Le notevoli differenze tra Otto e Cinque per mille

Massimo Maiurana

Vi proponiamo un articolo dal terzo numero del bimestrale dell’Uaar, Nessun Dogma – Agire laico per un mondo più umano. Per continuare a leggere il bimestrale associati all’Uaar, abbonati oppure acquista subito il terzo numero della rivista Nessun Dogma in formato PDF.


Come ogni primavera ritornano le dichiarazioni dei redditi e le pubblicità rivolte ai contribuenti. Anche se pochi sono al corrente di tutte le implicazioni delle loro scelte.

No, non è semplicemente questione di proporzioni. O meglio, non è quella l’unica differenza tra le due “creste” operate dallo stato sul gettito dell’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, a vantaggio di soggetti privati. E non è nemmeno la principale; di fatto si tratta di due canali di raccolta fondi e finanziamento molto diversi tra loro, ai quali tra l’altro se ne sono aggiunti nel tempo altri due che condividono lo stesso tasso permillare: il Due per mille ai partiti politici, tuttora esistente, e il Due per mille alle associazioni culturali che è invece durato un solo anno d’imposta, quello del 2016.

Ma torniamo a quelli principali e più longevi per sfatare intanto il mito che la proporzione tra i due sarebbe 1,6:1. Non è così se non nel nome, perché mentre nel caso dell’Otto per mille viene effettivamente trattenuta dall’Irpef una quota pari allo 0,008 del gettito totale, in quello del Cinque per mille lo 0,005 è un obbiettivo teorico raggiungibile solo qualora si verificassero due condizioni: che tutti i contribuenti indicassero un settore o un soggetto a cui destinarlo e, allo stesso tempo, che non venisse fissato un tetto massimo per legge. Nessuna delle due però si verifica. In particolare fin dal 2010 è stato fissato un limite massimo di 400 milioni complessivamente erogabili portato poi a 500 nel 2016, anno in cui il Cinque per mille è stato stabilizzato – prima occorreva che il governo e il parlamento lo confermassero di anno in anno con la legge di bilancio. Questo significa che l’ente destinatario non prende realmente lo 0,005 dell’Irpef pagata da tutti i contribuenti che lo hanno indicato ma un po’ meno, perché la somma spettante a ogni beneficiario viene diminuita proporzionalmente in modo da rimanere entro il limite.

I contribuenti poi non indicano tutti un beneficiario per la propria quota di Irpef, in parte perché non hanno in mente nessuno di meritevole, oppure perché semplicemente non se ne ricordano nel momento in cui presentano la loro dichiarazione dei redditi, e in parte perché non sono obbligati a presentare alcuna dichiarazione. E qui sta l’altra grande differenza con l’Otto per mille, che invece viene erogato tutto a prescindere dal numero di preferenze raccolte. E dire che il divario tra la percentuale di contribuenti che firmano il riquadro per la destinazione del Cinque per mille e quella di chi firma un riquadro per l’Otto per mille si assottiglia sempre più, nonostante le campagne pubblicitarie per quest’ultimo siano decisamente più ponderose. Nel 2016, anno in cui c’è stata l’elevazione del tetto massimo da 400 a 500 milioni, il Cinque per mille dell’Irpef di tutti i sottoscrittori si era comunque mantenuto poco sotto la soglia e quindi l’optato era stato interamente destinato. L’anno successivo invece le preferenze sono cresciute e il fisco ha naturalmente limato l’eccesso facendo diventare non solo meno di quattro, ma perfino meno di tre, quello che avrebbe dovuto essere cinque.

Facciamo un esempio pratico per maggiore chiarezza. Supponiamo che in un dato anno il gettito Irpef complessivo sia di 240 miliardi di euro, e che quindi le quote per Otto e Cinque per mille siano rispettivamente 1,92 e 1,2 miliardi. Supponiamo poi che l’optato, cioè l’Irpef dei contribuenti che hanno apposto la loro firma nella casellina, corrisponda esattamente alla metà. In realtà poi i contribuenti che firmano per destinare l’Otto e il Cinque per mille non sono del tutto sovrapponibili, ma per il nostro esempio questo è irrilevante. In virtù di ciò la quota di Otto per mille non cambia perché come abbiamo detto non ha importanza quante sono le scelte espresse: la ripartizione avviene comunque per intero e in proporzione a quelle scelte. Il Cinque per mille invece si è già dimezzato, l’inoptato rimane al fisco. Ma non è ancora finita, perché l’optato ammonterebbe a 600 milioni: altri 100 milioni vengono quindi tagliati per rientrare nel limite stanziato. Alla fine i cinque millesimi sono diventati in realtà poco più di due in barba al nome. Alle organizzazioni e ai progetti beneficiari del Cinque per mille è andato poco più di un quarto di quanto è stato invece destinato alle chiese.

Le chiese, appunto. Che sono ormai diventate ben dodici e che possono fare dei soldi ricevuti quello che vogliono, altra grande differenza tra i due meccanismi di finanziamento. Infatti i beneficiari del Cinque per mille non solo vedono ridursi drasticamente un mezzo di sostentamento per loro che già in partenza era parecchio inferiore a quello che assicura il sostentamento alle religioni, ma sono anche tenuti a rendicontare l’uso che ne fanno. Ed è giusto che sia così. È giusto che chi beneficia di risorse pubbliche sia soggetto a un minimo di controllo. Le chiese no, loro non sono tenute a giustificare in alcun modo quello che finanziano con i proventi dell’Otto per mille. Possono certamente impiegarli a scopi sociali, e una parte sicuramente viene destinata a tali fini, ma è una loro scelta e spesso diventa motivo per propagandare un uso a loro dire “corretto” e stimolare così i contribuenti a tenerne conto nella scelta. Il resto di quel denaro, che è poi la maggior parte, viene utilizzato per il sostentamento del clero. Come peraltro era nelle intenzioni di chi lo ha concepito, visto che è stato introdotto espressamente per sostituire lo stipendio di stato ai sacerdoti: la cosiddetta congrua.

In sintesi l’unica cosa che accomuna questi finanziamenti è la seconda parte del loro nome, cioè “per mille”. Per il resto sono diversissimi; non sono entrambi millesimi di Irpef, solo il più grande lo è realmente, e non sono entrambi destinati a scopi sociali, questo lo è solo il più piccolo. Non si può nemmeno dire che il Cinque per mille sia un’alternativa laica al fratello maggiore per una ragione semplicissima: attraverso le tante associazioni della sua galassia, la chiesa attinge anche a quella fonte.


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Un commento

RobertoV

Aggiungerei una ulteriore importante differenza.
Mentre il cinque per mille può essere effettivamente considerato pluralista grazie ad un numero molto elevato di possibili soggetti tra cui scegliere (dalla cultura, allo sport, alla medicina, ecc.) che copre le varie preferenze individuali di tutti, questo non è vero per l’otto per mille.
L’otto per mille è nato con un accordo tra stato e chiesa cattolica, cioè è una legge ad hoc per finanziarla (e non si capisce quali ragioni storiche abbiano imposto di superare il vecchio finanziamento col risultato di triplicarne la quota) e solo posteriormente e molto lentamente si sono aggiunte un po’ di altre religioni a fare da foglia di fico per la chiesa cattolica, ma non rappresentative della pluralità e libertà religiosa. Basti pensare che per gli ortodossi è ammessa solo una chiesa minoritaria, la religione musulmana ne è esclusa, come tante altre. E chi non si riconosce in nessuna di queste religioni ammesse a spartirsi una torta che cresce all’aumentare delle tasse pagate dagli italiani anche se queste religioni perdono fedeli (o i preti come per la chiesa cattolica), ha come unica scelta “ipoteticamente” non religiosa l’alternativa di uno stato molto ambiguo sulla questione, svantaggiato dagli stessi accordi e di certo non amato da molti italiani.
Con in più per la sola chiesa cattolica la possibilità di fare pubblicità ingannevole e disinformazione per l’otto per mille come si vede bene anche attualmente.

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