La secolarizzazione in Italia

Come procede la secolarizzazione in Italia? Quale rapporto ha con la politica? Per saperne di più su questo e altro abbiamo intervistato il professor Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos, sul numero 1/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Enzo Risso è direttore scientifico di Ipsos, docente di audience studies – laboratorio di audience research presso l’Università La Sapienza di Roma, editorialista del quotidiano Il domani, membro del comitato scientifico e del comitato di indirizzo del Digital transformation institute e membro dell’advisory board della Fondazione PICo per l’innovazione nelle cooperative. L’abbiamo intervistato sui processi di secolarizzazione in atto in Italia.

Sebbene sia oggetto di dibattito, l’idea di “secolarizzazione” – intesa come la perdita di influenza della religione organizzata su questioni come ad esempio la famiglia, il matrimonio, l’aborto, il divorzio, il fine vita, le relazioni – è ancora attuale. In questo senso, a suo giudizio, la secolarizzazione della società sta avanzando in Italia?

Il tema è certamente ampio e va osservato da diverse angolature. Solo il 30 per cento degli italiani, oggi, sostiene la necessità che le persone, nel loro operare, debbano seguire ciò che dicono il papa e la Chiesa. Il 70 per cento del Paese non è in linea con questo sentire e non pensa che si debbano seguire i precetti ecclesiali. Maggiormente distanti dai comandi religiosi risultano i residenti a nordovest (77%), nel centro Italia (76) e i baby boomers (75). Più inclini a seguire le indicazioni ecclesiastiche i residenti al sud (40 per cento) e i ceti medio bassi (36 per cento).

Riguardo i diversi temi da voi citati si può sottolineare che ormai il 75% degli italiani giudica legittimo e accettabile il divorzio e la quota di quelli assolutamente contrari è solo il 6%. Il 60% ritiene accettabile l’aborto e quelli assolutamente contrari in ogni circostanza sono il 14%. La possibilità dell’eutanasia è ritenuta accettabile dal 56%, mentre gli assolutamente contrari sempre e comunque sono il 15% (all’inizio del millennio erano il 49%).

Tra i giovani l’ipotesi del matrimonio religioso è prospettata solo dal 17%. Tutto questo ci induce a dire che sta avanzando il processo di secolarizzazione? Sicuramente nel nostro Paese stanno progredendo sia un fenomeno di indifferenza etico-religiosa, sia un fenomeno di metamorfosi di ciò che è religioso, di trasferimento del sacro su fenomeni tipicamente secolari come il culto dell’individuo e la sacralità della persona umana. Non c’è scomparsa del religioso e neppure laicizzazione piena della società.

Come si colloca l’Italia, secondo i dati che ha a disposizione, in una ipotetica classifica dei Paesi per livello di secolarizzazione?

Se prendiamo per esempio il tema dell’aborto, possiamo osservare che l’opinione pubblica italiana si colloca tra i primi dieci Paesi al mondo che difendono la legalità dell’aborto, insieme a svedesi, francesi, olandesi, spagnoli, belgi, ungheresi, britannici, canadesi e tedeschi.

Quali indicatori oggettivi potrebbero essere utilizzati per determinare il livello di “laicità” delle diverse città o province italiane? Ci vengono in mente ad esempio il rapporto tra matrimoni con rito civile e matrimoni con rito religioso; oppure il numero di coloro che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica a scuola.

Direi che sono fattori un po’ riduttivi su cui basare il tasso di laicità. Molti ragazzi a scuola fanno l’ora di religione perché dà dai crediti. Altri si sposano in chiesa perché è scenografico. Userei fattori più valoriali e legati alle opinioni delle persone. Significativo, per cogliere il peso dell’impronta cattolica nella società, è il tema dell’incoraggiare la preghiera nelle scuole pubbliche. Molto favorevoli sono solo il 12% degli italiani. Disponibili, ma senza particolare enfasi, un altro 27 per cento. Contrari il 61 per cento.

Le voci maggiormente avverse a questa ipotesi le ritroviamo tra i giovani della generazione Z con il 74% di contrari, il ceto medio (62 per cento), i residenti a nordovest (69). L’opinione pubblica nazionale mostra tratti di scetticismo anche verso le sacre scritture. Il 59% non condivide che il mondo sia stato creato in sei giorni come affermato nella Bibbia. Lo scetticismo aleggia tra i giovani (66%), tra i residenti di nordovest (62), nordest (63), centro Italia (61) e nel ceto medio (61 per cento).

Laicità non equivale ad ateismo o ad agnosticismo, perché si può essere a favore della separazione tra Stato e Chiesa (e Chiese) anche se si ha un pensiero religioso. Allo stesso modo, ma all’opposto, vediamo che diverse persone che si dichiarano atee o agnostiche di fatto agiscono in maniera clericale (favorendo in qualche forma il cattolicesimo per ragioni “culturali”). Quali potrebbero essere, ad esempio in un sondaggio, delle domande da porre per avere dati sensati sul numero di persone che hanno una sensibilità laica?

Per affrontare il tema di quali domande si dovrebbero fare in un sondaggio, occorre chiarire che cosa si va cercando. Quale concetto di laicità si adotta e si va a indagare? La laicità come principio di mutua autonomia tra religione e politica è l’aspetto forse più semplice. Esso è stato espresso da Locke nella Epistola de Tolerantia: «lo Stato nulla possa in materia puramente spirituale, e la Chiesa nulla in materia temporale». Norberto Bobbio sottolinea che «lo ‘Stato laico’ è quello che non s’identifica con una determinata confessione religiosa né con una determinata concezione filosofico-politica», mostrandosi, dunque «agnostico in materia religiosa e filosofica».

Detto questo, un ragionamento ampio sul concetto di laicità vuol dire analizzare quanto sono radicati nella società i principi di fondo metodologici della laicità. Ad esempio, il tema della relazione con la verità. La laicità implica l’accettazione di un metodo proteso allo smascheramento di tutte le ideologie. L’indole metodologica, anti-ideologica e anti-metafisica del principio di laicità implica che tale principio autorizzi e legittimi la coesistenza di difformi, eterogenee e conflittuali filosofie in forza del principio «non pretendere di possedere la verità più di quanto ogni altro possa pretendere di possederla» (Guido Calogero).

Poi abbiamo il principio di laicità come declinazione del principio del pluralismo tollerante, della capacità di entrare in confidenza con le differenze e di denunciare il muro delle diversità. La laicità, inoltre, presta attenzione al paradosso dell’umano, alle oscillazioni tra la dimensione universale e quella particolare. La mancanza di ancoraggi all’universale esalta lo scontro tra monopolisti della verità e apre le porte all’insana autoreferenzialità; la mancanza del particolare mina il pluralismo.

La laicità come strumento per affermare un’etica relativistica e comunitaria, in cui le persone possono essere diverse e al tempo stesso uguali, in quanto libere; e non essere prigioniere di un orientamento totalizzante. Un’etica che permette a ognuno di partecipare con gli altri alla costruzione di un modello di convivenza in cui si è liberi di ricercare se stessi, la propria unicità e al contempo di essere con gli altri. Insomma i temi per affrontare un sondaggio sulla laicità sono molteplici e non possono limitarsi al rapporto Stato-Chiesa.

Come si spiega che la clericalizzazione non tanto della società quanto della politica sia in aumento, almeno in base al numero di “clericalate” (intese come episodi di confessionalismo da parte delle istituzioni pubbliche) che raccogliamo?

Qui entra in gioco la ricerca del consenso. Per una politica sempre più parcellizzata in tanti piccoli partiti e partitini, che non hanno più un vero radicamento di massa, la possibilità di accedere a piccoli bacini di voti come quello che si pensa ancora oggi esistente intorno alla Chiesa, vuol dire spostare decimali di consenso.

Si dice che la politica sia in crisi, ma la religione non potrebbe stare anche peggio, e cominciare a essere determinata dall’appartenenza politica? Sembra sia diventato complicato appoggiare partiti identitari di destra senza appoggiarne (quantomeno a parole) anche l’agenda religiosa.

Che politica e religione stiano entrambe in cattiva salute lo confermano i dati. I vescovi sono in fondo alla classifica della fiducia con il 36,7 per cento dei voti sufficienti (tra 6 e 10), insieme ai politici eletti nei Comuni (36 per cento), ai parlamentari (35,6) e ai vertici delle banche (35,1). Va un po’ meglio per i parroci che raccolgono il 50,8 per cento dei voti sufficienti e si collocano a metà classifica, insieme ad avvocati (50,1), magistrati (47,9) e manager (52,8).

Sono comunque molto lontani dai vertici della classifica in cui svettano i medici e gli scienziati (80,7 per cento di voti sufficienti), i responsabili delle associazioni di volontariato (71,5) e i professori universitari (66,6). Per quanto riguarda i diversi campi politici mi sembra che in nessuna area i tassi di laicità siano così elevati mentre il sostegno ai partiti di centrodestra per molti elettori non significa condividerne le istanze religiose.

Quanto, a suo giudizio, il supporto dato da molti politici alla chiesa cattolica o a suoi simboli (ad esempio il crocifisso o il presepe a scuola o nei luoghi pubblici) è dovuto, insieme con tutta la retorica delle “radici cristiane”, non tanto alla religiosità quanto all’opposizione nei confronti delle culture (anche religiose) “importate” dagli immigrati?

Sicuramente c’è un uso identitario anti islamico di molte retoriche. Un uso strumentale della religione per creare barriere, per operare sull’asse narrativo nemico-amico, buono-cattivo.

È un tentativo di riannodare dei fili con il nostro passato, di ancorarsi alle tradizioni, soffiando sul fuoco delle paure delle persone e cercando di giustificare il tutto con una retorica arcaica e identitaria. Tutto questo non toglie nulla né frena il processo di erosione progressiva della fede cristiana, di perdita di influenza della chiesa cattolica nell’orientare comportamenti privati e collettivi.

Questo processo non è solo il segno del cambiamento delle condizioni della sua funzione, del suo riconoscimento nella società e nella cultura, ma è anche il portato della difficoltà di dialogo e comprensione della contemporaneità. Il pontificato di Bergoglio, in questi anni, ha avuto un effetto di rallentamento dei processi di distacco, i suoi richiami sono apparsi più vicini alla sensibilità contemporanea, alla dimensione di comunità accogliente.

Le dinamiche conservatrici, che qua e là si risvegliano, rischiano di accentuare le fratture nella Chiesa anziché frenarle, di mettere in primo piano una dimensione più arcigna, meno disposta al dialogo con le dinamiche sociali.

Intervista a Enzo Risso

 


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