Le religioni osteggiano gli scacchi – persino oggi – perché distraggono dagli obblighi rituali e insegnano a pensare in modo autonomo e logico, minando l’autorità religiosa. Alessandro Cirelli ce ne parla sul numero 3/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Gli scacchi, gioco millenario, non sono sempre stati così come li conosciamo oggi. Gli storici ci insegnano infatti che molte sono state le modifiche apportate al gioco nel corso dei secoli. In epoca medievale, al contrario di molti altri giochi, gli scacchi sono stati generalmente esclusi dai divieti in quasi tutti gli statuti comunali, ed erano diffusissimi e particolarmente apprezzati nelle corti di tutta Europa. In ambito europeo, solo pochi regnanti hanno tentato di proibire gli scacchi, ma con scarso successo.
La pratica di giocare a scacchi per denaro era così diffusa nel XIII secolo che Luigi IX, re di Francia, dovette emettere un decreto contro le scommesse nel 1254 (i malpensanti dissero che aveva emesso quel decreto perché perdeva tutte le partite!). Decreto però inattuabile e largamente disatteso dalla gente comune e perfino dalla società di corte, e si continuò a godere senza interruzioni di tornei di scacchi proibiti.
Le autorità religiose, da par loro, hanno invece sempre cercato di mettere al bando gli scacchi – «Cose inutili che allontanano da Dio», secondo Savonarola – ufficialmente perché richiedendo molto tempo ne toglievano agli obblighi religiosi (ora et labora). A parer nostro, la ragione di fondo mai esplicitata sarebbe un’altra: gli scacchi insegnano a ragionare logicamente e con la propria testa («se lui fa questo, io faccio quello») e questo è pericoloso per l’autorità (anche ma non solo religiosa), che certamente non vuole fedeli/sudditi pensanti.
Nel IX secolo, la grande diffusione del gioco tra gli arabi portò le autorità religiose ad affermare che il Corano vieta il gioco in generale, e a cercare di includere in questo divieto anche gli scacchi.
In Occidente, e in particolare in Italia, è citato nei libri di storia un fatto singolare e che oggi ci fa sorridere, ma che è costato agli scacchi ben cinque secoli di divieto da parte della chiesa cattolica. Nel 1061, il cardinale e vescovo di Ostia, il celebre Pier Damiani – ricordato anche da Dante nella Divina Commedia – si trovava di passaggio a Firenze in compagnia di un collega il quale, anziché andare a letto presto, aveva giocato a scacchi tutta la notte e non si era svegliato la mattina successiva per dire la messa (!).
Dopo aver punito il collega (sanzione in denaro, tre recite di rosari e dodici lavande dei piedi ai mendicanti), Pier Damiani – che poi verrà santificato – scrisse una violenta lettera a papa Alessandro II in cui gli chiedeva una condanna del gioco (definito, fra le altre cose, come «disonesto, assurdo e libidinoso») e la ottenne.
Successivamente ci furono ben due concili in cui venne ribadito dalla Chiesa il divieto di giocare a scacchi. Ma nonostante l’editto della Chiesa, gli scacchi hanno continuato a diffondersi fra i nobili delle corti di tutta Europa, e pure fra la gente comune, con la comparsa anche dei primi libri sull’argomento (delle rarità che avevano solo pochi ricchissimi appassionati).
Basti pensare che Dante nel Paradiso, per dare un’idea del numero di angeli presenti, fa un riferimento agli scacchi e in particolare alla celebre leggenda degli scacchi («L’incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che ’l numero loro più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla». Paradiso, XXVIII, 91-93).
Secondo tale leggenda orientale, sintetizzando, l’inventore degli scacchi chiese al re di Persia, in premio per la sua invenzione, un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza, e così via: il re, dopo aver accettato con un sorriso di scherno la richiesta, si rese conto che nemmeno tutti i granai del suo regno sarebbero bastati ad accontentare la richiesta (e pertanto fece decapitare l’inventore degli scacchi!).
Nel ‘400 san Bernardino e Girolamo Savonarola rilanciarono l’ostracismo nei confronti degli scacchi. Essi consideravano gli scacchi inutili, delle vanità che allontanano da Dio, e si fecero promotori di roghi nelle piazze di Perugia, Firenze e Siena di scacchiere e pezzi. Migliaia di scacchiere – anche di ottima fattura – bruciate: «instrumenti di Satana», arsi «perché non te ne venisse voglia di giocare».
La Chiesa è stata in grado non solo di vietare gli scacchi, ma accusando gli scacchisti di occuparsi di cose vane è riuscita anche a instillare un senso di colpa durato secoli (e forse ancora non del tutto scomparso) in chi giocava a scacchi.
Basti pensare che molti scacchisti e/o autori di libri di scacchi hanno sentito la necessità di giustificare la propria passione: Ruy Lopez e Benjamin Franklin per citare un paio di esempi. In tempi assai più recenti, tracce del senso di colpa (neanche troppo) strisciante le possiamo trovare in uno scritto del 1961 di don Milani, che in una lettera a V. Lampronti del 23.6.1961 diceva: «E non si gioca a scacchi mai. Perché non c’è gioco più profondamente immorale laddoveché richieda concentrazione intellettuale, mentre un gioco anche a volerlo concedere (e non lo concederei neanche così) deve almeno essere distensivo».
Tornando all’editto della Chiesa, per arrivare alla cancellazione della condanna si dovranno attendere i primi anni del cinquecento con papa Leone X (Giovanni de’ Medici, secondogenito del celeberrimo Lorenzo il Magnifico) che sin da ragazzino era appassionato di scacchi ed è passato alla storia come buon giocatore. Grazie a lui, a Teresa d’Avila – nel 1944 nominata patrona degli scacchisti – e a san Francesco di Sales, gli scacchi sono divenuti leciti anche per la Chiesa.
E ancora ai giorni nostri, capita di trovare in giro per il mondo divieti da parte di autorità religiose di giocare a scacchi. Nel 2016, il Gran Mufti dell’Arabia Saudita Sheikh Abdullah al-Sheikh, ha emanato una fatwa contro il gioco: «Servono solo a perdere tempo e soldi» e a «generare odio e ostilità tra i giocatori». Pare che il divieto sia comunque durato poco, dato che nel 2017 è stato ospitato proprio in Arabia Saudita un importante torneo internazionale.
Altro problema per il cristianesimo è stato la presenza di un pezzo femmina, la regina. Anzitutto perché il pedone che viene portato a promozione (cioè viene spinto in avanti fino alla fine della scacchiera) e si trasforma in una regina, crea sia il possibile problema di una doppia regina dello stesso colore sulla scacchiera e dunque per il re una questione di bigamia (tuttora delitto punito dal nostro codice penale), sia un problema di transessualismo del pedone (maschio che diventa donna trans).
Per chi oggi sorride, basti pensare che tali questioni hanno dato filo da torcere ad autorevoli scrittori di libri di scacchi, che hanno dovuto usare parecchia fantasia (che agli scacchisti solitamente non manca) per risolvere tali problemi. Ad esempio, Damiano – celebre scacchista del ‘500 – nel suo Libro da imparare giochare a scachi et de belissimi partiti […], cambia il nome del pedone rendendolo al femminile in “la pedona” (pedina per il coevo scacchista spagnolo Ruy Lopez), e inserisce la regola per cui non si può avere più di una regina dello stesso colore sulla scacchiera – regola sopravvissuta fino alla fine dell’800 in Italia e oggi non vigente nel regolamento Internazionale.
Nei Paesi cattolici, si cambiò il nome della regina in “donna”, così da eliminare definitivamente il problema della bigamia per il re (il quale può sempre dire che la nuova donna appena comparsa sulla scacchiera non è sua moglie!). Venendo alle conclusioni, considerato che gli scacchi si sono sviluppati in Europa circa mille e cento anni fa, in un periodo storico in cui l’autorità religiosa aveva un enorme, intrusivo e tentacolare potere di controllo sulla società e sulla vita dei singoli, si può facilmente intuire come e perché anche questo meraviglioso gioco sia stato oggetto delle attenzioni del cristianesimo.
In ogni caso, ci sentiamo di condividere e sottoscrivere un celebre aforisma di Mikhail Tal, campione del mondo di scacchi nel 1960: «Se gli scacchi venissero proibiti per legge, io diventerei un fuorilegge!».
Alessandro Cirelli
Approfondimenti
- Federazione internazionale di scacchi: fide.com
- Federazione Italiana: federscacchi.com
- Mario Leoncini, La grande storia degli scacchi, Le due Torri, 2020
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“….. in uno scritto del 1961 di don Milani, che in una lettera a V. Lampronti del 23.6.1961 diceva: «E non si gioca a scacchi mai. Perché non c’è gioco più profondamente immorale laddoveché richieda concentrazione intellettuale, mentre un gioco anche a volerlo concedere (e non lo concederei neanche così) deve almeno essere distensivo».”
Bisogna riconoscere quanto meno a Don Milani una assoluta coerenza,nonche’ fedelta al suo ideale di perfetto “povero di spirito”(aka ignorante e pure stupido)
che propagandava ai fedeli.
Doveva essere gia motivo di sconforto per lui doversi astenere ( per assoluta necessita)dal propagandare l’analfabetismo.
Non che la cosa beninteso non fosse gia da secoli un ideale praticato pure dalle piu’ alte autorita religiose,e non solo cristiane : basta guardare come ancor oggi sia organizzato lo studio nei paesi fondamentalisti islamici( cominciando con la totale esclusione delle donne).
Qualcuno conosce l’atteggiamento della Chiesa sui giochi di carte ?
Secondo alcuni il Bridge impegnerebbe le risorse mentali quanto gli scacchi.
Stesso discorso per il backgammon largamente diffuso da secoli nei paesi arabi,ad onta di qualsiasi Mufti.
Con buona pace del clerofascista don Milani, qualunque gioco coinvolge un ragionamento in quanto si basa su tattiche e strategie, anche cosette semplici come “tris”, i bastoncini cinesi colorati, ruzzica, i 4 cantoni, etc…
Io ho imparato all’oratorio: c’era il prete che giocava a scacchi. E se non ricordo male, quando per caso ci sono passato, da RAI 1, intendo, ho visto Don Matteo giocarci.
Come al solito la chiesa dopo aver per secoli osteggiato qualcosa, quando non riesce più a reprimere se ne appropria e cerca di rifarsi una verginità. Probabilmente hanno scoperto che gli scacchi, come lo sport, sono un buon mezzo per tenere i ragazzi in parrocchia per i loro fini.
Potremo fare un paragone tra gli scacchi e lo studio del latino,che pur non offrendo oggi applicazioni pratiche,e nemmeno occasione di divertimento,aveva il pregio di costituire,analogamente, un discreto esercizio mentale.
E paradossalmente non credo che la Chiesa lo abbia mai osteggiato,cosa che probabilmente non ha mai fatto apertamente nemmeno Don Milani.
(Per inciso,a fine anni ’50,lo stesso PCI,prese una ferma posizione di difesa dell’insegnamento del latino nella scuola pubblica,posizione che si ribalto’ pochi anni dopo.)
“La Chiesa è stata in grado non solo di vietare gli scacchi, ma accusando gli scacchisti di occuparsi di “cose vane” è riuscita anche a instillare un senso di colpa durato secoli ……”
La quale chiesa,per secoli ha imposto alle masse un esercizio non del tutto scomparso nemmeno oggi : la preghiera in latino,che solo una piccola minoranza comprendeva,mentre per masse enormi significava solo emettere suoni incomprensibili,e a lungo.
La cui utlita,a parte ovviamente il condizionamento mentale,e’ tutta da dimostrare.
“……deve almeno essere distensivo”.
E ‘ evidente quale potesse essere il gioco ideale per Don Milani : lo Yo-Yo.
Un gioco che distende i nervi senza inutili e dannosi esercizi mentali.
Anche il Clic-Clac(ricordate?)e’ da escludere perche’ richiedeva una coordinazione di movimenti che implicava un altrettanto dannoso esercizio di riflessi.
Io farei un’altra osservazione : gli scacchi richiedono necessariamente due giocatori,
i giochi di carte come il Bridge quattro,insomma indubbiamente facilitano la socializzazione.Basti pensare ai circoli dedicati appunto a tali giochi.
Non so se la Chiesa nei secoli vedesse di buon occhio appunto l’instaurarsi di legami di amicizia,magari di gruppo,anche se di genere totalmente innocente, tra i fedeli.Legami ovviamente “esterni” alla religione.
Dopotutto cosa c’e di meglio della solitudine per spingere un individuo al misticismo,a trovare conforto nella preghiera ?
In tempi recenti,accettare che i ragazzi pratichino sport in parrocchia,che perfino le ragazzine pratichino discipline come il judo che un tempo avrebbero fatto scandalo,e’ un classico esempio di “virtu’ della necessita”,di adattamento a regole che la societa laica ha imposto paradossalmente alla Chiesa invertendo un processo millenario.