Il diritto di sognare e la realtà del gioco d’azzardo

Milioni di italiani continuano a giocare d’azzardo, nonostante la matematica e le iniquità del sistema. Illusione, credulità e dipendenza alimentano un grande problema sociale. Silvano Fuso affronta il tema sul numero 5/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Bruno De Finetti (1906-1985), matematico e statistico considerato uno dei padri del moderno calcolo delle probabilità, definiva il gioco del lotto “Tassa sulla stupidità”. Più recentemente, un altro matematico, Franco Brezzi, che è stato docente al Politecnico di Torino e all’Università di Pavia, riferendosi sempre al gioco del lotto ha affermato: «Dal punto di vista strettamente matematico, la risposta è semplicissima: il comportamento che ottimizza lo stato futuro del nostro portafoglio è non giocare»1.

Ciò nonostante un sacco di gente gioca al lotto e ad altri giochi basati sulla probabilità. Nel 2021, gli italiani hanno “investito” circa 111 miliardi di euro nei giochi d’azzardo. Nel 2022 questa cifra è ulteriormente aumentata, raggiungendo i 136 miliardi di euro. Tale importo ha superato le spese per la sanità (128 miliardi), per l’istruzione (52 miliardi) e il totale dei bilanci di tutti i comuni italiani (77 miliardi). Per il 2024, la spesa ha sfiorato i 160 miliardi di euro, continuando la tendenza al rialzo. Infine, per il 2025 (non ancora concluso), si stima un ulteriore incremento2.

Gli studi dell’Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave e di Nomisma hanno rilevato che, nel 2024, l’accesso al gioco d’azzardo è stato in forte crescita soprattutto tra i giovani appartenenti alla generazione Zeta e gli over 65. Le statistiche riportano che le scommesse sono aumentate del 21%, e che la fascia di età che gioca con maggior frequenza sono gli adulti, circa il 60% dei partecipanti allo studio.

I vari giochi d’azzardo hanno rappresentato il 36,20% del gettito erariale dello Stato. Da qui si capisce la definizione di De Finetti e la considerazione espressa da Brezzi che scrive: «perché dovremmo spingere per l’abolizione dell’unica tassa che possiamo evitare di pagare?». Tuttavia lo stesso Brezzi aggiunge: «Naturalmente, la matematica non è tutto. Se pagando un euro vi comprate il diritto a sognare per qualche giorno di diventare supermilionari, allora potreste comunque dire di aver fatto un buon acquisto: il valore commerciale del diritto a sognare è difficile da stabilire, e la matematica non è certo lo strumento adeguato per farlo».

Per comprendere tuttavia perché la matematica ci consiglia di non giocare, lo stesso Brezzi precisa: «Prendendo un esempio più elementare, immaginate di giocare a testa o croce con queste regole. Se esce testa guadagnate quaranta centesimi, se esce croce perdete un euro. Proponendo questo gioco a una qualunque persona sana di mente vi sentireste apostrofare malamente. Se però riusciste a proporre qualcosa di ugualmente svantaggioso (per il giocatore) ma meno evidente, allora potreste anche guadagnare dei bei soldini. Ma non a caso praticamente tutti i governi di tutti gli Stati del pianeta vi proibiscono di farlo; oppure, se ve lo permettono, vi chiedono di spartire i guadagni (con tasse, tangenti e quant’altro)».

Brezzi si riferisce al fatto che i giochi d’azzardo sono profondamente iniqui, presentando una evidente asimmetria tra ciò che può guadagnare (con scarsa probabilità) il giocatore e ciò che guadagna (con certezza) il banco (Stato o altri che siano). Per comprendere per quale motivo i giochi d’azzardo siano iniqui, è utile considerare qualche esempio. Prendiamo proprio il gioco del lotto.

Le somme versate ai vincitori sono esageratamente inferiori a quelle che dovrebbero essere versate in base al semplice calcolo delle probabilità. Ad esempio, è possibile calcolare che la probabilità di effettuare un terno è di una su 11.748. Tale valore si calcola facilmente in base alle regole del calcolo combinatorio.

Di conseguenza, ci si dovrebbe aspettare che lo Stato paghi un po’ meno di 11.748 volte la posta (è lecito che esso trattenga qualcosa). In realtà lo Stato paga soltanto 4.500 volte quanto è stato puntato, ovvero solo il 38% di quello che dovrebbe pagare in base al calcolo delle probabilità (in confronto, altri giochi d’azzardo risultano sicuramente meno iniqui. Nella roulette, ad esempio, la probabilità di indovinare un numero è di una su 37 e il banco paga 35 volte la puntata: la roulette è quindi decisamente meno iniqua del lotto).

Analogamente, è possibile calcolare la probabilità di indovinare una cinquina, che risulta essere di una su 43.949.268. Le cinquine vengono pagate dallo Stato solamente sei milioni di volte la posta. I giocatori del lotto, com’è noto, amano associarsi per aumentare la probabilità di vincita. Ipotizziamo, ad esempio, che 44 milioni di individui (arrotondiamo per semplicità il valore) si mettano d’accordo per giocare ciascuno una combinazione diversa e puntino, ad esempio, un euro a testa.

Uno di loro sicuramente vincerà la cinquina. In tal modo però dovrebbero spartirsi il magro bottino di 6 milioni di euro che diviso per 44 milioni fa poco più di 13 centesimi di euro a testa (contro l’euro versato). In compenso lo Stato incasserebbe 38 milioni di euro netti (44 meno 6). Queste considerazioni dovrebbero essere note a chiunque investa parte dei propri risparmi nel gioco del lotto.

Quello del lotto è un gioco antico: sembra infatti affondare le sue radici nelle cosiddette Leges novae promulgate a Genova nel 1576. Esse stabilivano che due volte all’anno venissero sorteggiati cinque membri della nobiltà cittadina per rinnovare i Serenissimi collegi, la massima autorità di governo. Quei cinque nomi divennero oggetto di scommesse, secondo modalità molto simili a quelle dell’attuale gioco del lotto (a Genova il gioco venne chiamato “gioco del seminario”, poiché i nomi degli eleggibili venivano imbussolati in un’urna chiamata appunto “seminario”). Nel 1644 la Repubblica genovese rese legali le scommesse e ne appaltò la gestione, garantendo cospicui introiti per le casse pubbliche.

Da quei tempi sono nati moltissimi altri giochi basati sul caso e un notevole contributo è stato dato dalle nuove tecnologie informatiche, che offrono oramai una moltitudine di giochi online. Oltre ai sempreverdi lotto e superenalotto, i giochi d’azzardo più diffusi sono: le videolottery e le slot machine (spesso chiamate ancora videopoker), i gratta e vinci, i giochi al casinò, il win for life, le scommesse sportive o ippiche, il bingo e i giochi online con vincite in denaro (ad esempio, poker online).

Alcuni di questi sono costituiti da apparecchi, gestiti tramite una rete telematica, che simulano virtualmente anche giochi di abilità. Il loro funzionamento, tuttavia, è basato su calcoli casuali che ne fanno a tutti gli effetti un gioco di alea. Molti giocatori credono quindi illusoriamente di poterne condizionare l’esito tramite la propria abilità. Tali giochi permettono inoltre un ritmo di giocate molto veloce e ciò contribuisce a renderli i giochi più diffusi tra i casi patologici. Assieme al gioco online, tali apparecchi assicurano la percentuale più alta di spesa da parte degli italiani nel settore dei giochi, sostituendosi alle forme più tradizionali.

Molte informazioni, aggiornate fino al 2022, riguardo al gioco d’azzardo in Italia possono essere ottenute dal cosiddetto Libro blu dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, consultabile anche sul rispettivo sito. Una fotografia ancora più aggiornata e dettagliata del mercato dell’azzardo è stata resa disponibile in seguito a un’interrogazione parlamentare presentata nel 2025 dai deputati del Pd Stefano Vaccari e Virginio Merola. Il sottosegretario all’economia Federico Freni ha fornito una risposta molto esauriente, che contiene non solo i dati nazionali, ma anche quelli regionali, provinciali e comunali. Addirittura è possibile sapere quanto si spende in azzardo a livello dei singoli Comuni.

A livello nazionale, nel 2023 la raccolta è arrivata a 147,7 miliardi di euro, di cui 82,6 miliardi derivanti da giochi online e 65,1 miliardi da giochi fisici (agenzie, sale, bar, tabaccai, gratta e vinci, eccetera). Nel 2024 l’importo è salito a 157,4 miliardi, di cui 92,1 miliardi online (in forte crescita) e 65,3 miliardi da giochi fisici (sostanzialmente stabili). Si è comunque registrata una crescita totale di 9,7 miliardi, pari al 6,6%.

La crescita è stata confermata nel 2025. Il sottosegretario ha riferito che i dati relativi al primo trimestre hanno evidenziato un «significativo incremento realizzato per il gioco online, pari a circa il 10%», a fronte di un calo dei giochi fisici. Nella comunicazione del sottosegretario si è fatto riferimento anche ai dati regionali. In testa alla classifica troviamo la Lombardia che ha speso 24,8 miliardi. Seguono la Campania con 20,6 miliardi, il Lazio con 16,7, la Sicilia con 15,2, la Puglia con 11,8, l’Emilia-Romagna con 10,2, il Piemonte con 9,5 e il Veneto con 9,1.

Tuttavia, se si rapportano questi dati alla popolazione di ogni Regione, la classifica cambia molto. In testa finisce la Campania con 3.692 euro all’anno per abitante, bambini compresi (ricordiamo che l’azzardo è vietato fino a 18 anni). Seguono Abruzzo (3.319 euro/persona), Molise (3.275 euro/persona), Sicilia (3.182 euro/persona).

I due deputati Vaccari e Merola hanno dichiarato: «Dal sistema giochi nelle casse dello Stato vanno poco più di 11 miliardi. Una cifra importante ma irrisoria rispetto al totale della raccolta i cui benefici sono ad appannaggio dei grandi interessi». Infatti, nel 2018 con una raccolta di 106 miliardi lo Stato aveva incassato come tasse 10,2 miliardi. Dopo sei anni nel 2024 la raccolta è salita a 157 miliardi (il 50% in più) ma l’incasso dello Stato è rimasto praticamente uguale, 11,5 miliardi.

Appare quindi abbastanza evidente che ci sia una buona fetta di gioco d’azzardo illegale, gestita con ogni probabilità dal malaffare, che sfugge totalmente al controllo dello Stato. Alcuni studi hanno inoltre rilevato un dato piuttosto inquietante, anche se non sorprendente e abbastanza comprensibile: la percentuale del reddito familiare speso nel gioco d’azzardo aumenta al diminuire del reddito stesso. In altre parole sono proprio le classi meno abbienti a giocare di più. Questo rende il gioco una “tassazione volontaria” di tipo regressivo che contribuisce ad aumentare le disparità sociali3.

Il diritto di sognare può talvolta trasformarsi in una vera patologia: si tratta di quel problema psicologico denominato Disturbo da gioco d’azzardo (Dga, chiamato anche Gioco d’azzardo patologico – Gap – o azzardopatia), spesso denominato impropriamente ludopatia. Il Disturbo da gioco d’azzardo (Gambling disorder) è una condizione psichiatrica riconosciuta dal Dsm-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), classificata tra i disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction, pur non coinvolgendo l’assunzione di sostanze chimiche. Esso si caratterizza per un comportamento persistente e ricorrente di gioco d’azzardo problematico, che compromette significativamente il comportamento personale, sociale, lavorativo o familiare.

I principali criteri diagnostici includono la necessità di scommettere somme sempre maggiori per ottenere l’eccitazione desiderata (tolleranza); l’irrequietezza o irritabilità quando si tenta di ridurre o interrompere il gioco (astinenza); i fallimenti ripetuti nei tentativi di controllare, ridurre o smettere di giocare; la presenza di pensieri persistenti sul gioco d’azzardo (rimuginazione); il ricorso al gioco per alleviare stati emotivi negativi (esempi: ansia, depressione); le bugie per nascondere l’entità del coinvolgimento nel gioco; la messa a rischio o la perdita di relazioni significative, lavoro o opportunità a causa del gioco; la tendenza ad affidarsi ad altri per ottenere denaro e alleviare la situazione finanziaria causata dal gioco.

Il disturbo può presentare andamento cronico o episodico, ed è spesso associato ad altri disturbi psichiatrici (ansia, depressione, disturbi da uso di sostanze). Il trattamento può includere: la psicoterapia (in particolare la terapia cognitivo-comportamentale), interventi psicoeducativi e familiari, la partecipazione a gruppi di auto-aiuto (ad esempio Giocatori anonimi) e, in alcuni casi, la farmacoterapia (ad esempio inibitori della ricaptazione della serotonina o stabilizzatori dell’umore).

Un’indagine epidemiologica condotta tra il 2017 e il 2018 su adulti italiani (con più di 18 anni) riporta che: il 3% della popolazione italiana (circa 1,5 milioni di persone) è classificato come giocatore problematico. Il 2,8% (circa 1,4 milioni) è considerato a rischio moderato e il 4,1% (circa 2 milioni) a basso rischio. Pertanto, solo tra gli adulti, circa il 7-8% presenta un potenziale problema legato al gioco d’azzardo.

Secondo un’altra fonte (Fondazione Turati) si stima che i giocatori “patologici” rappresentino tra lo 0,5% e il 2,2% della popolazione adulta, ovvero tra 300.000 e 1,3 milioni di persone. Secondo l’European Gambling Survey 2021, circa il 4,7% dei giocatori (su un totale stimato di 25,6 milioni di giocatori) soffrirebbe di dipendenza patologica, il che equivale a circa 1,2 milioni di persone; inoltre, circa il 3% della popolazione è considerato a rischio.

Piuttosto preoccupante è anche la situazione che riguarda i minori. Un’indagine del 2024-2025 del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore della sanità, ha confermato nella popolazione 14-17 anni una prevalenza di giocatori d’azzardo pari al 23,4% (erano il 24,6% nel 2024) con una prevalenza del 3,9% di giocatori problematici; ma ha evidenziato la precocità dei comportamenti di gioco: infatti, tra gli studenti 11-13 la prevalenza di giocatori d’azzardo è del 25,4%, con il 2,4% di prevalenza di giocatori problematici.

Un confronto con il 2024 evidenzia un lieve calo nella pratica del gioco tra i minorenni (dal 24,6% al 23,4%), ma con un aumento tra i giocatori problematici (da circa 68.000 a 90.000) e quelli a rischio (da 80.000 a oltre 136.000). Nei maschi, la problematicità raggiunge il 6% e la fascia a rischio raggiunge il 10% della popolazione studentesca minorenne.

La posizione dello Stato nei confronti del gioco d’azzardo è ambigua e sostanzialmente ipocrita. Da un lato infatti emana norme sempre più articolate e stratificate (spesso però male applicate), intese a limitare la pratica del gioco e la sua pubblicità, e produce spot che dovrebbero favorire la prevenzione del gioco patologico. Dall’altro lato però promuove il gioco d’azzardo legale, da esso stesso gestito e da cui ricava vantaggiosi introiti.

Le soluzioni ai problemi creati dal gioco d’azzardo, al solito, non possono derivare da azioni censorie ed esclusivamente repressive. Gli atteggiamenti proibizionistici, infatti, non hanno mai dimostrato la loro efficacia in nessun ambito. Al contrario, come sempre, sarebbe opportuna una capillare ed efficace azione informativa e soprattutto educativa per mostrare la vera realtà del gioco d’azzardo e, quando necessario, interventi psicologici mirati per comprendere e superare i casi di gioco patologico.

Sognare è un diritto. Ma sarebbe bene sapere sempre quanto costa quel sogno, e chi davvero ci guadagna.

Silvano Fuso

 

Approfondimenti

  1. F. Brezzi, La tassa sulla stupidità, Scienzainrete, 16/08/2009
  2. go.uaar.it/beqk6yu; go.uaar.it/xlhiomr
  3. Sarti, M. Triventi, Il gioco d’azzardo: l’iniquità di una ‘tassa
    volontaria’; E. Benedetti, R. Lagravinese, S.
    Molinaro, G, Resce, L’Italia che gioca d’azzardo.

 


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Un commento

Diocleziano

Nei costi per lo Stato è stata presa in considerazione la spesa del “bonus psicologo”?
Che, evidentemente, è correlata.

Commenti chiusi.