Sul Riformista è apparso qualche giorno fa un editoriale di Angelo Bolaffi («Amato, Habermas e l’etica del limite», 24 giugno 2006), in cui l’autore si chiede, ispirandosi fra l’altro al pensiero di Jürgen Habermas in materia di bioetica, se tutto ciò che è tecnicamente possibile sia anche moralmente lecito, ovvero se non sia necessario costruire un’«etica del limite», fondata sul «principio di precauzione». […] Non c’è dubbio, in effetti, che il limite alla scienza e alla tecnica non possa essere imposto in nome delle idiosincrasie molto personali di qualche filosofo […] né in base a un principio di precauzione che, se interpretato con coerenza, comporterebbe la stasi definitiva dell’azione umana. Il limite principale dev’essere costituito dall’esigenza liberale di rispettare la libertà altrui, ovvero di non arrecare danno; ma non è, credo, l’unico. Se alcune tecnologie dovessero rivelarsi alla portata solo di una élite ristretta di privilegiati in grado di permettersele, si correrebbe il rischio di creare una situazione di ineguaglianza mai vista nella storia: per esempio, l’ingegneria genetica migliorativa potrebbe condurre alla creazione di quella che qualcuno ha chiamato la «genobiltà» – un termine il cui significato è trasparente. In questa situazione la stessa democrazia difficilmente sopravviverebbe (e non si pensi che questa sia una prospettiva remota, da fantascienza: oramai dovremmo essere tutti coscienti dell’accelerazione in corso). Penso dunque che una regolamentazione che contragga l’intervallo temporale tra early adopters e diffusione di massa potrebbe rendersi necessaria; poi resterà soltanto da garantire le opportune salvaguardie per chi non vorrà seguire in questa audace avventura il resto del genere umano.
Il testo integrale dell’articolo di Giuseppe Regalzi è stato pubblicato sul blog Bioetica