Come noto ci sono allo stato attuale due aspetti del fine vita che necessitano di interventi istituzionali. Da una parte abbiamo la legge n. 219 del 2017 sul biotestamento, denominato Dat (disposizione anticipata di trattamento), che è stata approvata nella precedente legislatura salvo poi rimanere sostanzialmente immobile in quella attuale e che andrebbe resa pienamente operativa con l’istituzione del registro nazionale delle Dat. Quel registro avrebbe dovuto essere istituito entro il giugno del 2018 con decreto del Ministero della Salute, ma l’appena insediato ministro Giulia Grillo non ha ottemperato a quell’obbligo di legge e a distanza di un anno siamo ancora in attesa.
Va comunque detto che Grillo non è stata del tutto immobile. Subito dopo il ricevimento dell’incarico istituì un tavolo per analizzare le problematiche relative alla banca dati nazionale e il primo parere positivo arrivò nel luglio del 2018 dal Consiglio di Stato. Poi più nulla fino ai nostri giorni. Anzi, con qualche incursione liberticida come quella che sarebbe stata introdotta se fosse stato approvato l’emendamento al Ddl semplificazioni, che avrebbe impedito a chiunque di depositare la propria Dat in un Comune diverso da quello di nascita. Adesso l’ulteriore via libera allo schema di decreto proposto è arrivato dal Garante per la privacy, con poche osservazioni riguardanti in particolare il tempo massimo oltre il decesso per la conservazione dei dati, la comunicazione obbligatoria dell’iscrizione all’interessato e accresciute tutele per le modalità di accesso alle Dat. Si spera che superato questo ostacolo si possa finalmente avere questa banca dati unica nazionale. Nel frattempo l’Associazione Luca Coscioni ha rilasciato la prima versione di CitBot, una chat interamente automatica che fornisce risposte a facili quesiti sul biotestamento, attualmente disponibile via web e Telegram.
L’altro fronte stagnante è quello riguardante eutanasia e suicidio assistito. Anche in questo caso si è in attesa di risposte in vista di un aggiornamento della Consulta sul caso Cappato, e in particolare sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale che riguarda il reato di istigazione al suicidio. Nell’ottobre scorso la Consulta decise sostanzialmente di non decidere, o meglio di rimandare la decisione dando un po’ di tempo al Parlamento per aggiornare le norme in questione e rendere così praticamente inutile un intervento della stessa Corte costituzionale. Ma anche qui sono già trascorsi più di sette mesi, la data in cui la Corte si aggiornerà è fissata al 24 settembre prossimo e si è ancora al punto di partenza.
Adesso è arrivato l’annuncio che ci sarebbe un dialogo aperto sul tema tra i due partiti che sostengono la maggioranza di governo. Il problema è che questa mediazione non lascia presagire nulla di buono, certamente non una vera legge sull’eutanasia sulla quale forse sarebbero favorevoli i Cinque stelle, ma non la Lega che invece sarebbe orientata verso un’attenuazione delle pene previste per il reato di istigazione al suicidio e solo in casi limitati. Una proposta di legge in tal senso sarebbe già pronta con primo firmatario Alessandro Pagano, noto cattointegralista, ed incorporerebbe anche alcune restrizioni da introdurre nella legge 219/2017 sulle Dat. Per quanto riguarda l’eutanasia, invece, di proposte di legge ce ne sono diverse a partire da quella di iniziativa popolare promossa da un comitato di cui fa parte anche l’Uaar, corredata di ben 65 mila firme ma ferma da sei anni nei cassetti dei presidenti delle camere. Alla fine il compromesso tra i due azionisti di governo starebbe in una ridefinizione del reato di istigazione al suicidio, ma è chiaro che messa così la direzione è più verso le istanze reazionarie che verso quelle libertarie.
Proprio in questi giorni il tema dell’eutanasia ha trovato spazio nelle cronache a seguito della morte della diciassettenne olandese Noa Pothoven. In un primo momento si era diffusa la notizia che a Noa fosse stato consentito di ricorrere all’eutanasia per porre fine alle sue sofferenze, e chiaramente il trattarsi di una minorenne unito al fatto che l’origine della sua sofferenza era psichica — Noa era stata ripetutamente abusata da piccola e non è mai riuscita a riprendersi — metteva la pratica dell’eutanasia decisamente in cattiva luce. Poi è stato chiarito che in realtà alla ragazza è stata negata la possibilità di mettere volontariamente fine alla sua vita proprio in virtù della sua minore età, ma ciò non ha avuto l’effetto di indurla a desistere dai suoi propositi. Anzi, proprio il contrario: Noa ha deciso di smettere di mangiare e bere in attesa della sua morte, mentre il mondo è rimasto a interrogarsi su quanto senso abbia costringere una persona non tanto a vivere contro la sua volontà, quanto a morire tra le sofferenze e in modo indegno.
Massimo Maiurana