Ah, tra l’altro Avvenire si è finalmente accorto del documentario Bbc, e pubblica un bellissimo articolo di Andrea Galli, intitolato “Infame calunnia via Internet”. Queste le principali argomentazioni:Si tratta di un pot-pourri di affermazioni e pseudo-testimonianze che furono apertamente sconfessate a suo tempo dalla Conferenza episcopale inglese, la quale invitò l’augusta Bbc a “vergognarsi per lo standard giornalistico usato nell’attaccare senza motivo Benedetto XVI”.
Ah, bè, se le ha sconfessate la Cei inglese possiamo anche chiudere qui il discorso.
Il pezzo forte del servizio infatti consisteva (e ancora consiste) nell’accusa rivolta a Joseph Ratzinger di essere stato niente meno che il responsabile massimo della copertura di crimini pedofili commessi da sacerdoti in varie parti del globo, in quanto “garante” per 20 anni – da quando fu nominato prefetto vaticano – del testo Crimen sollicitationis, che è un’istruzione emanata in realtà dal Sant’Uffizio il 16 marzo 1962. Da notare la data: nel 1962 infatti Joseph Ratzinger non era certo prefetto della futura Congregazione per la dottrina della fede, essendo in quel tempo ancora teologo molto impegnato nella sua Germania.
E quindi non poteva averla scritta lui. Hah, fregati! (qui Galli si sente inequivocabilmente molto figo). Ecco, Galli, guarda che nessuno sta dicendo che la Crimen Sollicitationis l’ha scritta Ratzinger. Non so se ci avevi pensato, ma non è un documentario contro Ratzinger, è contro i vertici della Chiesa in generale. (L’istruzione la firmò il cardinale Alfredo Ottaviani, e fu “approvata e confermata” da Giovanni XXIII: strano che Galli non l’abbia riportato.)
C’è da dire che quel documento veniva presentato dalla Bbc come un marchingegno furbesco, escogitato dal Vaticano per coprire reati di pedofilia, quando invece si trattava di un’importante istruzione atta ad «istruire» i casi canonici e portare alla riduzione allo stato laicale i presbiteri coinvolti in nefandezze pedofile.
…e, in questo modo, coprire i reati di pedofilia.
Da notare che l’Istruzione richiedeva il segreto del procedimento canonico per permettere ad eventuali testimoni di farsi avanti liberamente, sapendo che le loro deposizioni sarebbero state confidenziali e non esposte a pubblicità. E di conseguenza anche la parte accusata non vedesse infamato il proprio nome prima della sentenza definitiva.
Infatti dopo la sentenza il segreto cade, no? No.
Insomma, un insieme di norme rigorose, che nulla aveva a che fare con la volontà di insabbiare potenziali scandali. E che il testo Crimen Sollicitationis non fosse pensato per tale fine lo dimostrava un paragrafo, il quindicesimo, che obbligava chiunque fosse a conoscenza di un uso del confessionale per abusi sessuali a denunciare il tutto, pena la scomunica. Misura che semmai dà l’idea della serietà del documento e di coloro che lo formularono.
A denunciare il tutto alle forze dell’ordine? Ma no, cosa mi andate a pensare. Denunciare il tutto all’ordinario del luogo o alla Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, e solo a loro, pena la scomunica. Misura che effettivamente dà l’idea della serietà del documento e di coloro che lo formularono.
Senza contare che Joseph Ratzinger, più tardi diventato sì prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, avrebbe firmato – ma siamo nel maggio 2001 – una Lettera ai Vescovi e altri Ordinari e Gerarchi della Chiesa Cattolica, pubblicata anche negli Acta Apostolicae Sedis, dove si prevede espressamente che “il delitto contro il sesto precetto del Decalogo, commesso da un chierico contro un minore di diciotto anni”, sia di competenza diretta della Congregazione stessa. Segno, per chi abbia un minimo di buon senso giuridico, della volontà romana non certo di occultare, ma di dare piuttosto il massimo rilievo a certi reati.
Peccato che, poco sotto, la lettera aggiunga che “le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio”. Che dice stavolta il buon senso, sulla volontà di occultare?