Non solo clericalate. Seppur spesso impercettibilmente, qualcosa si muove. Con cadenza mensile vogliamo darvi anche qualche notizia positiva: che mostri come, impegnandosi concretamente, sia possibile cambiare in meglio questo Paese.
La buona novella laica del mese è la sentenza della Corte europea dei diritti umani che legittima i limiti alla macellazione rituale degli animali. La Cedu spiega che porre dei divieti non viola la libertà di religione sancita dalla Convenzione europea. Alcune organizzazioni ebraiche e islamiche avevano fatto ricorso contro il divieto imposto dalle autorità regionali del Belgio, sostenuto invece dalle associazioni animaliste. La macellazione rituale di queste confessioni (rispettivamente kosher e halal) impone infatti che l’animale venga ucciso per dissanguamento, al fine di “purificare” la carne e sulla base di proibizioni dogmatiche presenti nell’Antico Testamento, senza essere stordito – come invece prevede la legislazione anche a livello europeo. Ma per la Corte di Strasburgo la «tutela della morale pubblica» non va «esclusivamente a tutelare la dignità umana nella sfera delle relazioni interpersonali» e un eventuale limite della macellazione rituale «è proporzionato allo scopo perseguito, ossia la tutela del benessere degli animali come elemento di “morale pubblica”». Finora la normativa prevedeva una deroga proprio su base religiosa, che rimane però a discrezione dei singoli Stati dell’Unione: il divieto è già previsto in Danimarca, Svezia e Slovenia. Con questo importante pronunciamento, nel rispetto del welfare animale, viene meno a livello europeo questa forma di privilegio confessionale.
In Molise il Pd contesta la destinazione privilegiata a favore delle parrocchie dei finanziamenti per le opere pubbliche nei Comuni, disposta dalla Giunta regionale nella legge di bilancio. Una parte cospicua dei cinque milioni stanziati infatti viene dirottata a favore della Chiesa cattolica. La consigliera Micaela Fanelli parla di vizi formali e sostanziali, come «la errata classificazione, in base alle linee guida strategiche settoriali di Cassa Depositi e Prestiti, delle chiese come infrastrutture sociali, sulla quale esiste anche giurisprudenza consolidata, così come le parrocchie, che non vengono più considerate come enti pubblici ma di diritto privato. Questo significa che non sono più finanziabili direttamente come lo erano in passato e come invece ha fatto la giunta Roberti». In sostanza l’operazione è illegittima «perché il Municipio ottiene il finanziamento per intervenire su un bene privato», spiega Fanelli, che ci tiene a precisare però: «Nessuno è contro il finanziamento delle strutture di proprietà della Chiesa, sia ben inteso, ma se si vuole intervenire in questa direzione, allora vanno rispettate le procedure di legge».
La Cassazione annulla con rinvio la sentenza di condanna nei confronti di Emilio Coveri, presidente di Exit-Italia, per istigazione al suicidio. L’attivista aveva fornito informazioni a una donna, affetta da una grave malattia, che aveva poi scelto di recarsi in Svizzera per il suicidio assistito. La Quinta Sezione della corte sospende quindi la condanna inflitta dalla Corte d’Appello di Catania a tre anni e quattro mesi.
La Corte d’Appello di Roma dichiara illegittimo il decreto, voluto nel 2019 dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, che imponeva la dicitura “padre” e “madre” sui documenti d’identità per i minori, comportando una palese discriminazione nei confronti delle coppie omogenitoriali. Una coppia di donne aveva presentato ricorso al Tar del Lazio, ottenendo ragione nel 2022: ora la decisione è stata confermata in appello. Gli integralisti cattolici (compresa l’attuale presidente del Consiglio Giorgia Meloni) avevano paventato l’imposizione delle fantomatiche espressioni “genitore 1” e “genitore 2”, in realtà mai esistite, sulla base di un non meglio specificato complotto del “gender”. L’Associazione Famiglie Arcobaleno spiega «se sui registri è indicato che una persona è figlia o figlio di due madri, una delle quali lo ha adottato, allora i modelli ministeriali devono rispettare quella indicazione e sulla carta d’identità devono essere indicate due madri, o eventualmente due padri»: «Speriamo che il Governo intervenga subito riportando la dicitura che da sempre accompagna i documenti dei minori: genitori o chi ne fa le veci».
Il tribunale di Roma legittima la decisione del sindaco di Roma Roberto Gualtieri di trascrivere il certificato di nascita di una bambina nata all’estero come figlia di due donne. La madre biologica e quella non biologica hanno quindi gli stessi diritti e doveri nei confronti della figlia. La Prima Sezione civile ha rigettato il ricorso della Procura contro la trascrizione. Il primo cittadino della Capitale commenta: «la sentenza conferma che stiamo operando correttamente. Come abbiamo sempre sostenuto questa modalità di trascrizione ricade in quella fattispecie che trova ampio conforto nella giurisprudenza». Ma «siamo consapevoli che questa casistica non risponda a tutte le situazioni in cui si trovano le famiglie omogenitoriali e soprattutto i/le minori che necessitano di tutela», aggiunge: «ed è per questo che continueremo a lavorare affinché il Parlamento possa al più presto legiferare per garantire il riconoscimento anagrafico dei figli e delle figlie delle coppie omogenitoriali, il matrimonio egualitario e l’accesso alle adozioni così come previsto per le coppie eterosessuali». Marilena Grassadonia, coordinatrice dell’Ufficio Diritti LGBT+ di Roma Capitale, ringrazia in particolare Gualtieri perché durante il procedimento il Comune è intervenuto a sostegno della coppia.
Anche il Comune di Udine, per la prima volta, ha trascritto all’anagrafe un minore come figlio di due donne, che hanno già due bambini nati all’estero. Il sindaco Alberto Felice De Toni spiega che in questo modo il minore «risulta in maniera formale e sostanziale tutelato nei propri diritti», in attesa della conclusione del procedimento di adozione, «pur nella consapevolezza della mancanza, allo stato nel nostro ordinamento, di una norma legittimante il riconoscimento».
Il Comune di Ragusa aderisce a RE.A.DY., la rete degli enti locali impegnati alla prevenzione e al contrasto delle discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere. Il sindaco Peppe Cassì spiega: «La società cambia a una velocità che pare essere sempre più accelerata, così non è raro il caso in cui i cambiamenti arrivino prima dei diritti e delle norme che servono a tutelarli. È quindi fondamentale che le amministrazioni locali, che tutti i giorni si confrontano con la società civile, facciano rete per attuare pratiche virtuose». L’assessora alle Politiche per l’inclusione, servizi sociali e pari opportunità Elvira Adamo aggiunge che l’adesione alla rete «rappresenta un importante passo avanti per la tutela dei diritti umani delle persone LGBT e che permetterà alla nostra città di essere in rete con altre istituzioni presenti in tutta Italia per promuovere buone prassi condivise». Inoltre anche altri Comuni della Sicilia hanno già aderito, come Agrigento, Siracusa, Messina, Milazzo, Oliveri, Taormina, Vittoria.
L’Emilia Romagna regolamenta l’accesso al suicidio assistito, in ottemperanza alla sentenza della Corte Costituzionale n. 242 del 2019, ed è la prima Regione a fissare anche un limite di tempo (42 gioni) per il vaglio delle richieste, venendo concretamente incontro alle persone che vogliono esercitare la propria autodeterminazione sul fine vita pur in assenza di una normativa nazionale. Con una delibera della Giunta viene istituito il Comitato regionale per l’etica nella clinica (Corec), che avrà anche il compito di valutare le singole richieste ed esprimere pareri. Inoltre l’Assessorato alle Politiche per la salute ha trasmesso alle Aziende sanitarie le istruzioni tecnico-operative, fissando le linee guida per gestire le richieste. La decisione del governatore Stefano Bonaccini ha destato lo sconcerto dei clericali. Oltre all’annuncio di un ricorso al Tar da parte della consigliera di Forza Italia Valentina Castaldini, che accusa la Regione di non essere passata tramite il voto in aula, anche il cardinale e presidente della Cei Matteo Maria Zuppi ha lanciato il suo attacco, pur senza citare direttamente l’iniziativa regionale. Bonaccini ha difeso la sua scelta: «ci siamo presi la responsabilità mettendo le nostre strutture sanitarie nelle condizioni di garantire un diritto del malato che è sancito dalla sentenza della Corte Costituzionale, per non lasciare sole tante famiglie alle prese con sofferenze». E su Zuppi, pur ribadendo la stima per l’arcivescovo e il «rispetto per tutte le opinioni», precisa: «con la nostra delibera applichiamo una sentenza della Corte Costituzionale. Ora tocca al Parlamento fare una legge nazionale sul fine vita».
L’ufficio di presidenza del Consiglio regionale della Lombardia dichiara ammissibile all’unanimità la proposta di legge di iniziativa popolare sul suicidio assistito. Era stata depositata dall’Associazione Luca Coscioni e altre realtà, che avevano raccolto oltre ottomila firme. Il testo, dopo questa approvazione meramente formale, dovrà quindi essere assegnato a una commissione che avrà nove mesi di tempo per la discussione e poi approderà in aula.
Il tribunale di Potenza archivia la querela dell’ex arcivescovo Salvatore Ligorio contro il disegnatore Giulio Laurenzi, autore di una vignetta che denunciava l’atteggiamento della Chiesa cattolica sul caso della scomparsa di Elisa Claps. Il giudice per le indagini preliminare Francesco Valente ha quindi fatto cadere la denuncia per diffamazione. Nel disegno si vede un prelato che spazza la polvere sotto un tappeto, da cui si vedono una croce, un orsacchiotto e resti umani: il riferimento è al caso di Elisa Claps, il cui corpo venne ritrovato nel sottotetto della chiesa della Trinità. La vignetta risale al 2010, l’anno in cui vennero scoperti i resti della giovane di cui si erano perse le tracce nel 1993. La stessa famiglia accusò la Chiesa di non aver aiutato nel corso delle indagini. L’arcivescovo dell’epoca, Agostino Suberbo, si guardò bene dal denunciare la vignetta. Il suo successore Ligorio ne venne invece a conoscenza nel 2022, quando venne ripubblicata dall’autore sul suo profilo Facebook con una forte critica per la decisione della diocesi di riaprire al culto la chiesa dove venne ritrovato il corpo.
Le consigliere regionali del Lazio Marietta Tidei (IV) e Marta Bonafoni (PD) presentano una mozione per contrastare le mutilazioni genitali femminili e stanziare maggiori risorse per arginare il fenomeno. Tidei e Bonafoni ricordano, proprio nella Giornata internazionale contro le mutilazioni genitali femminili, che nel mondo 200 milioni di donne e bambine subiscono questa «pratica aberrante». Le consigliere sottolineano il ruolo dell’Azienda ospedaliera S. Camillio-Forlanini, presso cui dal 2006 opera un centro regionale per l’assistenza e il trattamento chirurgico delle complicazione sanitarie dovute a queste mutilazioni, e l’ausilio dato dal SaMiFo (Salute Migranti Forzati): ritengono quindi che «implementare tali servizi sanitari consentirebbe di porre fine a questa pratica e rappresenterebbe un fattore chiave per il raggiungimento della parità di genere e degli obiettivi di sviluppo sostenibili in linea con quanto previsto anche dall’agenda 2030». L’iniziativa di Tidei e Bonafoni chiede al presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, con delega alla Sanità, e all’assessore alle Pari opportunità Simona Renata Baldassarre di «attivarsi per destinare maggiori risorse ai centri già attivi sul territorio, sia per favorirne la creazione» e di «istituire un Osservatorio regionale per il contrasto alla pratica della mutilazione, attraverso il quale monitorare i dati relativi al fenomeno e promuovere campagne di sensibilizzazione, comunicazione e protezione nei riguardi delle bambine e delle donne vittime di tale pratica».
Proprio nella giornata internazionale dedicata si è tenuto in Campidoglio un incontro per sensibilizzare sul tema, presenziato dall’assessora alle Politiche sociali e alla salute Barbara Funari, dall’assessora alle Politiche della sicurezza, attività produttive e pari opportunità Monica Lucarelli, dall’assessora alla Scuola, formazione e lavoro Claudia Pratelli. Oltre alle rappresentanti istituzionali del Comune di Roma ha partecipato anche il commissario straordinario della Asl Roma 1 Giuseppe Quintavalle e la vicedirettrice di Amref Health Africa-Italia Roberta Rughetti. Secondo i dati riportati, in Italia ci sono almeno 87 mila donne che hanno subito queste mutilazioni. La Giunta romana aveva sottoscritto, nell’aprile del 2023, un protocollo d’intesa per avviare una rete territoriali di prevenzione e contrasto del fenomeno, in particolare a tutela delle minori.
Il Centro SaMiFo della Asl Roma 1, unico nella Capitale e nel Lazio, riporta che 93 donne straniere sono state visitate nel 2023 per aver subito mutilazioni genitali. Per contrastare questo fenomeno sono state introdotte alcune misure, spiega il direttore del centro Giancarlo Santone, come un “passaporto della salute”: «Un documento che verrà tradotto in 12 lingue, tra cui il somalo e il farsi. In questo modo il documento potrà essere comprensibile per tutte le donne assistite dal Samifo alle quali verrà consegnato».
Il tribunale di Bolzano ha sollevato due questioni di costituzionalità sul ricorso di una persona non binaria (chiamata Aurel) che chiede il riconoscimento legale del proprio genere in Italia, sulla scorta di quanto avviene in altri Paesi. Le due questioni riguardano da una parte l’impossibilità per la legge italiana di attribuire una terza opzione di genere oltre al maschile o al femminile, dall’altra l’obbligo di una sentenza per interventi chirurgici. Del caso dovrà quindi occuparsi la Corte Costituzionale.
La redazione
“…..anche il cardinale e presidente della Cei Matteo Maria Zuppi ha lanciato il suo attacco, pur senza citare direttamente l’iniziativa regionale.”
Poveretto,bisogna capirlo : La Cei fa dell’assistenza ai sofferenti la sua principale ragion d’essere,e se i sofferenti smettono di essere tali per loro scelta grazie all’eutanasia,la Cei cosa ci sta a fare ?
Si gratta la pera ?
Ogni volta in questi casi mi viene alla mente quella piccola mania definita in psichiatria : “La sindrome di Munchausen per procura “.
Chissa perche’ ?
Ovviamente qui sarebbe sbagliato definirla una semplice mania,ammettiamolo.
Con tutti i soldi in ballo provenienti da finanziamenti pubblici e privati di ogni genere diventa una precisa strategia politica.
Vecchia di millenni,per di piu’.
La chiesa è come il Giro d’Italia: ci sono i corridori e i gregari, i secondi servono a portare acqua ai primi. Nella chiesa ci sono i teologi-corridori ai quali portano acqua gli Zuppi-gregari. In politica li chiamano in altro modo.
Pero’ in questo caso l’acqua e’ Santa,non dimenticarlo !
«la errata classificazione, ….. delle chiese come infrastrutture sociali, ……, così come le parrocchie, che non vengono più considerate come enti pubblici, ma di diritto privato.”
Purtroppo sembra che parecchi politici continuino a pensare che chiese e parrocchie siano enti pubblici e, quindi, a dare loro precedenza ed a finanziarle lautamente. Oltre al fatto della paranoia italiana a considerare la maggior parte delle chiese come opere d’arte.
Forse quando c’era la liberticida religione di stato potevano essere considerate tali, come basi di controllo del territorio, ma in un mondo democratico e laico sono strutture private di una delle n religioni esistenti.
Il problema è che talvolta, purtroppo come eredità del passato, diverse chiese sono di proprietà dei comuni o dello stato, anche se gestite dalla chiesa come sua proprietà. Per quale ragione lo stato dovrebbe esserne proprietario per garantirne l’uso alla chiesa cattolica, fatta eccezione per quelle effettivamente definibili come opere d’arte? Ma in tal caso ne andrebbe fatto pagare l’uso. Dubito che lo stato sia proprietario di sinagoghe, chiese protestanti o moschee.
Zuppi e seguaci, invece, possono tranquillamente non usufruire di una legge che offre solo la possibilità a chi non è suddito di scegliere per la propria vita, cosa che dovrebbe essere un principio democratico sconosciuto alla intollerante chiesa cattolica.
Il caso Claps è frutto dell’intoccabilità della chiesa cattolica che è considerata un mondo a parte con sue regole e non indagabile dalla magistratura italiana.