Oggi Lorenzo Milani avrebbe compiuto 100 anni. Il prete di Barbiana celebre per Lettera a una professoressa, opera di scrittura collettiva con i suoi allievi, è diventato, negli anni successivi alla sua morte, oggetto di studio accademico nell’ambito della pedagogia critica – sovente affiancato a Paulo Freire -, fonte di ispirazione per generazioni di professionisti dell’educazione e dell’istruzione come insegnanti ed educatori e infine, guru dell’antimeritocrazia, dell’anticlassismo nella scuola e, anacronisticamente, dell’inclusività del sistema e della comunità scolastica.
Fiumi d’inchiostro sono stati scritti elogiando la sua originalità, rivoluzionarietà e acutezza nell’individuazione dei punti di fragilità di una scuola pubblica che negli anni ‘50 e ‘60 ancora non si era affrancata da un approccio censorio al diritto all’istruzione.
A dirla tutta Lorenzo Milani è un personaggio pieno di ambiguità e cosiddetti “lati oscuri” (dalle punizioni corporali ammesse come strumento didattico al suo palese conservatorismo e irrimediabile arroganza), che tuttavia non dovrebbero essere considerati aspetti “a parte” della sua figura, ma perfettamente integrati ad essa, senza troppe sorprese o sgomento.
Non è adesso questa la sede per discutere dei limiti della sua pedagogia o denunciare il suo conservatorismo dietro il fondotinta rivoluzionario, aspetti spesso taciuti. Pertanto ciascuno consulti le fonti verificate e si faccia la propria idea.
Ciò che interessa a noi è prendere invece in considerazione e valutare la consistenza della libertà religiosa all’interno della scuola e dei percorsi di formazione professionale. In altre parole: guardiamo alla tutela della libertà religiosa di coloro che sarebbero i destinatari della pedagogia di Lorenzo Milani, ovvero gli studenti a rischio dispersione scolastica, i drop-out (ragazzi che hanno abbandonato la scuola) e early leavers (ELET, Early Leavers from Education and Training).
Propongo dunque in questo breve articolo una celebrazione inversa del centenario di Lorenzo Milani: lasciamo da parte il prete di Barbiana e prendiamo in considerazione coloro che sarebbero i destinatari della sua pedagogia, ovvero quelli che sarebbero stati i suoi allievi, oggi chiamati drop-out. Come se la passano questi studenti nell’Italia dell’istruzione pubblica ahinoi confessionale?
Prima di entrare nel nostro merito specifico, ritengo opportuno introdurre all’argomento coloro che sono nuovi nell’ambito e fornire qualche dato sulla situazione in Italia negli ultimi anni. Brevemente, con dispersione scolastica si intende l’insieme delle bocciature, degli abbandoni e il mancato conseguimento da parte dei minori e giovani dell’istruzione prevista come obbligatoria.
Secondo l’Istat in Italia, nel 2021 la quota di 18-24enni con al più un titolo secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è stimata al 12,7% (517mila giovani). Nonostante l’Italia abbia registrato notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici, la quota di ELET resta tra le più alte dell’Ue (9,7%), inferiore solo a Spagna (13,3%) e Romania (15,3%); scende al 7,8% in Francia e all’11,8% in Germania. Abbandonano la scuola più i ragazzi (14,8%) delle ragazze (10,5%).
Tra i giovani con cittadinanza non italiana, il tasso di abbandono precoce degli studi è oltre tre volte quello degli italiani: 32,5% contro 10,9%. L’incidenza di abbandoni precoci tra gli studenti nati all’estero varia molto a seconda dell’età di arrivo in Italia. Per chi è entrato in Italia quando aveva tra i 16 e i 24 anni la quota raggiunge il 55,9%, tra i 10 e i 15 anni il 37,0%, tra quelli arrivati entro i nove anni di età la quota, pur restando elevata, scende al 21,8%.
Il fenomeno è monitorato a livello europeo attraverso la quota di 18-24enni che, in possesso al massimo di un titolo secondario inferiore, sono fuori dal sistema di istruzione e formazione.
Dai risultati rielaborati da un’indagine pubblicata dall’Istat nel 2022 è emerso che la maggior parte degli alunni campione dell’indagine (38,6%) ritiene causa di abbandono più importante l’ansia da prestazione provocata dallo stress della valutazione e dal carico dei compiti; in seconda battuta troviamo lo scarso interesse da parte delle famiglie (24,4%); al terzo e al quarto posto, relazioni conflittuali tra studenti e/o docenti (20,9%) e disagio socio-economico (5,8%).
Quasi mai l’abbandono scolastico è dovuto a un unico fattore. Spesso è il risultato di interazioni e combinazioni tra elementi legati al funzionamento della scuola, alla sua organizzazione e alla sua cultura, alla composizione della classe e della scuola per status socio economico, la provenienza etnica, l’orientamento religioso.
Sul piano delle attività di contrasto alla dispersione scolastica, gli interventi più diffusi risultano i corsi extra-curriculari, seguiti dai corsi professionalizzanti. In questa seconda tipologia dei corsi professionalizzanti rientrano, per lo più, i percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) destinati ai giovani in obbligo di istruzione/diritto-dovere formativo. Questo riporta il rapporto INAPP 2022 titolato sulle strategie nazionali e regionali di contrasto alla dispersione formativa.
Secondo il Rapporto INAPP 2017 sul sistema IeFP, quest’ultimo risponde ad una duplice esigenza: da un lato la richiesta, da parte dei giovani e delle famiglie, di una formazione professionalizzante che non trascuri le competenze di base per il diritto alla cittadinanza attiva, consentendo al contempo di puntare ad un inserimento occupazionale a breve termine; dall’altra il sistema IeFP svolge una funzione di inclusione sociale.
Infatti a questa offerta formativa si rivolge un’utenza spesso costituita da ragazzi che arrivano con il peso di un precedente insuccesso formativo sulle spalle.
Nel medesimo rapporto si afferma che la capacità di favorire un’utenza generalmente demotivata al’apprentimento nella fase iniziale, si deve ad una specifica attenzione rivolta agli allievi attraverso la realizzazione di una serie di misure di supporto: azioni di orientamento, accompagnamento e socializzazione, percorsi di recupero degli apprendimenti e arricchimento curricolare.
Inoltre, l’ampio ricorso a metodologie didattiche partecipative e la stretta connessione con il lavoro, garantiscono la possibilità di ricostruire e mantenere alta la motivazione all’apprendimento e all’autorealizzazione.
Dopo questa lunga introduzione veniamo a noi.
All’interno degli IeFP, che abbiamo brevemente presentato e che, come mostrano le ricerche, rappresentano un valido strumento per l’inclusione sociale di soggetti svantaggiati (pensiamo a DSA, BES, minori stranieri non accompagnati, minori stranieri, minori con famiglie disfunzionali, eccetera), l’IRC, o l’alternativa, deve far parte del piano formativo. Sono previste infatti dalle 20 alle 35 ore annue dell’Unità Formativa: “Religione cattolica o materia alternativa”.
Neanche a dirlo, dalle 20 alle 35 ore che potrebbero essere dedicate all’aumento delle attività volte all’orientamento, al sostegno e al potenziamento delle capacità personali e delle competenze professionali (o linguistiche: anche le ore di inglese ammontano all’incirca dalle 20 alle 40 l’anno), coerentemente con la funzione di strumento per l’inclusione sociale e contrasto alla dispersione scolastica che gli IeFP costituiscono.
Ma non finisce qui.
Esistono delle specifiche “Linee guida per l’insegnamento della religione cattolica nell’istruzione e formazione professionale (IeFP)” contenute nel D.P.R. 20.08.2012 denominato “Esecuzione dell’intesa sulle indicazioni didattiche per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e nei percorsi di istruzione e formazione professionale” firmata il 28 giugno 2012 tra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (allora Profumo) e il Presidente della Conferenza episcopale italiana (allora Bagnasco).
Per chi fosse stuzzicato dalla curiosità di avere un’idea di cosa vi è scritto, questo è un breve estratto dell’allegato 4 dedicato appunto ai percorsi IeFP:
“Nei percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFP) l’Irc offre contenuti e strumenti per la formazione personale arricchita dal confronto sistematico con la concezione cristiano-cattolica del mondo e della vita che possa qualificare anche l’esercizio professionale; affronta la questione universale della relazione tra Dio e l’uomo, la comprende attraverso la persona e l’opera di Gesù Cristo e la confronta con la testimonianza della Chiesa nella storia.
Nell’attuale contesto multiculturale, il percorso formativo proposto dall’Irc favorisce la partecipazione ad un dialogo aperto e costruttivo, educando all’esercizio della liberta’ in una prospettiva di promozione della giustizia e della pace in vista di un inserimento responsabile nella vita sociale e nel mondo del lavoro.”
Come può una simile Unità Formativa, date tali linee guida, essere coerente con gli obiettivi dei corsi IeFP stessi?
È il caso di chiedersi che cosa ha a che fare tutto questo con quanto detto precedentemente sulle attività funzionali al reinserimento e alla permanenza nel percorso formativo e alla preparazione professionale. La risposta, qualora ci fossero dei dubbi, è “niente”. Ma niente è poco.
Ora immaginate una classe di 15 persone all’interno della quale ci sono studenti stranieri italofoni e non, ragazzi che vivono lontani dalle famiglie di origine, ragazzi con disturbi dell’apprendimento o disabilità, ragazzi che hanno vissuto con insuccesso il contesto scolastico (bulli o vittime di bullismo, mancato inserimento nel gruppo dei pari), ragazzi con dipendenze e ragazzi con disturbi del comportamento.
Come mostrato dai documenti INAPP, il lavoro su questi gruppi classe è proprio incentrato sulla creazione e il rafforzamento delle relazioni tra gli allievi e tra gli allievi e i tutor e i docenti. L’importanza del sistema relazionale all’interno della realtà scolastica è stata confermata da studi sull’integrazione scolastica in classi con alta presenza di alunni stranieri, dove il buon clima di classe è stato in grado di attenuare le influenze sociali.
Viene svolto quindi un lavoro di consolidamento e coesione delle relazioni nell’ambiente formativo, creando e mantenendo il gruppo classe, al fine di prevenire di un ulteriore abbandono, spesso l’ultimo, quello definitivo. Ricordo il dato riportato precedentemente: le relazioni conflittuali tra studenti e/o docenti costituiscono il 20.9% dei motivi di abbandono scolastico secondo gli studenti.
Ora immaginate che questo gruppo dalla precaria stabilità e coesione venga diviso in due gruppi dalle 20 alle 35 ore l’anno: quelli che si avvalgono dell’Irc e quelli “non avvalentisi” (per usare un gergo concordatario).
Verosimilmente si separano quelli cattolici o indifferenti alla scelta da quelli atei/agnostici o appartenenti ad altre confessioni. Poi ci saranno coloro che sceglieranno di uscire duranto l’ora di Irc (il terzo gruppo). Come può, di nuovo, una simile Unità Formativa essere coerente con gli obiettivi dei corsi IeFP stessi?
E non è ancora finita: gli istituti e le agenzie formative che erogano corsi IeFP sono tenuti a reclutare insegnanti di religione, indovinate… scelti dal vescovo e pagati dallo Stato o dalle Regioni che attingono al Fondo sociale europeo. Qui anche i contribuenti europei pagano gli insegnanti di IRC.
L’ora di religione è un elemento di forte iniquità e lesione del principio di laicità dello Stato, come Uaar lo abbiamo sempre affermato e ribadito.
I vari dibattiti teorici sul pensiero e il lascito di Lorenzo Milani sulla scuola pubblica e sull’istruzione “inclusiva” tralasciano spesso la prospettiva sugli studenti a rischio dispersione scolastica e ignorano del tutto la questione della laicità della scuola e dell’educazione pubblica. Quale materia è tanto discriminatoria ed escludente quanto l’Irc?
Se in questi giorni di celebrazione del pensiero e delle gesta di Lorenzo Milani proviamo a spostare l’attenzione dal famoso pedagogista a quelli che sarebbero i beneficiari della sua pedagogia e a rispondere alla domanda di apertura del presente articolo: come se la passano i drop-out nell’Italia dell’istruzione pubblica confessionale e cattolica? Male direi.
Maria Pacini
Approfondimenti:
ISTAT – Le cause della dispersione scolastica: parlano gli alunni
INVALSI Open – Le cause della dispersione scolastica
Decreto del Presidente della Repubblica 20 agosto 2012, n. 176 – Esecuzione dell’intesa sulle indicazioni didattiche per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole del secondo ciclo di istruzione e nei percorsi di istruzione e formazione professionale firmata il 28 giugno 2012 tra il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e il Presidente della Conferenza episcopale italiana
Edscuola – Dispersione scolastica: le cause, come riconoscere i segnali e come intervenire
La Repubblica – Don Milani, che mascalzone
Vita – Don Milani 100%
Lorenzo Milani – Lettera a una professoressa
Quel poco che so dell’educatore Milani proviene dai telegiornali di questi giorni. Se è vero quanto ho sentito, Don Milani ha dato un’istruzione e un avviamento professionale a ragazzi che non avrebbbero avuto niente. Estrapolato in un contesto odierno sarebbe un pessimo insegnante e educatore. Sulla religione che infesta l’insegnamento, i progressi sono stati veramente miseri, fino ai casi comici della maestra sarda che faceva dire il rosario in classe. E’ evidente che a tutta la classe politica e alla maggioranza degli italiani sta bene così. Altrimenti ci sarebbero proposte per abolire l’ora di religione dalla scuola pubblica e tutto il concordato.
Sulla dispersione scolastica, il discorso sarebbe lungo.
Dico solo che l’ossessione per l’ “inclusività” ha schiacciato tutto l’insegnamento verso la mediocrità, penalizzando sia i migliori che potrebbero seguire classi più avanzate, sia i meno performanti, per varie cause, che non trovano percorsi alternativi più adatti alle loro necessità.
Il sociologo Luca Ricolfi (“la societa signorile di massa”)ricorda di Don Milani l’affermazione : “La scuola non dovrebbe bocciare nessuno !”
Non credo si tratti di una delle sue migliori uscite,malgrado suoni cosi “politicamente corretta”.
Perche’ a meno di pretendere che la scuola sia in grado di rendere intelligente chi ha la disgrazia di non esserlo,vale a dire di compiere miracoli,l’unica alternativa e’,
come dice lo stesso Ricolfi,”abbassare sempre piu’ l’asticella”,conferendo titoli finali a chi non era in grado di meritarli,togliendo quindi ogni valore a tali titoli.
E,cosa anche peggiore,eliminando ogni incentivo a meritarli,anche riguardo a quegli individui che ,opportunamente guidati,ne sarebbero capaci.
E non si puo’ dire che Milani non abbia fatto largamente scuola in quel senso in Italia,probabilmente senza nemmeno volerlo.
Più che un educatore direi un condizionatore.
Se non avesse potuto impartire il suo condizionamento si sarebbe comunque occupato dei ragazzi?
Secondo me l’ora di religione ha come principale effetto negativo uno spreco di tempo e di risorse pubbliche.
Perche’ credo che come “condizionamento”,specialmente nella scuola media,ormai sforni ben pochi “soldati di Cristo”.
Ricordate come in questa sede tempo fa era nota come l”ora del parrucchiere”,perche dedicata soprattutto a chiacchiere varie ?
Probabilmente l’influenza ecclesiastica si fa sentire in modo molto piu’ insidioso in altri ambiti,ad esempio nella stesura dei libri di storia riguardo alla parte avuta dalla Chiese nella Storia stessa.
Ecco un pensierino a quel don Lorenzo Milani che, per le classi subalterne e «per non lasciare fuori nessuno» come disse lui stesso, passava per democratico ed innovatore pur nella miseria della sua proposta che prevedeva non che i proletari imparassero a leggere a scrivere a far di conto a pensare, ad assumere coerente spirito critico, ma a compilare i bollettini di c/c postale.
Certo, la mia affermazione pecca di eccesso di semplificazione. Ma nel numero del 6 giugno 2017 di LiberEtà, il mensile del sindacato SPI/CGIL, si riporta una domanda fatta ad un ex-allievo di don Milani: «Qual è il ricordo più bello della tua esperienza di allievo di don Lorenzo?». L’ex-allievo, ormai uomo maturo, così risponde: «Tiro a sorte e ti racconto di quando i primi sei ragazzi di Barbiana lasciarono per la prima volta la loro montagna a seguito di un regalo di un amico che donò loro sei biglietti per assistere alla Bohème di Puccini alla Scala di Milano. Passammo un anno intero a studiare tutto Puccini, a sentire decine di volte l’opera col nostro giradischi a molla, a studiare il teatro e i suoi arredi. Finalmente col treno affrontammo il viaggio. L’impatto con la Scala fu di rabbia e di ribellione: quelle donne avvolte in abiti costosissimi che mettevano in evidenza le loro forme, quei signori in abiti buffi con la farfalla: tutto era offesa alla povertà. Di cultura nulla o quasi. Ci fecero tornare ai nostri monti con la convinzione che quello era un mondo ipocrita da cui stare lontano e che il vero mondo era quello degli operai e dei contadini che rappresentavano il 90% dell’umanità, e che dovevamo studiare per affermare questo mondo e ostacolare quello della Scala.»
Cioè: la scuola di don Lorenzo Milani non c’è come scuola nel ricordo più bello.
Io mi chiedo: non gli è passato per la mente, né il suo maestro evidentemente glielo ha ricordato perché prete era e quindi ipocrita, di vedere la ricchezza della sua chiesa, che è la stessa chiesa del suo maestro, che razza di schiaffo dava e dà ogni giorno alla miseria? Perché, per fare solo un esempio, negli anni ’70 l’abito di un vescovo o di un cardinale costava dai 6 agli 8 milioni di lire… e ne sono ben sicuro in quanto la notizia mi colpì in modo traumatico e ne feci un appunto a pro della memoria. Nel tempo in cui un abito per una persona normale, fatto per il giorno del matrimonio e completo di scarpe pantaloni giacca camicia, costava, a farla grande grande, 500 mila lire. Mentre nell’anno 2020, l’abito di un cardinale costava 6.000 euro: tanto infatti è costata la sottana che è stata pagata dal Comune di Monteroni di Lecce con denaro pubblico da una sindaca imbecille e ladra a tale Marcello Semeraro quando fu nominato cardinale dal gesuita massimo, il papa bianco cioè.
Oltre che offesa alla povertà, nella sua chiesa c’è pure l’offesa alla realtà perché quando sentiamo di applausi ed accoglienze oceaniche rivolti al papa, dobbiamo ricordare quanto afferma lo psichiatra Giovanni Jervis che fu collaboratore di Ernesto De Martino e di Franco Basaglia. E cioè che: La dipendenza mitizzante di figure poco accessibili, perché distanti dalla quotidianità ordinaria, sembra giocare un ruolo chiave in tutte le operazioni nelle quali un individuo è condotto a rinunziare gradatamente alle proprie capacità di discernimento. (G. Jervis Contro il relativismo)
Tornando a don Lorenzo Milani, penso con un certo disgusto al famoso Lettera a una professoressa del 1983, che io ho riletto attentamente fino a pagina 39 e il seguito piuttosto distrattamente -fermandomi qua e là col pensiero quando lo scritto lo richiedeva- per la incapacità degli autori a consegnarci un testo lineare. Ma in ciò si vede che dalla scuola come loro l’hanno avuta non hanno imparato una sintesi efficace ed onesta del discorso scritto e della composizio0ne di un testo. C’è voluto del tempo, per esempio, a capire dove fossero le tavole A-B- ecc. perché nelle note a piè di pagina non c’è indicazione della loro posizione. A mano a mano che procedevo nella lettura il testo diventava noioso e paranoico. Il libro è apparentemente a difesa delle masse popolari; in effetti si distingue per demagogia doppiogiochista perché non si vede la necessità esplicita di intaccare i privilegi delle classi dominanti. Non si è capito, non si è voluto capire, che la Storia insegna come siano proprio le religioni il nemico del proletariato: esse annullano lo spirito critico a pro delle classi dominanti. Non si scrive del vecchio e fondamentale problema del divario tra città e periferia, tra città e campagna. Non meraviglia che il libro abbia avuto un buon successo in questa Italia pretesca, serva e vile. Truffaldino è l’invito di pagina 120 a sostituire col Vangelo i classici della nostra letteratura: cioè testi certi e fondanti da sostituire con il falso! Gli autori sapevano che furono proprio i gesuiti i primi oppositori e i più accaniti, alla istruzione generalizzata del popolo al tempo della legge Casati? Bellissimo, poi, l’invito di pagina 86 al celibato per gli insegnanti sul modello dei preti; i quali preti, però, si fanno le donne degli altri e le suore e i ragazzini immaturi o problematici o certi altri allevati col catechismo. Nell’allievo intervistato c’è la solita aberrante sessuofobia quando si sottolinea che le donne «mettono in evidenza le loro forme». C’è un insieme, un po’ caotico, di buono e di bello che non trova modo di manifestarsi appieno in una sintesi politica a favore delle masse proletarie e quindi è solo apparentemente buono e bello. Insomma, è un libro ipocrita!
Gramsci, invece, che non era un perditempo, sollecitava i proletari ad impegnarsi seriamente anche nello studio del latino perché se non conosci la cultura della classe dominante non puoi combatterla e realizzarne i correttivi. E la “vecchia scuola” aveva di certo il pregio che chiedeva impegno anche se era dettata dall’idealismo, che favorisce le classi dominanti, e di conseguenza metteva in testa certamente nozioni inutili o dannose per la maturità degli allievi.
@Manlio Padovan
“E la “vecchia scuola” aveva di certo il pregio che chiedeva impegno anche se era dettata dall’idealismo, che favorisce le classi dominanti, e di conseguenza metteva in testa certamente nozioni inutili o dannose per la maturità degli allievi.”
E ti pare poco ?
Il grande ,principale,innegabile pregio della “vecchia scuola” era quello di cacciare bene in testa alla gente il principio fondamentale : che per ottenere qualcosa nella vita occorre sgobbare !!
E lo otteneva senza bisogno di “punizioni corporali” come quelle approvate da Don Milani ( ci pensavano semmai i genitori)ma semplicemente elargendo valutazioni inequivocabili sotto forma di voti numerici (sostituiti oggi da fumosi giri di parole)
senza fare regali come il “6 garantito”.
Altro che abbassare l’asticella per “non bocciare nessuno”,sfornando una pletora di “analfabeti funzionali”,(aka “ignoranti asinini”)che ha finito con l’inghiottire anche individui potenzialmente dotati ma privi di motivazioni.
Individui che poi si scontrano inevitabilmente con un mondo del lavoro che ,guarda caso,ha conservato le vecchie usanze : vuole gente in grado di lavorare.
E chi credete che abbia qualche possibilita in questo bel quadretto,se non i figli di papa ultra raccomandati ?
Magari per ambire a posti di gestione della cosa pubblica,con i bei risultati che sperimentiamo sulla nostra pelle quasi giornalmente.
Scusa ma non ho capito: forse l’età comincia a cerarmi qualche problema.
Non mi apre che sollecitare l’impegno sia un difetto.
Tanto è vero che il degrado è giunto ad un punto tale da fare registrare anche a te importanti traguardi di regresso.
@Manlio Padovan
Ma il mio discorso sosteneva proprio questo !
Che indipendentemente dall’utilita delle materie insegnate ( per me il latino ad es era un puro spreco di energie,sarebbe stata molto piu’ utile una seconda lingua straniera)la scuola imponeva ( a suon di quattro) di sgobbare, e inculcava quindi la buona convinzione che qualunque cosa richieda impegno.
O “abbassare l’asticella” ti sembra una metafora troppo ermetica?
Aggiungo che mi torna alla mente la funzione del latino nella scuola media inferiore. Quel latino che è stato eliminato perché socialmente discriminatorio; cioè sperequativo tra classi sociali. Ma non si è voluto capire che non il latino in sé era sperequativo, bensì il modo di insegnarlo in quanto esso presupponeva che gli allievi provenissero tutti da famiglie con genitori che avevano frequentato il liceo. È la scuola media unificata che è discriminatoria, sperequativa tra classi sociali, lasciando abbandonate a se stesse le masse proletarie negando loro l’emancipazione culturale, col liceo riservato, come il solito, ai rampolli delle classi dominanti.
E credo che per noi italiani studiare almeno un po’ di latino favorisca la conoscenza dell’italiano come lingua, oggi così trascurata, e di impadronirsi di un po’ di logica che il latino insegna.
La scuola di una volta sarà stata meritocratica, ma anche classista. Purtroppo non era meritocratica la società. Io ho fatto il liceo scientifico negli anni ’70 e ingegneria ad inizio anni ’80 e la scuola di allora era classista, nel senso che a studiare erano prevalentemente i figli dei benestanti o al massimo dei piccoli borghesi, mentre i figli di operai come me erano una rarità, per loro in genere al massimo c’erano gli istituti tecnici e professionali. Ovviamente bisognava studiare, e se non eri benestante incontravi più difficoltà degli altri (però il PCI invitava i “proletari” a studiare proprio per combattere il classismo), ma i figli di papà cadevano sempre in piedi grazie a notevoli spinte dei genitori con ripetizioni, scuole private dove gli asini diventavano dei geni e decenni parcheggiati all’università, magari scegliendo una università “facile”, e se non ce la facevano un posto glielo trovavano nell’azienda di famiglia o con qualche appoggio clientelare politico o del prete. Non mi pare che da allora sia cambiato molto visto che anche tra i nostri politici il livello di istruzione o di cultura non è elevato ed anche per far carriera contano più le tessere e le clientele (vedere Cl qui in Lombardia).
Io sono ovviamente un sostenitore della scuola meritocratica e selettiva (a ingegneria, al Politecnico di Milano, quando qualcuno si lamentava della durezza degli esami dicevano candidamente che dovevano fare selezione), ma dovrebbe esserlo anche la società: è poco incoraggiante per uno studente faticare a studiare per poi vedere le scarse prospettive che oggi il mondo del lavoro offre (anche se la scelta di che cosa studiare dovrebbe essere fatta anche sulla base delle prospettive).
La scuola di don Milani è una scuola vecchia, ottocentesca, dove ai poveri contadini bastava insegnare qualcosa: se negli anni ’60 c’erano delle zone così arretrate era un problema sociale dell’Italia a cui bisognava rimediare, non adattando la scuola ad una società arretrata. Purtroppo mi sembra che in Italia permanga ancora un’avversione verso l’età moderna, tecnologica e scientifica: gli altri vanno avanti, se livelliamo la nostra per aspettare tutti frustriamo le persone capaci e rimaniamo indietro. Don Milani fa parte di quel mondo cattolico agiografico, retorico ipocrita e mitizzato come quello di don Bosco: modelli da evitare.
Ancor oggi c’e senza dubbio un sacco di gente che elogia il latino,era perfino l’opinione di mio padre,ma penso che in buona parte si tratti di puro conformismo.
Rifletteteci , a tutti gli effetti e’ una lingua morta,nessuno la parla,a parte ovviamente gli ecclesiastici,che la parlano soprattutto dinanzi al pubblico per ostentare un tono solenne senza in pratica dire niente,a parte i soliti cliche secolari.
Perpetuando una tradizione secolare,di quando anche la massa dei fedeli pregava in latino senza,letteralmente ,capire cosa stesse dicendo,a parte pochi privilegiati.
Puo’ essere utile chi intraprenda studi storici,per lo studio di antichi documenti,ma e’ puro controsenso per chi si occupi di scienze o ingegneria.
Per questo sono infinitamente utili le lingue straniere,primo fra tutti ovviamente l’inglese,piaccia o non a qualcuno per motivi “politici”.
Lo studio di inglese,francese,tedesco o spagnolo non impegna e stimola la mente
sicuramente di meno del latino.
Quanto a perfezionare l’italiano basterebbe semplicemente leggere un po’ di libri,anche solo le traduzioni di romanzi di autori di un minimo di professionalita,perfino i gialli di Agata Christie o la fantascienza di Asimov e Clarke,
o i saggi di Federico Rampini,per migliorare la padronanza di grammatica e sintassi,come pure arricchire il proprio vocabolario,
come padroneggiare quell’ironia intelligente.,che spesso e’ lo strumento piu’ civile e d efficace per dominare una discussione.
Migliorando contemporaneamente la propria cultura,insidiata dall’analfabetismo funzionale.
Se c’e una cosa di valore a buon mercato,addirittura GRATIS,sono proprio i libri di ogni genere.
Grazie al formato EPUB e’ possibile scaricarne a iosa de Emule o da siti un tantino “irregolari”,gratis,e conservarne centinaia nello smartphone per combattere la noia della sale di aspetto.
Ma in un paese doveil 50% della popolazione non legge nemmeno un libro all’anno,tutto questo e’ un discorso ozioso.
Dimenticavo : in passato ho letto diverse volte che circa il 17% degli italiani termina la
scuola dell’obbligo in condizioni di “semianalfabetismo”,che qualunque cosa significhi esattamente non e’ certo incoraggiante,anche se sarebbe certamente soddisfacente,da un certo lato,per Don Milani : “Non bocciare nessuno”,ricordate?
Secondo me il latino “è considerato importante” perchè per come è stata costruita la nostra scuola abbiamo molti insegnanti di lettere e di religione da piazzare. E’ un po’ il problema avuto con gli insegnanti di francese: mentre il mondo andava avanti verso l’inglese noi continuavamo a foraggiare questo insegnamento perchè avevamo parecchi insegnanti di francese nella scuola.
Oltre al problema di trovare un lavoro per chi si laurea in lettere: quali sono le loro prospettive lavorative al di fuori dell’insegnamento? Troppo qualificati per fare i giornalisti ed eccessivamente “acculturati” per fare i politici.
Piccolo pensierino della sera.
A Dostoevskyj e’ attribuita (poco importa se a ragione o no)questa piccola osservazione :”La tolleranza arrivera al punto che alle persone intelligenti sara proibito esprimere opinioni per non offendere gli imbecilli!”
Beh, al “telegiornale in forma ridotta per andare incontro all’ignoranza del pubblico”
di Luttazziana memoria ci sono già arrivati.
È da alcuni giorni che i tg aprono con le storiche* esternazioni di s.B.
*) Storiche come storici per antonomasia i suoi viaggi (a sbafo).