Natallie Evans vs United Kingdom: analisi di una sentenza della Corte europea

Non è la prima volta che un uomo e una donna si contendono la “proprietà” e il destino di alcuni embrioni crioconservati. Basti ricordare, solo per fare un esempio, lo scontro tra Mary Sue Davis e Junior Davis (Davis vs Davis, 842 S.W.2d 588, 597, Tennessee, 1992). Il caso di Natallie Evans è interessante perché è oggetto di una sentenza della Corte europea (Application no. 6339/05, Strasbourg, 10 aprile 2007) e perché nelle motivazioni che hanno portato alla decisione rientrano due temi centrali delle normative sulla procreazione assistita in generale e in particolare della legge 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita): lo statuto dell’embrione (o del concepito) e la revocabilità del consenso a procedere all’impianto degli embrioni prodotti. […].

In Italia la legge 40 del 2004 è un esempio di come una norma sia entrata nell’intimità delle persone, si sia sostituita alle decisioni personali e mediche e stia delineando scenari di vera e propria discriminazione e di violazione di diritti fondamentali quali la libertà e la salute riproduttiva.

Il confronto con le normative degli altri Paesi della Comunità europea costituisce una buona occasione per mettere in luce la illegittimità di alcuni divieti della legge 40 primo tra tutti i limiti di accesso alle tecniche e il divieto di ricorrere alla Diagnosi Genetica di Preimpianto; […]. Tutte indagini che hanno lo scopo di conoscere lo stato di salute dell’embrione […]: tra queste però, la Diagnosi Genetica di Preimpianto è stata vietata. […].

La legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita, insomma, piuttosto che regolamentare l’accesso alle tecniche di procreazione assistita, si incarica di negare immotivatamente questo accesso a molte categorie di individui. Questi confini appaiono ingiustificati se la procreazione assistita viene equiparata a una terapia […].
[…]. Questi confini ledono la salute dei cittadini italiani, che se vivessero in un altro Paese avrebbero vita più facile e maggiori possibilità di realizzare un desiderio legittimo: avere dei figli. Questi confini entrano in contrasto con alcuni diritti fondamentali e universali sanciti da trattati comunitari, oltre che dalla nostra stessa Costituzione e dalle Carte dei diritti fondamentali (il primo è il diritto alla salute, appunto) e creano quel fenomeno drammatico e gravemente discriminatorio chiamato turismo procreativo.

La recente sentenza della Corte di Strasburgo sul caso di Natallie Evans offre una occasione preziosa per illuminare la pericolosità della premessa fondamentale della legge 40: l’attribuzione di diritti al concepito. Attribuzione che implica la maggior parte dei divieti elencati dalla legge sulla procreazione assistita e che apre la strada a conseguenze morali e giuridiche pericolose e inaccettabili: sebbene la legge 40 esplicitamente dichiari di non volere interferire con la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza (Articolo 14, Limiti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni: «[…] fermo restando quanto previsto dalla legge 22 maggio 1978, n. 194») vietare la crioconsevrazione e la soppressione degli embrioni si pone in contraddizione con la possibilità di interrompere lo sviluppo degli embrioni stessi abortendo. Attribuire un diritto alla vita all’embrione, inoltre, rischia di criminalizzare la gravidanza e di rendere ogni azione della donna potenzialmente lesiva dei diritti dell’embrione (a questo proposito è molto significativa la legge federale americana Unborn Victims of Violence Act o i processi contro donne incinte accusate di spaccio di sostanze stupefacenti, abusi infantili o addirittura di omicidio nel caso di Regina McKnight. Tutte queste donne sono state accusate per comportamenti tenuti durante la gravidanza).

Testo integrale dell’articolo di Chiara Lalli pubblicato sul blog Bioetica

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3 commenti

IlFustigatoreDiGalliate

ma se davvero va contro molto leggi europee, non si potrebbe inbtentare una causa?

Asatan

E dove le trovi delle coppie italiane con abbastanza fegato da rivolgersi all’alta corte? O con abbastanza soldi?

Se mai volessi avere figlio io molto porbabilmente dovrei ricorrere alla procreazione medicalmente assistita, sapete madre natura mi ha dotato di una discreta lista di sfighe genetiche. Soldi per l’avvocato per andare a Strasburgo non è ho nemmeno a piangere. Per cui (special thanks alla doppia cittadinanza) penso che me ne andrei in Svizzera…. paese di gran lunga più civile del nostro, lì quando hanno votato i pacs è andato tutto bene (ma là sono abituati da oltre 500 anni alla pluralità religiosa).

Markus

Sono d’accordo su tutta la linea, ma quando avremo un parlamento capace di affrontare seriamente una questione così delicata ?

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