Professori a casa loro!

L’anti-intellettualismo trionfa sempre di più tra politica, religione e media. Negli Stati Uniti oggi minaccia la democrazia, sostituendo ragione ed evidenza con narrazioni emotive, populismo e manipolazione. Affronta il tema Paolo Ferrarini sul numero 3/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Se un giorno andassi dal barbiere e mi mettessi a insultarlo, dandogli del patetico parassita perché si è sempre approfittato di me facendomi pagare per i suoi servizi senza mai comprare niente da me, più che di deficit commerciale sarebbe opportuno parlare di deficit mentale. Lo stesso se mi mettessi a urlare in faccia a qualcuno perché si rifiuta di assecondare la mia pretesa che un’immagine evidentemente ritoccata con Photoshop sia vera.

Lo stesso se me ne uscissi con la genialata di ripulire i polmoni dai virus col disinfettante, visto che fa un ottimo lavoro con i germi sulle superfici di casa. Lo stesso se fossi un presidente che promette con sbruffoneria di risolvere tutti i problemi del mondo il primo giorno del mio mandato e una volta insediato mi giustificassi come un bambino scemo dicendo che nessuno immaginava che sarebbe stato così difficile.

L’informazione globale ci costringe a un quotidiano esercizio di umiliazione intellettuale occupando la nostra mente e i nostri discorsi con aberranti sciocchezze di questo genere, roba da far rimpiangere le vecchie chiacchiere da osteria. La stupidità – oscena, pornografica – portata nel dibattito pubblico da certi politici e commentatori domina incontrollata, al punto che neppure la rana più assuefatta all’acqua che le sta bollendo attorno nella sua pentola mediatica può più ignorare che ci sia qualcosa di radicalmente anomalo in tutto questo.

A destare sconcerto non è solo la distanza ideologica, o la sempre maggiore difficoltà a distinguere il segnale dal rumore nei cicli di notizie, ma proprio il livello infimo a cui si è abbassata l’asticella del dibattito. Lo scontro a cui sempre di più assistiamo non è tra diverse visioni del mondo, di destra, di centro e di sinistra, ma un attacco frontale alla realtà, e quindi alla ragione, che della realtà cerca di fare il suo oggetto.

A rischio di suonare come un inacidito reazionario, trovo sempre più spesso necessario dar voce all’avvilimento provato, da persona mediamente istruita, nel vedere l’idiozia e l’ignoranza premiate ai livelli più alti di visibilità e potere che le nostre società possono concedere, fenomeno da noi perfettamente esemplificato nell’immagine del ministro della cultura Giuli, totem di volgare pacchianaggine al cospetto di un professionista come Alberto Angela in occasione della visita dei reali inglesi a Roma. Quando i bulli, i mascalzoni, i fannulloni, gli arroganti dell’ultimo banco in classe prendono regolarmente quel potere, è difficile non sentirsi traditi nella promessa che ci era stata fatta da giovani: «Studia, istruisciti e il mondo sarà tuo».

L’antiintellettualismo, il disprezzo ideologico nei confronti di coloro che basano la propria autorevolezza e il proprio dissenso non sull’appartenenza politica ma sullo studio e l’erudizione (da noi anche noti come “professoroni”) è una bestia che si affaccia un po’ in tutti i Paesi, più spesso in correlazione con l’indebolimento delle strutture democratiche.

Nei casi più estremi si è assistito storicamente alla rimozione fisica dell’intellighenzia con massacri cruenti, come durante la rivoluzione culturale cinese, o con l’abominevole esperimento sociale dell’anno zero in Cambogia, ma anche con le epurazioni degli accademici sotto la dittatura di Ongania in Argentina. Oggi, si manifesta principalmente nel formato meno cruento e più allegro dell’esaltazione della stupidità, a cui ci siamo gradualmente assuefatti prima con l’arrivo dei programmi trash commerciali, poi con i reality e infine con l’ormai per niente allegro dominio dell’analfabetismo funzionale promosso via social a guida e manifesto delle politiche nazionali.

Dovendo necessariamente tenere gli occhi aperti su quanto accade oltreoceano perché è da là che tali cambiamenti culturali arrivano puntualmente e senza dazi, l’impennata e la magnitudine del trend antiintellettualista a cui stiamo assistendo da quando gli americani hanno riportato alla Casa Bianca un delirante psicopatico semianalfabeta con aspirazioni totalitariste, è tale da lasciare a bocca aperta anche chi pensava di averle già sentite tutte nella vita, sollevando la questione: «Come è possibile che si sia arrivati a tanto negli Usa?»

In un articolo del 1980, Isaac Asimov già metteva il dito sulla piaga: «Esiste un culto dell’ignoranza, negli Stati Uniti, ed è sempre esistito. L’antiintellettualismo si è sempre insinuato nella nostra vita politica e culturale, nutrito dalla falsa nozione che democrazia significhi che la mia ignoranza vale tanto quanto la tua conoscenza», notando per esempio come «i politici si sforzino di parlare nel modo più sgrammaticato possibile per evitare di offendere il pubblico dando l’idea di essere stati a scuola».

La concezione dell’intelletto come forma oppressiva di privilegio e potere è costitutiva della mentalità americana; si può addirittura sostenere che ci fosse un che di nobile nelle intenzioni originarie dei fondatori della nazione quando, in nome della democrazia che volevano stabilire, hanno cercato di evitare la trappola dell’elitarismo.

Le comunità religiose giunte nel nuovo continente aspiravano a ritrovare un rapporto più atavico, primitivista, con la natura e affermare una nuova concezione di essere umano, centrata sulla quotidianità, sul pensiero semplice e pragmatico, contrapposto ai bizantinismi teologico-filosofici che in Europa erano stati sinonimo di discriminazione e persecuzione nei loro confronti.

Seguendo le tappe storiche ricostruite dal premio Pulitzer Richard Hofstadter in Anti-intellectualism in American Life – recentemente ripubblicato in italiano col titolo L’odio per gli intellettuali in America – si vede che col tempo si è passati da forme di puritanesimo in cui l’erudizione e la dottrina godevano ancora di un certo prestigio, al graduale affermarsi – a partire soprattutto dal Grande Risveglio del 18esimo secolo – dell’idea evangelica secondo cui le facoltà razionali sono da guardare con sospetto in quanto ostacolo alla spiritualità, la quale dev’essere esclusivo ambito del “cuore” e dell’intuizione.

In questo tipo di fondamentalismo, che contagia in modi diversi le varie denominazioni cristiane, il clero, in quanto élite istruita lontana dalla sensibilità della gente comune, viene ripudiato, le messe e i sermoni formali lasciano il posto a spettacoli fai da te dove l’emotività trova una farneticante espressione.

La discussione razionale di questioni teologiche, in passato fonte di disciplina intellettuale nelle chiese, è ora considerata una distrazione, una forza di divisione. Chiunque sia “posseduto dallo Spirito” può diventare predicatore, non importa se contadino o falegname: persone che certamente non avevano tempo da sprecare su libri. Ciò che conta è avere le qualità oratorie e persuasive per salvare il maggior numero possibile di anime. E si tratta di un bilancio quantificabile: ecco che la spiritualità si interseca con il business, la vera ossessione nazionale.

Svuotata radicalmente di contenuti dottrinali, la religione evolve in uno strumento al servizio del fare, una materia prima da commerciare. La preghiera diventa una valuta spirituale, e la valuta materiale permette di acquistare servizi spirituali. Si dice: «Grazie alla fede, guarirai dall’indolenza, dal senso di inferiorità, dalla paura, dal senso di colpa o da qualsiasi altra cosa ti blocchi», «Il potere e il successo saranno tuoi, se credi a sufficienza», «Conduci gli affari dell’anima in modo professionale», «Gesù prese dodici uomini dai ranghi più bassi e li trasformò in un’azienda che conquistò il mondo». Di pari passo all’offuscarsi della distinzione tra il servizio a Dio e il servizio a sé stessi, si offusca anche la distinzione tra i regni del mondo e dello spirito, riducendo la spiritualità a una forma di automanipolazione mentale, di fatto una fede nella magia.

L’idea centrale di questi fondamentalismi, ossia che credere intensamente in una cosa porti alla sua realizzazione nel mondo reale – alla base del moderno concetto di “manifestazione” e della sua incarnazione mondana in infinite, morbose e tossiche pubblicazioni di auto-aiuto – rappresenta un pericolo pubblico quando viene trapiantata in ambito politico. Una mente irrazionale completamente a proprio agio con il «credo quia absurdum» e che non opera una chiara distinzione tra questioni di fede e questioni secolari interpreta il mondo come un’illustrazione allegorica, in cui si rivelano i segni di un Armageddon spirituale. Ignora e prova fastidio nei confronti dell’evidenza empirica che laicamente è necessaria per governare l’aldiquà.

Gli intellettuali, in questo contesto, sono dei guastafeste che cercano di spezzare l’incantesimo, o il “sogno” americano, introducendo scetticismo, relativismo e ambiguità intollerabili in una weltanschauung semplicistica e manichea. Il politico, per contro, viene valutato, accettato e sostenuto non per la sua preparazione e per le sue competenze, bensì per il suo “carattere”, e per la sua bravura nel fare più proseliti possibile, proprio come nel caso dei predicatori religiosi. Il suo successo, nel business quanto nelle campagne elettorali – sia questo reale o proiettato – è di per sé garanzia di americanità e di unzione divina.

Una mentalità che non potrebbe essere più esplicita nelle immagini che ci arrivano dalla Casa Bianca di un presidente che anziché circondarsi delle migliori menti del Paese, scienziati, letterati, artisti, si fa venerare da fondamentalisti religiosi davanti alle telecamere, come un dio in Terra. Un presidente che poi, in puro stile nordcoreano, impone anche a tutti i membri del gabinetto di incensarlo pubblicamente a turno con complimenti e piaggerie, nonché di ridere sguaiatamente a ogni battuta raccapricciante che esce dalla sua bocca.

Questa idea che il “carattere” e l’”americanità” abbiano la precedenza assoluta è riecheggiata curiosamente nello stereotipo dell’immigrato italiano che, con tutta la sua erudizione e cultura artistica, rimane un esempio negativo di malsano carattere nazionale. Anche nel cinema mainstream, l’intellettuale viene caricaturizzato come un genio pazzo, asociale, eccentrico, il guastafeste che rovina il Natale o le famiglie, un senza cuore che vuole impadronirsi del mondo per scopi nefasti, o il peggior serial killer come Hannibal Lecter.

Nel mondo reale, gli accademici vengono relegati all’interno delle università, torri d’avorio disconnesse dal mondo. Le loro opinioni specialistiche sulle più importanti questioni politiche e sociali vengono per lo più ignorate, e certamente nessuno vuole sentirsi dire da Harvard come votare.

Non è un caso che il mondo Maga, tramite il suo leader, abbia iniziato immediatamente una rappresaglia contro le principali università che rifiutano di allinearsi ai deliri della nuova amministrazione, minacciandole e sanzionandole, dopo aver addirittura chiuso il dipartimento federale dell’istruzione. Il risentimento non è contro l’intelligenza di per sé (una delle offese più frequenti rivolte da Trump ai suoi nemici è di avere un basso Qi) ma contro l’intelletto, una forza considerata sovversiva nel suo opporsi alla narrazione imposta. Gli esperti vengono tollerati purché si limitino al loro ambito e si allineino ai fantasiosi dogmi via via inventati dalla politica.

Le basi che portano a questi livelli di indifferenza o ostilità nei confronti dell’evidenza e della logica vengono gettate già nelle scuole, dove l’istruzione storicamente enfatizza meno il principio socratico del «conosci te stesso», e di più l’imperativo del «comportati bene», o «sii amabile, estroverso, e un americano modello».

Può aver senso, certo, che i cittadini di una nazione di immigrati beneficino maggiormente di un curriculum centrato più sull’educazione civica e l’apprendimento dell’inglese che non, per dire, sulla letteratura latina; tuttavia, chi in Europa concepisce l’istruzione come formazione culturale e intellettuale resta perplesso che negli Usa una carriera nel baseball sia considerata un’alternativa valida a un corso universitario, o che l’arte venga valutata in funzione della sua americanità e successo commerciale.

Inquieta anche che la formazione scolastica includa un forte elemento di genderizzazione: alle superiori, il maschio viene addestrato a diventare robusto e agile sul campo, la femmina a fargli da cheerleader, mentre l’iconico ballo di fine anno istituzionalizza il loro accoppiarsi all’interno del modello di famiglia tradizionale.

Quanto la deviazione da questo schema sia indigesta all’elettorato si evince anche dal fatto che nei sondaggi sull’approvazione di Trump a cento giorni dall’inizio del nuovo mandato, l’unico indicatore di consenso superiore al 50% riguardava le sue politiche violentemente discriminatorie contro la comunità transgender e queer. L’attacco alla ragione sotto forma di guerra al mostro del woke paga ancora di più dell’attacco alle minoranze etniche.

Ora, se da un lato condensare la questione dell’antiintellettualismo in America in un breve articolo rischia di restituire un ritratto caricaturale di questo fenomeno e della sua storia, fatta di una dinamica e complessa dialettica tra opposte correnti di pensiero e sensibilità prevalenti in diversi periodi, dall’altro va detto che “caricatura” è la parola che descrive più accuratamente ciò che sta accadendo proprio ora nelle sale del potere statunitensi.

A noi che abbiamo ancora fiducia nella ragione spetta il compito di chiamare a voce alta le cose col proprio nome, perché ciò che suona assurdo, illogico, irragionevole o stravagante è in ultima analisi semplicemente falso, e chi mente all’elettorato è il peggior ladro in una democrazia perché ruba ai cittadini le conoscenze necessarie per dare il proprio voto a ragion veduta.

Paolo Ferrarini

 


Iscriviti all’Uaar Abbonati Acquista a €2 il numero in digitale

Sei già socio? Entra nell’area riservata per scaricare gratis il numero in digitale!