Una bella sconfitta

Dopo quattro vittorie dell’Uaar sull’ora alternativa, un ricorso non viene accolto dal Tar Lazio. Ma il tribunale comunque ribadisce un principio: le scuole devono garantire sempre l’alternativa, indipendentemente dal numero di iscritti. Affronta il tema la nostra responsabile iniziative legali Adele Orioli sul numero 4/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Come prevedibile, vuoi per il contesto contemporaneo vuoi anche e solo per statistica, dopo quattro luminose vittorie di fila è arrivato il mancato accoglimento di un ricorso dell’Uaar. Eppure la sentenza di rigetto, anche se non luccica, contiene alcune pepite che siamo certi torneranno davvero utili.

Con una delle succitate vittorie l’Associazione aveva ottenuto l’annullamento della circolare che differiva a settembre l’organizzazione delle opzioni per i non avvalentesi dell’insegnamento della religione cattolica, creando inevitabili ritardi e pesanti discriminazioni soprattutto per gli alunni, di solito i più piccoli, che optano per l’insegnamento alternativo.

La allora ministra Azzolina non aveva impugnato la decisione ma nell’emanare la nuova e ancora attuale disciplina ha comunque “splittato” fra la scelta di non avvalersi, che si fa al momento della iscrizione fra gennaio e febbraio, e la scelta fra le varie opzioni alternative all’irc, da effettuare sempre on line ma fra maggio e giugno per i soli non frequentanti irc.

Contro questo slittamento potenzialmente foriero di ulteriori disguidi e ritardi nell’organizzazione della vita scolastica dei non frequentanti, l’Uaar aveva proposto il ricorso che, come abbiamo detto, è stato respinto dalla sezione terza bis del Tar Lazio a fine aprile scorso.

Non basta, per la corte amministrativa, una separazione solo “formale” fra l’avvalersi o meno dell’irc e quella fra le possibilità a disposizione di chi sceglie di non fare religione, una separazione, cioè, contestuale ad esempio all’interno dello stesso modulo, come in tutta onestà continua a sembrarci logico.

Per il Tar questa scelta invece «sorge soltanto a seguito della scelta “a monte” di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, sicché non può pretendersi che all’atto dell’iscrizione venga compiuta una scelta non ancora attuale, e che diventa attuale proprio per effetto di quanto dichiarato in sede di iscrizione». Uhm. A chi scrive sembra che persino i moduli per la tessera del supermercato consentano di riempire differenti sezioni del modulo stesso a seguito di scelte “a monte”.

Fin qui, non benissimo. Così come continua a non convincere appieno la tesi che, una volta effettuata all’atto dell’iscrizione la scelta irc sì/irc no, sia garantito e concluso il diritto di libertà religiosa, che non permeerebbe a cascata quindi anche le differenti opzioni, compresa quella di uscire dalla scuola, previste per chi sceglie il no. Perché le opzioni sono comunque condizionate da una scelta “a monte” e, qualora non vengano garantite, altrettanto a monte si deve ricercare la lesione di un diritto. Ma tant’è, se fossimo tutti d’accordo non esisterebbero contenziosi e più gradi di giudizio.

Quello che segue nella lettura della sentenza è però particolarmente interessante. Non contesta infatti il Tar il perdurare di disagi e discriminazioni per i non avvalentesi, peraltro documentati in giudizio anche attraverso le segnalazioni e le richieste di aiuto allo sportello Sos Laicità. Imputa però il grave disservizio ai singoli istituti negligenti, non alla normativa in quanto tale che, nonostante lo split di qualche mese, permette comunque alle scuole di organizzarsi con congruo anticipo.

È netta la corte, lapidaria: «È da reputarsi perciò jus receptum che le scuole devono contemplare nella propria offerta didattico-formativa, assieme all’insegnamento della religione cattolica, un insegnamento ad essa alternativo: ciò a prescindere se vi siano o meno studenti che intendano avvalersene.

La singola scuola potrà e dovrà (ri)organizzare, contingentemente, le proprie risorse qualora nessuno studente, in un determinato anno scolastico, intenda avvalersi dell’insegnamento alternativo. La programmazione di quest’ultimo, invece, non sorge per effetto delle positive manifestazioni di preferenza dei non avvalentisi, bensì direttamente dal sistema normativo».

In soldoni: la scuola deve sempre prevedere e organizzare l’insegnamento alternativo all’irc, per obbligo di legge e a prescindere dall’esistenza o meno di richieste; se poi nessuno lo sceglierà si riorganizzerà di conseguenza. Non viceversa, come succede quasi sistematicamente, ove non vi siano anche indebite e più o meno dirette pressioni da parte di dirigenti o insegnanti verso altre opzioni o verso l’irc tout court.

Parole che andrebbero scolpite in ogni androne scolastico e che speriamo fungano da ulteriore deterrente contro la mancata attivazione dell’insegnamento alternativo alla religione cattolica.

E infatti prosegue il Tar: «Da quanto precede deriva che la singola scuola, sapendo all’inizio di luglio quanti studenti intendono avvalersi dell’insegnamento alternativo, non dovrebbe avere alcuna difficoltà a formare l’orario scolastico prevedendo l’erogazione di tale insegnamento, (che dovrebbe aver) già programmato».

Non possiamo che concordare ed è peraltro quanto tentiamo di ribadire nelle numerose diffide che inviamo come Associazione o in assistenza di genitori giustamente infuriati: l’insegnamento va previsto e attivato per tempo. Siamo oltremodo lieti che esista il cosiddetto “precedente”, di particolare cogenza nel diritto amministrativo, netto e limpido e che indichi la via per porre rimedio a quella che è, per parafrasare la corte, jus receptum: una ingiustificabile discriminazione.

«I disservizi nell’erogazione delle attività alternative (didattico-formative, di studio individuale assistito o non assistito, di entrata o uscita anticipata) ai non avvalentisi sono da ritenersi imputabili a carenze programmatorie e/o organizzative delle singole scuole e ad esse va posto rimedio tramite gli strumenti (amministrativi e, se del caso, giurisdizionali) contemplati dall’ordinamento».

Quanto queste carenze siano imputabili a ignoranza in buona fede e quanto al desiderio di corsie preferenziali per un insegnamento con via via minor appeal non è – sempre – dato sapere. Ci auguriamo però che, non fosse altro in ossequio al principio di buona amministrazione, i direttori scolastici riottosi e negligenti non vogliano suscitare contenziosi, men che mai giurisdizionali, nei quali sarebbero inevitabilmente destinati a soccombere.

Ci auguriamo piuttosto che questa chiarezza sia posta a base non solo dell’ermeneutica delle circolari ministeriali e d’istituto, ma soprattutto a base dell’attuazione pratica del diritto non solo a non avvalersi della religione cattolica ma anche, ove lo si desideri, ad avere anche un insegnamento alternativo previsto, strutturato, inserito nei piani formativi dell’istituto.

Il tutto, sia detto, nell’attesa forse utopica ma giuridicamente concreta e fattibile che le ore di religione siano messe semplicemente in orario extrascolastico, obbligandoci sì gli accordi di villa Madama a fornire l’irc per ogni scuola di ordine e grado ma non a inserirlo, come invece accade adesso, fra una materia curricolare e l’altra.

Nel mentre però, questa è giurisprudenza potenzialmente dirompente: quanti a fronte di una offerta formativa alternativa convincente e strutturata continuerebbero a scegliere altro? Speriamo di scoprirlo presto, anche grazie all’Uaar (e persino quando perde).

Adele Orioli

 


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2 commenti

pendesini alessandro

« Viviamo in una società fondata su scienza e tecnologia. La scienza, è il caso di dirlo, ci circonda. Eppure, i programmi scolastici delle materie scientifiche rimangono gli stessi di cinquant’anni fa. Perché l’insegnamento della scienza possa acquistare un senso occorre invece fare delle scelte, metodologiche e di contenuto, che rompano rispetto alla tradizione e che consentano innanzitutto di far assaporare agli studenti ‘il gusto di fare scienza…. » « Per poter proporre a tutti – anche agli istituti tecnici e professionali in cui le scienze spesso hanno un basso numero di ore o vengono considerate propedeutiche – un percorso che desti e mantenga l’interesse dello studente per la scienza e per il suo modo di affrontare i problemi, occorre un cambiamento di rotta e scelte radicali. Se guardiamo infatti i programmi proposti dalla riforma ritroviamo – anche se con minor dettaglio rispetto al passato – gli stessi argomenti e la stessa sequenza dei libri di testo di 50, 60, 100 anni fa! E anche se le indicazioni sembrano spingere verso un maggiore collegamento con la realtà quotidiana e verso un fare scienza piuttosto che un apprendimento enciclopedico di nozioni scientifiche, la metodologia più diffusa d’insegnamento sembra sostanzialmente la stessa di cinquant’anni fa: lezioni frontali nei licei e negli istituti tecnici e professionali non a indirizzo tecnologico, addestramento a svolgere problemi nel liceo scientifico e a utilizzare strumenti e svolgere esperimenti di verifica negli indirizzi scientifici tecnologici. Perché l’insegnamento possa acquistare un senso occorre allora fare delle scelte, metodologiche e di contenuto, che rompano rispetto alla tradizione cui siamo abituati, ma che permettano di offrire, soprattutto agli studenti che non hanno scelto un indirizzo scientifico, il gusto di fare scienza, e di togliere loro il timore, e a volte il rigetto, per tutto ciò che è scienza. Si tratta di costruire una competenza di esplorazione autonoma dei temi scientifici rinunciando a dare un’infarinatura di tutto, chiedendo non di memorizzare una serie più o meno lunga di argomenti ma di interiorizzare un modello concretamene praticato che potranno riutilizzare quando nella vita si troveranno di fronte argomenti che non hanno potuto studiare. » (Giorgio Parisi- Premio Nobel fisica 10/21)
NB : Ho postato questo pertinente articolo sul sito preteso scientifico “L’Universo” il 28/5/25″….da allora sono stato CENSURATO e ESPULSO del SITO ! No comment…

RobertoV

Il sito “L’universo” a cui fai riferimento è quello “dell’Istituto geografico militare”?
Perchè in tal caso è assolutamente comprensibile che ti abbiano censurato ed espulso. Non può che essere filogovernativo e, quindi, non gradisce critiche alla riforma Valditara che parla sprezzantemente di chiunque osi criticare la sua riforma che lui ha affidato al giornalista propagandista Ernesto Galli della Loggia, col risultato che secondo loro lo scienziato dovrebbe avere una solida preparazione umanistica, quindi più latino, scrittura in corsivo e storia ideologica occidentale e più studio della bibbia (e niente dinosauri!). Oltre al fatto che la scuola deve essere più legata agli interessi delle aziende, coinvolgendo persone dalle aziende. Peccato che le aziende italiane siano tecnologicamente arretrate, a conduzione famigliare, non investano nella ricerca: quindi come faremmo a progredire adattandoci ad aziende di questo tipo, dove tutto ciò che era avanzato è stato progressivamente smantellato e ci si rallegra di essere forti nella moda, nell’alimentare e nel turismo, settori non di certo all’avanguardia? Inoltre Parisi è duramente attaccato e screditato sui giornali di destra perchè considerato di sinistra.

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