La morale sessuale della Chiesa cattolica: il grande inganno

A due anni dalla sua pubblicazione, forse pochi se ne ricordano: l’ultima versione del catechismo della chiesa cattolica è del 2005, il compendio curato dal card. Ratzinger e presentato da Ratzinger stesso, nel frattempo diventato papa. Come ricordava all’epoca “Repubblica”, venne “diffuso in oltre 150.000 copie nell’edizione tascabile anche in supermercati, autogrill e aeroporti”. Un’operazione di marketing in grande stile: 150.000 copie sono davvero tante (e solo per l’edizione tascabile). Come stupirsi, allora, dell’ondata di moralismo di ritorno che oggi si sta abbattendo sulla società italiana?
In quelle duecento pagine, venne ribadita la più ferma condanna da parte della chiesa cattolica di tutti quei comportamenti che hanno “come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”, comportamenti in cui si manifesta il “vizio della lussuria”: pornografia, prostituzione, contraccezione, rapporti omosessuali. Per tacere poi della fecondazione artificiale, che separa “la procreazione dall’atto con cui gli sposi si donano mutualmente, instaurando così un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana”.
A ben guardare, una separazione, in effetti, c’è: ma non è quella condannata dalla chiesa. Si tratta, piuttosto, della separazione causata proprio dal modello cattolico di famiglia: la separazione di eros e sessualità. La famiglia cattolica costringe il sesso nella dimensione puramente procreativa e il risultato è quello di una sessualità diserotizzata. Per usare le parole di Alberto Melucci, “si esaspera così la riduzione genitale della sessualità” e diventa impossibile vivere l’esperienza di una sessualità intesa “come ricerca di sé e dell’altro”, fare della sessualità “un incontro mediato dai nostri corpi”.
Si cominciano così a comprendere i motivi delle condanne cattoliche a contraccezione, unioni omosessuali e, in genere, unioni di qualsiasi tipo al di fuori del matrimonio. Per la chiesa, famiglia è solo quella fondata sull’unione di un uomo e di una donna nel vincolo del matrimonio e tesa alla procreazione: ognuno deve accettare la “propria identità sessuale” perché “Dio ha creato l’uomo maschio e femmina”, dice ancora il catechismo di Ratzinger. Se venisse accettato un concetto di famiglia diverso da quello cattolico-borghese, apparirebbe evidente che quello che è stato sempre indicato come IL modello di famiglia è, in realta, soltanto UNO dei modelli possibili (e neanche il migliore, proprio in quanto privato, depauperato dell’eros). Si aprirebbe così la crisi della famiglia cattolica, la cui preservazione è invece di fondamentale importanza per la santa alleanza clerico-borghese, in quanto potentissimo strumento di controllo sociale. Controllare gli spostamenti di un tram è molto più facile che controllare quelli di uno scooter: il tram è messo su un binario obbligato, mentre lo scooter è libero di spostarsi dove vuole. Se le persone vengono vincolate ad un preciso modello di famiglia, non sono libere di spostarsi a proprio piacimento e possono essere controllate meglio.
Se, poi, questo modello di famiglia porta con sé una finalità ben precisa – la procreazione – che svuota la sessualità e la rende qualcosa di strumentale, il risultato è esattamente lo stesso ottenuto con il modello di lavoro della società industriale: l’alienazione dell’essere umano. Là è il lavoro che, esistendo solo come prestazione e non come azione, viene alienato dall’essere umano. Qui, invece, è la sessualità che, esistendo solo come mezzo di procreazione e NON come eros, viene alienata dall’essere umano.
Il gioco della chiesa è proprio quello di presentare il SUO modello di famiglia come l’UNICO modello di famiglia, per sostenere l’equazione: crisi della famiglia cattolica = crisi della famiglia. In realtà, come rilevava il prof. Marzio Barbagli in un’intervista rilasciata al “Manifesto” dopo il Family Day, non si può parlare di una crisi della famiglia, ma di crisi del modello di famiglia “basato sul matrimonio unico e indissolubile con molti figli. Un modello per altro che non esiste da sempre, come dicono i cattolici, ma solo dal 1500 in poi: prima del Concilio di Trento la maggioranza delle coppie non erano sposate”.
Piuttosto, è curioso il rapporto che unisce la famiglia cattolico-borghese e la prostituzione. Nel suo monumentale “Parigi capitale del XIX secolo”, Walter Benjamin affermava che la prostituzione è rivoluzionaria in quanto “esprime il lato rivoluzionario della tecnica (quello creativo, come pure del resto quello esplorativo: il lato simbolico)” ed osservava che la prostituzione va considerata “non tanto come l’opposto quanto come la decadenza dell’amore”. La prostituzione è tecnica sessuale, è prestazione pura e, partendo dalla prospettiva di Benjamin, ci appare NON come l’opposto della famiglia cattolico-borghese, MA come lo specchio della sua decadenza: prostituzione e famiglia cattolica, entrambe pervase da una sessualità ormai senza più eros.
Va da sé che il catechismo di Ratzinger condanni senza appello la prostituzione. Anche la condanna morale della prostituzione serve a preservare l’istituzione cattolico-borghese della famiglia: se la prostituzione non fosse condannata, si vedrebbe che il re è nudo, cioè che la famiglia cattolica e la prostituzione si specchiano l’una nell’altra attraverso una sessualità diserotizzata, esclusivamente genitale: là per la procreazione, qui per la prestazione. Ecco, quindi, l’essenza rivoluzionaria della prostituzione nel XXI secolo: disvelare l’inganno perpetrato dalla società borghese e dalla chiesa cattolica e consentire così l’emancipazione della famiglia, che da istituzione diserotizzata (in quanto connotata da istanze procreative) può finalmente diventare fonte rinnovabile di eros.
Poi, ovviamente, tra i “vizi della lussuria” condannati dal catechismo, non poteva mancare la pornografia. In realtà, la pornografia è una forma di espressione. E, come ogni altra forma di espressione, può piacere o non piacere, interessare o annoiare. È una forma di espressione che naturalmente investe un ambito molto intimo della persona (la sessualità) e in particolare il ruolo dei soggetti all’interno della relazione sessuale, ma che è stata sdoganata, negli ultimi vent’anni, anche da una parte dei movimenti femministi. È una forma di espressione dell’immaginario sessuale, al pari – sorprendentemente – dei romanzi rosa, i quali trasmettono addirittura un’immagine della donna totalmente sottomessa al potere maschile, mentre al contrario lo stereotipo proposto dalla pornografia è quello di un rapporto sessuale “consensuale, anzi voluto dalla donna, nelle più svariate posizioni”, come ci ricordava Micaela Staderini nel libro “Pornografie. Movimento femminista e immaginario sessuale”, pubblicato da Manifestolibri. Una pornografia che però non è più esclusivamente una rappresentazione sessuale di genere (maschile vs. femminile): alla tradizionale pornografia eterosessuale se ne accompagna oggi una omosessuale (gay o lesbica). Il che sembra ribadire l’universalità di questa forma espressiva.
Senza dimenticare, poi, che la pornografia esiste da epoche molto lontane, basti pensare alle sculture con scene di sesso esplicito che adornano gli antichi templi indiani di Khajuraho o agli affreschi delle case pompeiane dell’epoca romana. Nella pornografia, quindi, non c’è alcuna perversione, né alcunché di moralmente insano.
Piuttosto, verrebbe da pensare che l’essere umano tragga un naturale piacere dalla visione di rappresentazioni di unioni sessuali e che soltanto i condizionamenti (diretti o indiretti) di cristianesimo, ebraismo ed islam abbiano portato a considerare riprovevole l’esibizione di un atto sessuale. Condizionamenti diretti là dove quelle religioni sono diffusamente professate; condizionamenti indiretti dove, come nell’India moderna, il puritanesimo è rimasto come uno dei guasti del colonialismo.
Tutto questo ci aiuta a comprendere la verità: la morale sessuale cattolica è solo un grande inganno. E tutte quelle che la chiesa bolla come manifestazioni del “vizio della lussuria” altro non sono che istanze di libertà, per ridare all’essere umano la possibilità di vivere la propria sessualità pienamente e nella consapevolezza che tra persone adulte e consenzienti tutto è lecito e nulla è moralmente condannabile.

La riflessione del sociologo Roberto Gialdi è pervenuta al nostro indirizzo

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