L’idea di “destino” si carica spesso di un significato mistico-religioso che fornisce la base per l’identitarismo e nella storia ha giustificato numerose forme di oppressione. Una riflessione di Giovanni Gaetani sul numero 6/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.
Ogni persona è unica, nel senso proprio della parola. Nasciamo in un determinato corpo e in un determinato luogo, durante specifiche contingenze storiche, familiari, sociali, politiche, economiche e quant’altro. Il rimescolarsi degli eventi, così come quello dei cromosomi dei nostri genitori, fanno di noi un evento irripetibile. Persino dei gemelli omozigoti – ovvero quanto di più simile a delle fotocopie genetiche – diventano unici occupando uno spazio diverso nel mondo, a partire sin dalla diversa posizione nel grembo materno.
Siamo unici, insomma, e questo è un dato di fatto indiscutibile. Discutibile invece è ciò che ne facciamo di questo dato – di come decidiamo di integrarlo nella nostra quotidiana visione delle cose. In questo articolo faremo proprio questo. Mostreremo due interpretazioni opposte ed escludenti di tale unicità: da una parte, l’identitarismo forte di chi trasforma la propria unicità in superiorità; dall’altra, l’identitarismo debole di chi invece fonda sulla propria unicità l’uguaglianza universale. Ma procediamo con ordine.

Il destino, un’illusione mortifera e infalsificabile
Visto il titolo, l’articolo non può che iniziare da una definizione del concetto di ‘destino’. Per destino si intende quella presunta forza o entità che prestabilirebbe il corso ineluttabile degli eventi. Chi crede nel destino crede non solo che le cose accadano in maniera necessaria (“dato x, non può che accadere y”), ma anche e soprattutto per una ragione ben precisa, più o meno nascosta (“x e y accadono per raggiungere il fine ultimo z”). In questo caso si può parlare allora di ‘teleologia’, ma lasciamo i tecnicismi ai filosofi per adesso.
Questa forza che tutto prestabilisce può essere impersonale – il fato, gli astri, il logos degli stoici, la dialettica dello Spirito di Hegel, il determinismo storico marxista – o personale – la provvidenza divina di tantissimi monoteismi, la predestinazione calvinista e così via.
È importante distinguere l’idea di destino da quella di determinismo. Quest’ultimo sostiene che tutti gli eventi nell’universo, compresi i pensieri e le azioni umane, sono il risultato inevitabile di cause precedenti. Il determinismo non implica però necessariamente una volontà superiore e personale, come quella di dio, ma fa piuttosto riferimento a cause cieche e impersonali, come le leggi della fisica, della genetica o della sociologia.
Da questo punto di vista, un individuo può sostenere il determinismo e rifiutare al tempo stesso l’idea di destino, interpretando il corso degli eventi come una sequenza causale meccanica ma priva di significato ultimo. In questa visione, la realtà è sì determinata, ma non destinata al compimento di un superiore disegno divino.
Ora, la grande e paradossale forza dell’idea di destino risiede nella sua inconfutabilità. Da un punto di vista meramente logico, non c’è infatti alcun modo di confutare chi crede nel destino, poiché qualsiasi cosa accadrà in futuro – positiva o negativa che sia – verrà ricondotta inevitabilmente al destino stesso, con piroette interpretative più o meno convulse.
Si tratta di una circolarità logica che fa affidamento sull’arte della conferma retrospettiva: quando una cosa accade, chi crede nel destino corre a cercare a posteriori una spiegazione del perché sia accaduta, in linea con le sue credenze – come quando, il giorno dopo un terremoto, orde di apologeti si accalcano per indicarci quali vizi dio avrebbe voluto punire scatenando quel cataclisma.
Chi crede nel destino non perderà mai. Prendiamo il caso dei tumori. Se sciaguratamente dovessi venire diagnosticato con un tumore e morire, un credente potrebbe sostenere che dio mi ha punito per il mio ateismo, la mia immoralità o quant’altro. Se poi un tumore colpisse quello stesso credente, allora il credente potrebbe sostenere che nel suo caso si tratti invece di una messa alla prova della sua fede.
In caso di guarigione, il credente griderebbe probabilmente al miracolo o a una ricompensa divina, sostenendo di aver superato la prova a cui era stato sottoposto. In caso di morte, invece, le persone vicine al defunto sosterrebbero che dio lo amava così tanto da volerlo a sé. Non se ne esce dunque: l’illusione del destino è un meme potentissimo e affascinante, proprio in quanto inconfutabile.
Popoli eletti e destini manifesti
Fatta questa necessaria premessa, torniamo al punto di partenza e chiediamoci: al netto di ogni emozionalismo, cosa significa essere unici? Significa essere individualità irripetibili nel tempo. Significa che non è mai esistito e non esisterà mai qualcuno come noi, né tra i circa 117 miliardi di persone esistite finora, né tra gli altri miliardi di persone che esisteranno in futuro. Ma questo essere irripetibili non fa di noi degli essere speciali o superiori. Perché, se l’irripetibilità è la regola, nessuno è davvero eccezionale o fuori dalla norma. Unico io, unica tu, unici tutti.
Su questo punto c’è però chi è felice di dissentire. Esistono gruppi di persone che si sentono orwellianamente “più irripetibili” di altri, come se sentissero di avere il vento del destino in poppa. Gruppi che, per un motivo o per un altro, vedono nella loro unicità una fonte di superiorità morale. Questo passaggio dall’unicità alla superiorità – il nocciolo dell’identitarismo forte – è tanto ingiustificato quanto drammatico: ingiustificato, perché si fonda su argomenti irrazionali e fideistici, come abbiamo appena visto; drammatico, perché si trasforma il più delle volte in violenza nei confronti dei “meno unici”, degli “inferiori”.
Gli esempi a tal riguardo si sprecano:
- Gli ebrei si considerano il “popolo eletto” dal loro dio e per suo ordine hanno commesso (e continuano a commettere) le più sanguinose atrocità, a partire dallo sterminio del popolo di Amalek, citato esplicitamente dallo stesso Netanyahu il 28 ottobre 2023: «va’ dunque e colpisci Amalek e vota allo sterminio quanto gli appartiene, non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini» (1 Samuele 15:2-3).
- I cristiani da parte loro si considerano la “stirpe eletta” dal loro dio e non si sono fatti scrupoli nel colonizzare e convertire mezzo mondo in nome del “Grande Mandato” assegnato loro: «andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Matteo 28:19-20).
- I coloni americani hanno preso alla lettera questo mandato, sostenendo la cosiddetta “dottrina del destino manifesto”, così come teorizzata da John L. O’Sullivan nel 1845: «È il diritto del nostro destino manifesto di espanderci e possedere l’intero continente che la Provvidenza ci ha dato per sviluppare il grande esperimento di libertà e autogoverno federativo affidatoci». Grande esperimento che coincise con il genocidio dei popoli nativi americani, distrutti come sassolini sotto gli pneumatici di un destino molto bianco, anglosassone e cristiano.
- I musulmani, ultimi arrivati tra i tre grandi monoteismi, si credono purtuttavia «la migliore comunità (umma) che sia stata suscitata per l’umanità» e proseguono per questo nella loro opera di proselitismo universale con mezzi diversi, più o meno discutibili.
Altri popoli del passato – come ad esempio gli inca, i maya o i sumeri – credevano altrettanto fermamente di essere loro stessi popoli eletti dai loro rispettivi dèi, salvo poi soccombere e scomparire, sconfitti o assimilati da altri popoli eletti. Chi ha ragione e chi ha torto in questa corsa all’elezione divina?
In una prospettiva fideistica, è ovvio chi ha ragione: solo chi appartiene al mio stesso popolo e chi crede nel mio stesso dio, mentre tutti gli altri popoli che si credono eletti sono solo degli illusi. In una prospettiva razionalista, appare invece chiaro che ogni popolo eletto è in realtà un popolo illuso. Si tratta però di un’illusione arrogante, prevaricante e solipsista, sorda a ogni possibile argomento.
Nichilismo e uguaglianza
Un’alternativa a tale identitarismo forte esiste, ma richiede un enorme salto filosofico. È necessario infatti aprirsi al nichilismo, ovvero all’idea che l’universo non abbia un senso ultimo in sé, che non esista alcun destino superiore e che dio stesso non esista. Quando ciò accade (e raramente accade), il nostro modo di vedere le cose cambia radicalmente: se prima vedevo nella storia il manifestarsi necessario di un fine ultimo nel quale io e il mio popolo recitavamo una parte da protagonisti sotto lo sguardo attento di un dio personale, adesso vedo in essa solo il cieco avvicendarsi di eventi e forze contingenti in cui siamo tutti comparse transitorie, irrilevanti in un’ottica cosmica.
Questa visione ridimensiona il nostro ego e ci insegna un’umiltà diversa: non quella del credente in ginocchio, sottomesso a quello stesso dio che purtuttavia lo ha eletto in un oceano di illusi miscredenti; bensì l’umiltà di chi si riconosce particella infinitesimale tra particelle infinitesimali, in un universo vastissimo e misterioso che non si sa bene come sia arrivato fin qui e che non si sa bene dove vada.
Sembrerà assurdo, ma solo il nichilismo può fondare la vera uguaglianza universale. Dio, per sua stessa definizione, è un’idea discriminatoria che crea eletti e dannati, sommersi e salvati, fedeli e miscredenti. Posta una qualsiasi idea di dio, anche la più amorevole fra tutte, l’umanità si dividerà per forza di cose in persone che credono in quel dio e persone che non credono in quel dio. E queste ultime sono necessariamente nell’errore, punito con la miseria terrena, la dannazione ultraterrena o entrambe le cose.
Di fronte al nulla siamo invece tutti uguali. Se dio non esiste, non esistono nemmeno popoli eletti da dio. Siamo tutti uguali sullo stesso piano orizzontale di partenza – e ogni differenza personale alla nascita è solo frutto del caso, non parte di un qualsivoglia destino o disegno divino. Questo punto è molto importante. L’uguaglianza universale si fonda infatti su una realizzazione empatica ben precisa: comprendere che ogni individuo è quello che è, ma avrebbe potuto benissimo essere altrimenti. Comprendere cioè che io sono io, ma avrei potuto anche essere te, lui, lei, loro e qualsiasi altro essere vivente sulla terra.
È fondamentale insistere su questo punto. Io sono sì nato in questo corpo, ma sarei potuto nascere benissimo in un altro corpo con caratteristiche molto diverse. Sono nato da questa parte del fiume, dove si parla la nostra lingua, si issa la nostra bandiera, si venera il nostro dio e si odiano i nostri vicini; se fossi nato pochi chilometri più in là, al di là del fiume, parlerei un’altra lingua, isserei un’altra bandiera, venererei un altro dio e odierei i miei vicini.
Quella delle nascite è una vera e propria lotteria, un lancio di dadi, un gioco del caso. Chi crede nel destino vede in queste casualità un disegno nascosto e superiore – e grida alla difesa delle proprie radici come se tutto dipendesse da questo. Chi si è aperto al nichilismo, invece, non attribuisce nessun significato ulteriore a queste casualità – e sa che le proprie radici sono solo uno dei miliardi di modi possibili in cui sarebbero potute andare le cose.
Questa realizzazione di come tutto sia così contingente e casuale, se portata alle estreme conseguenze, conduce all’uguaglianza universale. Perché quando capisco che io avrei potuto benissimo essere la persona che ho di fronte, mi sforzerò di trattarla come avrei voluto essere trattato a parti inverse. Quando capisco che avrei potuto benissimo essere il vicino dall’altra parte del fiume, allora uscirò dalle trincee della mia identità per cercare il dialogo e la convivenza pacifica.
Viviamo purtroppo in un’epoca lacerante, sorda a questo tipo di argomenti. Il sogno cosmopolita umanista nel quale tutti gli individui sono uguali pur nelle loro differenze e si rispettano a vicenda è al crepuscolo. Avanzano invece i nazionalismi, le identità forti, i popoli eletti, i destini manifesti, le narrazioni genocidarie, gli uomini e le donne della provvidenza. Ma guai a mollare. Per quanto assurdo possa sembrare, la nostra forza risiede nella debolezza delle nostre molteplici identità. Dobbiamo difenderle in tutta la loro diversità dai deliri illiberali dei fanatici del destino.
Giovanni Gaetani
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Come è noto, Howard Gardner ha scritto un corposo e denso saggio sulla pluralità delle intelligenze umane.(1983; trad. it. 1987). Ovviamente non si può che concordare sul fatto che le intelligenze siano diversificate, e possiamo certamente dire che gente diversamente intelligente possa (e ha il diritto di farlo) pensare che i leoni nell’Arca di Noè fossero vegetariani, che l’umanità ad un certo punto sia stata ridotta a sole otto persone di cui solo tre in grado di partorire figli, che il Dio creatore dell’Universo sia sceso sulla Terra per confondere le lingue umane, e che abbia detto ad Abramo che la Terra di Canaan era promessa ai suoi discendenti. Ecco, diciamo che sono tutte cose legittime da pensare da parte di esseri umani diversamente intelligenti (anche molto diversamente intelligenti), ma che quando vogliono essere messe in pratica bisogna anche stare attenti al fatto che non ledano diritti di altri esseri umani.
Ottimo articolo !
Ritengo che non dovremmo tenere come responsabili le religioni monoteiste la sola causa di un certo malesere sociale, odio e guerre, bensi lo strumento ad hoc che certi megalomani paranoici (vedi Trump & soci dello stesso stampo, Vaticano incluso) utilizzano per strumentalizzare la gente insufficentemente colta per sfruttarla senza nessun limite !
Blaise Pascale diceva che un uomo non fa mai il male così pienamente e di cuore come quando lo fa per convinzione religiosa. Ma Baudoin Decharneux (Professore di Studi Religiosi Università ULB) precisa che se gli uomini non avessero le religioni per legittimare il loro desiderio, o istinto di potere, avrebbero trovato qualcos’altro … Inoltre, l’hanno fatto e perseverano ; anche le teorie economiche sembrano motivarli in questa direzione. Qualsiasi astrazione, o strategia, è buona da prendere per elevarsi al di sopra degli altri. L’istinto di DOMINIO è una delle cause –se non la causa maggiore- delle nostre caratteristiche le più invalidanti, generatrici di comportamenti indegni di persone che si definiscono doppiamente « sapiens » !
PS : La vita è un “effetto collaterale”, nulla è voluto -se è permesso dalle “leggi” di questo Universo allora succede. L’immagine di un’evoluzione che conduce alla sua definitiva realizzazione -l’Uomo, è completamente falsa. L’uomo è solo una specie tra tante altre. Se si misura il successo di una specie dal numero dei suoi rappresentanti, o il peso di tutti i membri della specie, o la sua anzianità senza evoluzione (che dimostra che si è adattata perfettamente alla sua nicchia ecologica), allora l’uomo –creatura divina per eccellenza- perde ad ogni volta.
Per secoli,dopo Galileo in campo scientifico era prevalso il determinismo.
Concezione della realtà secondo la quale tutti i fenomeni del mondo sono collegati l’un l’altro e si verificano secondo un ordine necessario e invariabile (il che esclude la presenza del libero arbitrio.
Pierre Simon Laplace affermava che se esistesse un “Demone” capace di conoscere
ad un dato istante la posizione e la velocita di tutte le particelle dell’Universo,sarebbe in grado di predire la loro posizione in ogni istante del passato e del futuro.
L’universo insomma sarebbe un enorme “carillon”,il cui funzionamento e’ prefissato da quando il Padreterno l’ha creato.
Predire il futuro sarebbe un’impossibilita pratica,ma possibile teoricamente.
Ora,dopo l’avvento della teoria matematica del caos ,del problema dei 3 corpi,dell’indeterminazine quantistica,le cose sono cambiate.
“Sembrerà assurdo, ma solo il nichilismo può fondare la vera uguaglianza universale.”
Purtroppo nemmeno questo e’ vero.
C’e chi immagina l’universo governato da leggi immutabili,che potremo conoscere sempre meglio ma mai completamente.
Bacone diceva : “Alla natura si comanda solo ubbidendole”,vale a dire progettare qualunque qualcosa senza tenere conto di tali leggi,inviolabili significa inevitabilmente fallire.
E fra queste leggi ci sono quelle della natura umana,difficili da definire ma altrettanto inviolabili di quelle fisiche.
Religioni e ideologie che hanno preteso di fare questo,eliminando per esempio il sesso e la proprieta privata,hanno provocato solo guasti.
C’e chi nella sua megalomania arriva a rifiutare perfino le leggi fisiche : rifiuta ad es la pandemia ,ricordate “Milano non si ferma !!” (finche il virus non ha fermato LUI ).