repubblicani, i quali da anni sono sempre più ostili alle rivendicazioni woke per via dell’influenza del cristianesimo evangelico (che sui temi etici ha posizioni, se possibile, ancora più reazionarie della chiesa cattolica).
In poco tempo, come spesso accade, il fenomeno ha poi oltrepassato l’oceano Atlantico e ha preso piede anche in Europa. E così in Italia politici e opinionisti di area cattolico-conservatrice ne hanno fatto un cavallo di battaglia.
Non c’è discussione su temi etici che non venga sabotata dal “think of the children argument”. Legalizzare il matrimonio omosessuale? Per carità. La priorità è difendere la famiglia tradizionale e – soprattutto – i bambini (come se la priorità delle coppie omosessuali fosse quella di diffondere divorzi nelle famiglie eterosessuali e scandalizzarne i figli).
In genere chi la pensa così afferma di non avercela affatto con i gay, salvo poi dichiarare che è meglio che le persone omosessuali evitino effusioni di affetto in pubblico, perché i bambini (sic!) potrebbero turbarsi. E già che ci siamo, via le coppie gay pure da film e serie tv: non vorremo mica confondere i minori?
Ovviamente lo stesso ragionamento viene esteso a qualsiasi tematica inerente alla sessualità, che in ultima analisi è il vero “uomo nero” della situazione. E così, in molti (come l’attuale presidente del consiglio) sono dell’idea che l’educazione sessuale debba essere in capo alle famiglie perché «è un tema sensibile» che quindi – surprise – potrebbe turbare i bambini.
Il problema è che non vi è alcuna certezza che tutte le famiglie siano preparate allo stesso modo a discutere il tema in modo sereno – anzi, la natura stessa della statistica spinge a pensare il contrario. Il principio su cui si basa la scuola pubblica è quello della democraticità dell’educazione. Far calare il sipario sull’educazione sessuale nelle scuole creerebbe un divario tra chi cresce in famiglie preparate in questo senso e chi è meno fortunato.
Il “think of the children argument” ha dei tratti caricaturali e ridicoli, ma non bisogna sottovalutarne la pericolosità. Chi fa continuamente leva sul “think of the children argument”, apparentemente persegue la creazione di una società children friendly, o a misura d’infante.
Dietro a questa patina zuccherina si cela però il vero obiettivo: creare una società puritana in cui la sessualità è nascosta sotto il tappeto e le minoranze sessuali sono di fatto costrette a nascondersi.
Simone Morganti
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