In Italia il fine vita resta senza una legge nazionale, nonostante gli appelli della Consulta. Intanto le Regioni si muovono in ordine sparso, ma così si creano disuguaglianze e incertezze. Affronta il tema Alessandro Cirelli sul numero 4/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Il tema del fine vita in Italia è senza dubbio fra gli argomenti più delicati e complessi del dibattito pubblico, politico e giuridico. Esso, infatti, tocca corde profondissime della coscienza di ognuno di noi, mettendone in gioco valori fondamentali come la dignità, la libertà individuale, la solidarietà, la sofferenza, il diritto alla vita e quello all’autodeterminazione. Si tratta di una questione che continua a sollevare interrogativi morali ed etici e che, inevitabilmente, polarizza l’opinione pubblica, dividendo sensibilità religiose e a-religiose, visioni filosofiche e orientamenti culturali.
Nel confronto sul fine vita si incrociano molte dimensioni: scientifica, medica, giuridica, religiosa, ma soprattutto umana. Si discute di scelte estreme, compiute spesso in condizioni di grande vulnerabilità e dolore, in cui il desiderio di porre fine a sofferenze insopportabili entra in tensione con il principio, fortemente radicato nella nostra cultura giuridica, della tutela della vita.

Il dibattito è reso assai complesso dalla ostinata e assoluta mancanza di volontà del parlamento di legiferare su questa materia. I plurimi appelli al legislatore da parte della Consulta, a partire dall’ormai lontano 2018, al fine di normare il tema del fine vita, sono rimasti tutti inascoltati.
Il risultato finale è, a oggi, una zona grigia, regolata da sentenze della Consulta, leggi regionali, e norme secondarie che determina un’evidente incertezza del diritto – tema a cui gli operatori del diritto si sono purtroppo abituati – certamente non compatibile con la serietà e l’importanza del tema.
Cercheremo in questo articolo di mettere alcuni punti fermi sul tema del fine vita e comprendere quale sia lo stato dell’arte a oggi.
Partiamo dal suicidio nel diritto penale.
Il suicidio – punito nel diritto romano per il pregiudizio arrecato allo Stato e nel diritto medievale anche perché considerato peccato dalla religione cristiana – non è punibile, neanche nella forma del tentativo, in tutte le moderne legislazioni penali. Punibili sono invece tutte le condotte che intervengono sul suicidio altrui: l’istigazione, l’aiuto morale e materiale, nonché l’omicidio del consenziente.
Circa la sua qualificazione giuridica, non convince né l’opinione secondo cui il suicidio sarebbe comunque un atto illecito seppur non punibile – a partire dall’entrata in vigore della Costituzione è avvenuto un superamento della visione pubblicistico/autoritaria della vita per la quale sarebbe punibile un suicida in quanto si determina una perdita per lo Stato in termini di forza lavoro, militare, economica, eccetera – né l’opinione opposta che lo ritiene un diritto inviolabile (articolo 2 della Costituzione) – se fosse un diritto, impedire a una persona di buttarsi da un ponte, ad esempio, sarebbe da considerarsi una violenza privata, e invece, ovviamente, non aiutare una persona in pericolo di vita configura un’omissione di soccorso.
Convince allora l’opinione maggioritaria che riconduce il suicidio a uno spazio di libertà riconosciuta all’individuo, e quindi una facoltà o libertà di fatto.
Vero e proprio diritto legalmente riconosciuto è invece quello di rifiutare trattamenti sanitari (salvo quelli obbligatori) e quindi a lasciarsi morire, anche lasciando disposizioni anticipate di trattamento (Dat), nonché alle cure palliative. Sia consentito osservare che è assai grave che la legge 219/2017 sul testamento biologico sia tanto dimenticata e sconosciuta ai più.
In un Paese che ha avuto il drammatico caso Englaro, in cui la giurisprudenza ha dovuto ricostruire presuntivamente la volontà di una ragazza rimasta in stato vegetativo per 17 anni, nel contesto di un’opinione pubblica polarizzata e una classe politica certamente non all’altezza (si ricordi il decreto-legge approvato dal governo Berlusconi soprannominato “salva-Eluana”, poi non emanato dal presidente Napolitano), una legge sulle Dat è talmente importante che dovrebbe essere oggetto di massicce campagne di sensibilizzazione e di informazione da parte delle pubbliche amministrazioni.
Proseguendo, fenomeno ben distinto dal suicidio tradizionale è il suicidio medicalmente assistito, tema oggetto della celebre sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-Antoniani (Dj Fabo). La Consulta, infatti, dopo aver lasciato invano un anno di tempo al legislatore per adempiere al proprio ruolo, ha deciso che, seppure il reato di cui all’articolo 580 del Codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) sia «funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili», non è reato l’aiuto materiale al suicidio quando l’aspirante suicida è una persona (A) affetta da patologia irreversibile che (B) è fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che trova assolutamente intollerabili, (C) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma (D) resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
In seguito a questa storica sentenza, ne sono seguite altre più recenti che l’hanno sempre confermata e consolidata, evidenziando ancora una volta la necessità di un intervento legislativo per garantire cure palliative e un quadro regolatorio omogeneo a tutela dei soggetti vulnerabili.
Nel 2021 circa un milione e trecentomila persone – stanche dell’inerzia legislativa – hanno firmato per una richiesta di referendum abrogativo per l’eliminazione di alcune parti dell’articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), e dunque per consentire l’eutanasia in Italia – fermo restando il consenso informato, le Dat e le condizioni della Consulta citate poc’anzi.
La Corte costituzionale, deputata al vaglio dell’ammissibilità del referendum, ha bocciato il quesito referendario poiché, a detta della Corte, «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili».
Anticipando un giudizio di legittimità costituzionale non richiesto, gli amatissimi (solo perché all’epoca presieduti da Giuliano Amato) e carissimi (solo nel senso di costosissimi) giudici costituzionali hanno in quel caso ampiamente sforato i limiti delle proprie competenze – ben definite dall’articolo 75 della Costituzione. Senza entrare ora in polemiche che ci porterebbero fuori strada, sia consentito solo osservare che è gravissimo che l’arbitro delle leggi strabordi dai confini dei propri poteri. Scomodando Giovenale: «Quis custodiet ipsos custodes?»
In seguito alla celebre sentenza Cappato-Antoniani (che ormai festeggia 6 anni), tutte le Regioni hanno dovuto far fronte al vuoto normativo e alle pressioni della società civile per una regolamentazione della procedura medicalizzata di assistenza al suicidio. Occorre tuttavia ricordare che l’articolo 117 della Costituzione pone in capo alle Regioni una competenza “concorrente” in materia di tutela della salute, mentre affida allo Stato in via esclusiva la materia degli ordinamenti civili e penali, nonché quella relativa ai livelli essenziali delle prestazioni.
È dunque argomento assai dibattuto e controverso in dottrina la facoltà di legiferare in materia di fine vita da parte di una Regione, senza una legge nazionale (l’aiuto al suicidio è materia di competenza dello Stato, in quanto disciplinato dal codice penale, come detto). Ci persuade l’opinione – minoritaria, ma più corretta – secondo la quale le Regioni possono (devono) intervenire in via attuativa, nell’ambito della loro competenza concorrente in materia di organizzazione sanitaria (articolo 117, comma 3 della Costituzione), senza creare nuovi diritti.
La prima (e unica) normativa regionale in Italia che disciplina le modalità organizzative per l’accesso al suicidio medicalmente assistito, con commissione etica, tempi certi e procedure per valutare le condizioni del paziente in conformità alle sentenze della Consulta 242/2019 e 135/2024, è nata in Toscana. La legge regionale numero 16/2025 (promulgata il 14 marzo 2025) è stata tuttavia impugnata dal governo Meloni avanti alla Corte costituzionale (9 maggio 2025) per conflitto di attribuzioni. Il governo ipocritamente lamenta un’invasione di campo da parte delle Regioni, ma non ci sarebbe alcuna invasione di campo se legiferasse (con decreto-legge).
Tutte le altre Regioni procedono in ordine sparso (vedi approfondimenti). Davanti a un legislatore sordo-cieco, a Regioni con sensibilità differenti e che procedono a macchia di leopardo, tribunali amministrativi che sospendono e rinviano a data da destinarsi decisioni sulla vita e la morte delle persone, Asl notoriamente lente, anche il suicidio medicalmente assistito in Italia a oggi vive o muore in una perdurante incertezza del diritto, nella cornice di un Servizio sanitario nazionale che funziona meglio o peggio, a seconda della fortuna che hai di risiedere in un determinato luogo.
In conclusione, se la Consulta, come abbiamo spesso denunciato nei nostri articoli, è stata spesso Pilato, lavandosi le mani in attesa che il legislatore agisse, il parlamento è peggio: un Argo Panoptes cieco per scelta, o un mangiatore di loto che ha completamente dimenticato il peso delle proprie responsabilità costituzionali.
Alessandro Cirelli
Approfondimenti
- Abruzzo, nel 2023 sono state raccolte 8.000 firme per la presentazione di una proposta di legge regionale di iniziativa popolare (la prima nella regione). Recentemente il Consiglio regionale abruzzese (maggioranza di destra) ha bocciato la proposta.
- Basilicata, nonostante la proposta sia stata depositata da 9 Comuni (fra cui Matera), il Consiglio regionale ha deciso di non decidere, Calabria, proposta presentata e discussione ancora in corso.
- Campania, a oltre un anno dal deposito, la proposta di legge “liberi subito” – di cui è autrice l’Associazione Luca Coscioni – continua a subire rinvii.
- Emilia-Romagna, in seguito alla raccolta di oltre 7.000 firme, il Consiglio regionale del 2023 ha deciso di non approvare la proposta di legge sul suicidio assistito. La giunta Bonaccini ha adottato delle delibere regionali per regolare l’accesso alla procedura tramite le Asl, al fine di garantire il rispetto della sentenza Cappato-Antoniani del 2019. Le delibere sono state impugnate davanti al Tar da consiglieri di minoranza, nonché dal governo e dal ministero della salute.
- Friuli-Venezia Giulia, raccolte oltre 8.000 firme per una proposta di legge regionale di iniziativa popolare. Discussione sulla proposta bloccata da una pregiudiziale di costituzionalità.
- Lazio, depositata una proposta ma neanche calendarizzata la discussione.
- Liguria, a seguito delle dimissioni del presidente Toti, è ricominciato dall’inizio l’iter legislativo della proposta “liberi subito”.
- Lombardia, raccolte oltre 8.000 firme per una proposta di legge regionale di iniziativa popolare. Discussione sulla proposta bloccata da una pregiudiziale di costituzionalità.
- Marche, dopo aver avuto il primo caso di suicidio medicalmente assistito in Italia, non ha ancora una legge regionale. Il dibattito è fermo.
- Molise, depositata una proposta di legge, ma non sono note le tempistiche.
- Piemonte, raccolte 11 mila firme per una proposta di legge regionale di iniziativa popolare, la Regione ha respinto la proposta con una pregiudiziale di (in)costituzionalità.
- Puglia, prima Regione ad aver messo parzialmente ordine alle procedure di fine vita a gennaio 2023 attraverso una delibera di giunta. Una delibera che presenta due problemi. Il primo, di metodo, è la fragilità dello strumento (non appena cambia la giunta, la delibera può essere immediatamente modificata), il secondo, di merito, è l’assenza di una regolamentazione precisa della procedura (tempi certi, indicazioni alle Asl per la composizione delle commissioni per la valutazione delle richieste).
- Sardegna, una proposta di legge è stata approvata in Commissione sanità, ed è in discussione dal Consiglio regionale.
- Sicilia, depositata una proposta ma neanche calendarizzata la discussione.
- Toscana, ha approvato la legge regionale numero 16/2025 per l’accesso al suicidio medicalmente assistito; il governo l’ha impugnata davanti alla Corte costituzionale.
- Trentino-Alto Adige. Trentino, iniziata una raccolta firme per una proposta di legge di iniziativa popolare; Alto Adige, depositata una proposta di legge, ma non sono note le tempistiche.
- Umbria, è partita da qualche mese una raccolta firme per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare.
- Valle D’Aosta, al momento in discussione (e in attesa di parere dalla Commissione competente) la proposta di legge Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 242/2019.
- Veneto, prima Regione in Italia a discutere la proposta di legge sul fine vita, depositata con 9.000 firme. In seguito alla discussione in aula, avvenuta il 16 gennaio 2024, con 25 voti favorevoli, 22 contrari e 3 astenuti, il Veneto non ha approvato la legge. Per l’approvazione era necessaria la maggioranza assoluta: su 50 votanti, occorrevano 26 sì.
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A mio avviso, l’assenza di regolamentazione e’ meglio della normativa assurda che vorrebbero introdurre.
In effetti dalle proposte governative praticamente non sarebbe possibile il suicidio assistito. Però se fanno una legge poi può essere attaccata nei tribunali come è stato fatto con la legge 40, anche se ci vorrebbero parecchi anni per riuscire a modificarla.