Ahi, ahi, Ayaan!

La scrittrice Ayaan Hirsi Ali (già paladina dell’ateismo) ha annunciato la sua conversione al cristianesimo, che considera uno strumento politico contro islam e ideologia woke. Paolo Ferrarini affronta la questione sul numero 6/2024 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


«Chissà cosa penserebbe oggi di me Christopher Hitchens». Questa specie di excusatio non petita è l’unico vago accenno di consapevolezza della dissonanza che deve pur esistere in qualche angolo della mente di Ayaan Hirsi Ali, dopo la sua sconcertante conversione al cristianesimo annunciata un anno fa sul sito inglese di attualità politica UnHerd, pietra tombale di una lunga e formidabile carriera come paladina del pensiero razionale, a fianco dei quattro cavalieri dell’ateismo.

Al tavolo dell’incontro organizzato a Londra il 12 settembre scorso da Intelligence Squared, ancora vendono copie del libro che l’ha lanciata alla fama internazionale, L’infedele, titolo che ora stride col suo essere diventata una “fedelissima” cristiana. Un incontro a cui decido di partecipare proprio per cercare di dare un senso a questa inaspettata novità, e per elaborare lo sconforto di avere per anni ammirato la sua personalità e seguito con interesse il suo attivismo. Le domande che mi girano in testa sono molte.

Perché è successo? Che tipo di cristiana è diventata? Che ne è stato di tutti gli argomenti per l’incredulità, che pur conosce alla perfezione, avendoli divulgati per due decenni? Si trattava di una fiction, di una postura non autentica? Sono stato preso in giro? E allora Hitchens, e Dawkins, e Harris? Hanno tutti preso un abbaglio nel promuovere e lavorare a fianco di una persona che con il senno di poi solleva dubbi di opportunismo?

Eppure, atea Ayaan lo è stata davvero. Proprio ne L’infedele, racconta di essere approdata all’incredulità come conclusione inevitabile di un ragionamento sulla propria identità di musulmana nel periodo immediatamente successivo ai fatti dell’11 settembre 2001. Mentre gli accademici e i commentatori dell’epoca, specie quelli di sinistra, si scapicollavano a fabbricare analisi e interpretazioni che evitassero di puntare il dito direttamente contro l’islam come religione, ad Ayaan appariva invece evidente che nella realtà dei fatti il nucleo del problema risiedesse proprio lì.

Ridicolo pensare che la violenza fosse frutto di una guerra di classe tra ricchi e poveri, quando gli attentatori erano istruiti membri di una élite benestante, ridicola l’interpretazione politica che gli attacchi avessero qualcosa a che fare con l’oppressione dei palestinesi sotto Israele, ridicoli gli “arabisti” che liquidavano i terroristi come mele marce all’interno di una gloriosa tradizione dedita fin dal medioevo alla promozione della pace e del progresso scientifico: secondo Ayaan, decine di migliaia di devoti musulmani, in tutta l’Africa, il Medio Oriente e persino in Europa ragionavano nello stesso modo di questa «cricca di architetti frustrati di Amburgo» e, anche senza supportare attivamente l’attacco all’America, enormi masse di persone formate nelle moschee di tutto il mondo quantomeno lo approvavano. C’entrava poco la frustrazione, e molto la fede.

Ayaan riprende per l’occasione in mano il Corano e la sunna del profeta Maometto, per verificare i passaggi terrificanti citati da Osama Bin Laden come fondamento della sua crociata contro l’occidente infedele, arrivando così a mettere in dubbio l’autenticità di quella che doveva essere la parola di dio contenuta in quei documenti. La conclusione che il Corano non fosse un libro sacro ma espressione di un pensiero umano la porta a sua volta a dubitare dell’esistenza dell’aldilà, e in ultima analisi di dio stesso, una volta superate le residue paure irrazionali di finire all’inferno.

Fra le poche voci che in America si allineano col pensiero di Hirsi Ali nel non fare sconti all’islam, rifiutando di giustificarlo aprioristicamente, ci sono naturalmente quelle di Sam Harris e Christopher Hitchens. L’endorsement di Hitchens, con cui sembra condividere un’affinità politica per certi aspetti identificabilmente di destra, è quello più forte e convinto. È lui il primo a difenderla dalle critiche che le vengono via via rivolte (per esempio, di aver tradito le sue radici culturali), e la loda in più occasioni come una sua personale eroina, nonché come «la più grande intellettuale uscita dal continente africano».

Il titolo dell’incontro a Londra, a ben vedere, dice già tutto: “Ayaan Hirsi Ali e la sua lotta per salvare l’occidente”. L’idea di salvare l’occidente è un concetto vecchio, nebuloso, flessibile, che si presta facilmente a intenti propagandistici, recentemente invocato anche dal presidente di Israele Isaac Herzog a giustificazione delle operazioni militari in corso.

Nel caso di Ayaan, nella sua reincarnazione devota, si evince subito, e lei stessa spiega chiaramente, come il cristianesimo sia nella sua mente prima di tutto una strategia politica, un’arma culturale scelta tatticamente per meglio combattere i nemici ideologici, laddove l’ateismo non offrirebbe strumenti adeguati a farlo. Citando come fonte il libro del divulgatore storico Tom Holland, Dominion, racconta di aver sposato la tesi che il cristianesimo permei e informi tutti i fondamenti della civiltà occidentale: l’etica, la morale, la libertà di stampa, di coscienza, i concetti stessi di laicità, di liberalismo, di scienza… persino l’omosessualità.

Tutto ciò che superficialmente ci appare secolare per antonomasia, in questa lettura avrebbe le proprie origini nella cultura giudeo-cristiana. Negare queste radici, rifiutare il cristianesimo attraverso la critica ateo-razionalista, significa secondo Hirsi Ali lasciare un “God hole”, un vuoto di spiritualità che anziché inaugurare un’età della ragione e dell’umanismo come predicato da Bertrand Russell e dai cavalieri del neoateismo, verrà colmato da altre, pericolose, forme di pensiero irrazionale che metteranno gravemente a rischio le libertà conquistate. Ergo, “non possiamo non dirci cristiani”.

Questa linea di ragionamento, promossa dai sostenitori del cosiddetto “nuovo cristianesimo politico” ha ben poco di nuovo e originale, e viene facilmente impugnata da diversi intellettuali come Nick Cohen, il quale ricorda in un suo articolo che postulare in chiave deterministica una faglia culturale tra un occidente cristiano e un oriente musulmano è una mossa considerata alquanto problematica già da quando Samuel P. Huntington aveva per la prima volta proposto l’ipotesi dello “scontro delle civiltà”, nell’omonimo saggio del 1996.

Per quanto seducenti e particolarmente utili a creare efficaci slogan politici (esportare la democrazia a popoli non geneticamente in grado di produrla autonomamente) le spiegazioni totalizzanti basate sull’essenzialismo culturale non sono certo in grado di rendere conto dell’estrema complessità della realtà.

Ma soprattutto, nel particolare contesto storico in cui ci troviamo, è veramente implausibile (e alquanto ironico) sostenere che la cultura giudeo-cristiana sia la fonte e il bastione delle libertà e dei valori occidentali che Hirsi Ali sostiene di difendere, quando la democrazia stessa viene disprezzata e fatta ferocemente a brandelli da due dei principali blocchi cristiani al mondo: gli ortodossi rappresentati da Putin in Russia e i protestanti rappresentati da Trump negli Stati Uniti.

Particolarmente interessante è ascoltare dalla bocca di Hirsi Ali chi sarebbero oggi i temuti nemici ideologici da combattere. Se negli anni di professato ateismo il suo focus principale era stato l’islam, producendo anche critiche e contributi positivi sottoforma di proposte riformiste (vedi l’ottimo libro Eretica – Cambiare l’islam si può), post conversione, il tema su cui Ayaan insiste maggiormente è diventato un altro: la cosiddetta “ideologia woke”, uno spettro che dilaga tra le nuove generazioni, indebolendone la fibra morale.

Lo spauracchio del gender, in particolare, è assurto a simbolo di tutto ciò da cui l’occidente deve essere salvato, il fondo morale toccato da una civiltà che avrebbe perso la bussola. Il supposto eccesso di progressivismo è quindi visto come la fonte di tutti i mali della società, e la ricetta che Hirsi Ali propone è nientemeno che la reintroduzione della religione cristiana nei curricula scolastici anche statali (naturalmente, dopo aver messo al bando le scuole musulmane).

L’insofferenza di Ayaan per la cultura di sinistra emerge nella sua forma più cruda quando, nel momento più cringe dell’incontro, le viene chiesto se nell’elezione presidenziale americana si sarebbe idealmente schierata a favore di Harris o di Trump. Non senza imbarazzo, dopo una dovuta premessa sulla necessità di distinguere la politica dal politico, ha confermato senza mezzi termini di supportare Trump.

Ma il problema forse più irredimibile per chi propone argomenti puramente sociopolitici per giustificare la propria adesione a un credo religioso è che questo approccio suona tragicamente slegato da qualsiasi valorizzazione o apprezzamento del vero, dal momento che ogni affermazione di peso scientifico viene in questo contesto sacrificata sull’altare della presupposta utilità della fede.

Per loro, il mito fondante di una civiltà deve essere magicamente esente da considerazioni logiche e dalle condizioni di verità applicate a qualsiasi altro ambito dello scibile. Impossibile quindi ottenere una risposta chiara, non farfugliata, a domande come «Credi realmente, fattualmente, nella verginità di Maria?» da moderni promotori del cristianesimo culturale, o neoteisti, come Konstantin Kisin, o Jordan Peterson.

Nel loro porsi ambiguamente rispetto alle credenze effettive che sottoscrivono («è del tutto irrilevante ciò che credo io», «non si tratta di me», «tu vuoi solo usare la mia risposta allo scopo di smontare il mio argomento»), riportano alla memoria le contorte posizioni di moda qualche anno fa di certi atei devoti nostrani. È per questo motivo che Richard Dawkins ha inizialmente reagito alla notizia della conversione di Hirsi Ali commentando: «Cara Ayaan, tu non sei più cristiana di quanto lo sia io».

Tuttavia, pressata in un secondo momento a chiarire questo punto, Hirsi Ali si è rivelata ideologicamente più affine a un Magdi Allam che a un Giuliano Ferrara. La sua conversione non è stata soltanto un’astratta presa di posizione, ma ha soddisfatto anche un bisogno psicologico, la necessità di colmare quel “God hole”, quel percepito “vuoto spirituale”, anche a livello personale, dopo avere attraversato un periodo di forte depressione e incapacità di dare senso alla propria vita.

Laddove fiumi di alcol, psicologi e medicinali hanno fallito – racconta – il messaggio salvifico, d’amore, del cristianesimo le avrebbe ridato la serenità, portandola a concludere di essere all’epoca saltata sul carro dell’ateismo troppo frettolosamente, anche in conseguenza dell’assidua frequentazione di “intelligenti e simpatici” amici non credenti.

Ora, sostiene, ha capito che esistono “piani di percezione” altri e separati da quello della razionalità, e questo le permette di scegliere di credere nelle affermazioni straordinarie di una religione che un tempo prendeva in giro a fianco dell’amico Richard Dawkins. Nel faccia a faccia proprio con Dawkins del tre giugno scorso, il disagio nel toccare questo argomento è evidente nel balbettio delle risposte e nella fretta di chiudere il discorso con un lapidario «let’s agree to disagree» («concordiamo di discordare»).

Alla fine dell’incontro londinese del 12 settembre, il disagio è stato pienamente trasmesso anche alla parte del pubblico rimasta profondamente scettica sull’idea di mettere islam e cultura woke sullo stesso piano per combatterli con una mentalità da crociata religiosa. Ce ne andiamo allora riflettendo su quanto sia importante concentrarsi sempre e solo sulle idee, evitando la tentazione di mettere le persone su un piedistallo.

Una lezione, del resto, già imparata: non è certo il primo caso di alleato che col tempo ha adottato posizioni ripugnanti; penso per esempio a Maajid Nawaz, di cui l’editore Nessun Dogma ha anche tradotto un libro, il quale negli ultimi anni è diventato un personaggio piuttosto tossico. Dopo la vittoria di Donald Trump nel 2016, ha ripetutamente espresso commenti a supporto di alcune controverse politiche, fino a dichiarare che l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 sarebbe stato messo in atto dalla sinistra antifascista anziché dalle gang del movimento Maga sobillate da Trump stesso.

Durante la pandemia ha poi fatto circolare teorie della cospirazione sulla Cina, che avrebbe escogitato tutto al fine di indebolire i Paesi occidentali attraverso l’imposizione dei lockdown, e ancora, che i vaccini sono inutili o dannosi, e che il sistema immunitario naturale è sufficiente a sconfiggere il virus.

Le lezioni si imparano, ma l’amarezza rimane.

Paolo Ferrarini

 


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17 commenti

Mixtec

“esportare la democrazia a popoli non geneticamente in grado di produrla autonomamente”:
mi sembra una frase degna di qualche approfondimento o chiarificazione.

laverdure

@Mixtec
In effetti non si capisce se l’espressione e’ opera dell’autore dell’articolo,o se egli
la attribuisce a coloro che sono oggetto della sua critica.

laverdure

Se si intende che la democrazia “vera” richiede maturita civile, e che non si puo’ pretendere che popoli del terzo mondo possano raggiungere in pochi anni il livello(non eccelso) raggiunto da noi nel corso di secoli,il discorso e’ validissimo.
Molto discutibile invece attribuire tale inferiorita a motivi genetici,argomento
molto sfruttato in passato da piu’ parti.

Gigi

Non mi stupisce che si sia convertita al cristianesimo, anche se diceva cosa interessanti, non l’ho mai particolarmente seguita. Mi stupisce al limite il modo con cui si affronta la questione woke e gli studi di genere, denigrando le voci critiche come paranoici. Mi sembra di avervelo già scritto, una giornalista in Francia si è infiltrata per un semestre in un master in studi di genere alla Sorbona e ha trovato da mangiare e bere, non solo sulle questioni strettamente legate alla transidentità, ma soprattutto come poi venivano utilizzati gli studi di genere per far passare messaggi positivi sull’islam, negativi sul cristianesimo ovviamente, accuse in pieno corso da parte d’insengnati nei confronti di due intellettuali bollati come “islamofobi” facendo notare che sono Ebrei. In realtà gli studi di genere funzionano sulla triade “razza, genere, classe”. Della classe non si parla praticamente mai, mentre il genere viene poi utilzzato per parlare della “razza” che è la vera ossessione dei post-modernisti, ad esempio vengono accusate le donne nere americane che hanno mediatizzato casi di violenza da parte di uomini neri, con la frase lapidaria “i panni sporchi si lavano in casa propria”. La cosa interessante è che la giornalista ha notato che globalmente non erano gli studenti ad essere fanatici, ma gli insegnanti.

laverdure

@Gigi
“..per parlare della “razza” che è la vera ossessione dei post-modernisti,”
Addirittura siamo arrivati al punto che in diverse scuole di buon livello,frequentate da figli di famiglie benestanti,sono state “ripristinate” le classi separate a seconda dell’etnia degli studenti.
E questo,notare bene,non ad opera di autorita “reazionarie”ma al contrario
ultraprogressiste ,all’insegna dell’esaltazione del riconoscimento e della valorizzazione delle proprie”radici” etniche,e via cosi.
(Alla faccia delle obsolete politiche di “integrazione” sostenute da personaggi superati come Martin Luther King.)
Questa,come altre iniziative analoghe,sembrano tolte di peso da racconti di fantascienza distopico satirica come quelli di Robert Sheckley(ricordate “La decima vittima” ?)
Ma come diceva Schiller :”Contro la stupidita( aka politicamente corretto)neanche gli dei !”

Gigi

@Laverdure
Come tu ben sai par i post-modernisti tutto dipende dalla posizione rispetto al “potere” che tu hai nella società. Se fai parte di una minoranza “oppressa”, allora tutte le caratteristiche che generalmente attibuiamo all’estrema destra reazionaria, esaltazione dell’identità della “razza”, della famiglia anche ipocrita, critica del meticciato, esaltazione del conservatismo religioso, diventano una “resistenza” al “suprematismo bianco”. Negli USA queste cose hanno già fatto danni, ma qui in Europa con in più la variabile islam rischiamo di vederne di peggio.

laverdure

@Gigi
“La cosa interessante è che la giornalista ha notato che globalmente non erano gli studenti ad essere fanatici, ma gli insegnanti.”
Interessante soprattutto perche’ incoraggia certe ipotesi.
Vale a dire che “qualcuno” si stia largamente servendo di “influencer” (lautamente stipediati)per la sua opera di propaganda e disinformazione nel mondo occidentale,e che ovviamente gli insegnanti sono molto piu’ efficaci in questo ruolo.
Un fanatismo “a contratto”,o “su commissione” insomma.
Chi siano i “mandanti” puo’ facilmente immaginarlo.
Beninteso non manchera una notevole percentuale di “utili idioti” (immortale definizione di Lenin)che agiscono gratis per vero fanatismo,aka esibizionismo,aka megalomania,aka sfogo di frustrazioni personali.
Come tante volte in passato su argomenti totalmente differenti.

laverdure

@Gigi
“…vengono accusate le donne nere americane che hanno mediatizzato casi di violenza da parte di uomini neri, con la frase lapidaria “i panni sporchi si lavano in casa propria”.”
Una volta ho letto che percentualmente ( con le dovute eccezioni)le violenze sessuali NON sono interrazziali : i bianchi preferiscono stuprare le bianche e i neri le nere.
Dobbiamo considerarlo una forma di razzismo oppure di rispetto delle radici etniche ?

laverdure

“…la sua conversione al cristianesimo, che considera uno strumento politico contro islam e ideologia woke…..
Probabilmente anche lei fa tesoro dell’aforisma di Niccolo’ Machiavelli :”Non si tratta mai di scegliere tra bene e male ma tra male minore e il peggio !”
Se tralasciamo le “prodezze” secolari del Cristianesimo di Roma,e rimaniamo in tempi recenti,direi che i guasti provocati dall’ Islam,come pure da certo “politicamente corretto” woke, ormai guidano la classifica con buon margine.
Ovviamente nel caso del Cristianesimo si tratta di pura “virtu’ della necessita” ,dove l’Illuminismo,la Rivoluzione Francese,la Breccia di Porta PIa ecc hanno giocato un ruolo determinante.
In soldoni : il laicismo ha “civilizzato” la Chiesa e non viceversa.
Ma tant’e’,in una guerra nascono strane alleanze,spesso infide,e forse ( e dico “forse”)una forza ancora potente come la Chiesa potra rendere servigi superiori ai danni,paragonata alla controparte.
Dipendera ovviamente dalle scelte di chi veramente la guida (Bergoglio possiamo escluderlo)
e quale condotta giudichera di suo interesse ,col rischio ovviamente che possa commettere errori “storici” come quelli dei leader laici del secolo scorso,con gravi danni anche per altri.

Mixtec

“Laddove fiumi di alcol, psicologi e medicinali hanno fallito – racconta – il messaggio salvifico, d’amore, del cristianesimo le avrebbe ridato la serenità,”
La religione è il miglior oppio per il popolo, specialmente se non hanno funzionato il prozac o gli anti-psicotici.

laverdure

@Mixtec
In termini moderni possiamo considerarla una forma di “training autogeno”,dato che ognuno puo’ “interpretrare”,volendo,la religione a modo suo.
E le interpretazioni si estendono da una politica della “non violenza” spinta fino ad
un vittimismo suicida fino,viceversa,ad una politica di giustificazione dei genocidi,con tutte le variazioni intermedie.

laverdure

“L’idea di salvare l’occidente è un concetto vecchio, nebuloso, flessibile, che si presta facilmente a intenti propagandistici,
recentemente invocato anche dal presidente di Israele Isaac Herzog a giustificazione delle operazioni militari in corso.”
Direi che e’ lo stesso concetto espresso da Churchill quando decise di appoggiare l’URSS ( per la quale non nutriva certo simpatia) nella lotta al nazismo,cosa che non ha mai suscitato critiche.
Anche gli oltre due milioni di vittime civili in Germania,per la maggior parte provocate da bombardamenti terroristici angloamericani,non mi risulta abbiano mai suscitato ,nei decenni sucessivi,motivo di riprovazione nell’opinione pubblica occidentale.
E su questo hanno pesato ovviamente le sofferenze che il nazismo aveva provocato nelle popolazioni occidentali in vario modo.
Per cui molte delle critiche rivolte ora all’operato della leadership israeliana appaiono intrise di ipocrisia.
E in futuro forse rimpiangeremo di avere mancato un simile “decisionismo” nella lotta all’Islam .(e pure ai woke.)

Diocleziano

La notizia di questa ‘conversione’ ha un retrogusto di rancido, torbido. Posso capire un ricercatore che davanti a prove inattaccabili si ricreda e faccia sue le nuove ipotesi. Ma passare dall’ateismo alla fede è semplicemente innaturale. Quando si discuteva con i nostri cuginetti più sfortunati l’ultima difesa che potevano tirare fuori era, infatti, la FEDE! Cioè un atto di volontà assurdo che contrasta con il raziocinio. Contro la fede non c’è difesa, anche perché invisibile, inafferrabile… inconsistente. Vabbé, dormi tranquilla piccola Ayaan: le favole sono sempre rassicuranti…

Mixtec

Caro Diocleziano,
nel cervello di Ayaan il Sistema Limbico ed altre aree sottocorticali hanno prevalso sulla neocorteccia, la quale si deve adeguare. Secondo Pascal, il Cuore (Sistema Limbico) ha le sue ragioni che la Ragione (sistena neocorticale) non conosce”. Non le conosce, ma, arrampcandosi sugli specchi, cerca di fornirne un quadro razionale.

laverdure

@Mixtec
Un quadro dove conta anche il fatto che la religione cristiana,”addomesticata”come gia detto dall’Illuminismo e dall’avanzata civilta occidentale,e’ pur sempre un “male minore” rispetto all’Islam,avendo dovuto rinunciare alle crociate contro gli infedeli e alle persecuzioni degli eretici.
Anche se ‘ un passo indietro dopo il suo passaggio dall’islam all’ateismo.

laverdure

Una volta un giornalista,intervistando il famoso fisico Nils Bohr nella sua villa di campagna,noto’ un ferro di cavallo fissato sulla porta,chiaramente a scopo apotropaico .
“Ma lei ci crede davvero ?” Chiese.
“Veramente no,ma mi hanno detto che funziona anche se uno non ci crede !”
Forse,in soldoni,il caso di Ayaan e’ analogo.

laverdure

Piu’ chiaramente :
“..ha annunciato la sua conversione al cristianesimo, che considera uno strumento politico contro islam e ideologia woke.”
potrebbe significare ,come gia detto,che l’utilita della Chiesa Vaticana contro Islam e woke e’ reale,indipendentemente dalla sua personale fede.
Un tantino cinico,se vogliamo,ma data la gravita del problema,
“a la guerre comme a la guerre !”

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