Fnomceo: il medico non aiuta a morire, anzi può farlo, ma non si fa

Partiamo da un dato oggettivo: oltre quattro mesi fa la Corte costituzionale ha sentenziato che il principio secondo cui è reo chi aiuta la persona che vuole porre fine alla sua vita non è da intendersi universalmente valido, come finora stabilito nella formulazione dell’articolo 580 del codice penale. Si configurano cioè casi in cui l’aiuto al suicidio non sarebbe reato, e specificamente non è punibile chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Poi la sentenza rimanda ad altri, nella fattispecie dei comitati etici, il compito di stabilire caso per caso se queste condizioni sono soddisfatte, ma questo è un altro discorso; il principio adesso è che in presenza di tali prerequisiti non c’è punibilità ex art. 580.

Tale nuovo principio è stato però disconosciuto non solo dai soliti no-choice clericali, che alla fine esprimono la loro opinione non certo vincolante per nessuno, ma perfino dal massimo organo confederato degli ordini dei medici, cioè la Fnomceo. Il presidente Filippo Anelli ha espresso delle opinioni abbastanza trancianti in merito, emerse da una discussione in seno alla loro consulta di bioetica, cominciando col dichiarare che il medico genericamente inteso “non compirà l’atto fisico di somministrare la morte”. Ma la Consulta aveva appena stabilito che chi lo fa può non essere punibile, viene quindi da chiedersi da cosa derivi questa assoluta certezza della Fnomceo.

Anelli ha inoltre aggiunto che “se è un alto diritto la possibilità di scegliere autonomamente e liberamente sulla propria salute, assicurata dall’obiezione di coscienza, lo stesso principio deve poter valere anche per il medico che si considera fermo sostenitore della tutela della vita”, sentenziando così una sorta di contitolarità della vita tra paziente e medico. Il primo è chi quella vita la vive e l’ha vissuta, ma qualunque diritto su di essa sarebbe esercitato alla pari con il medico che lo assiste. Anzi, forse nemmeno tanto alla pari, visto che il medico può perfino opporre un veto al proposito del paziente. Alla fine, secondo la Fnomceo, se il suicidio assistito è un diritto riconosciuto lo Stato dovrà anche individuare chi potrà metterlo in pratica, perché i medici non lo faranno.

Pochi mesi dopo la palla è passata però al consiglio nazionale della Fnomceo che ha dovuto inevitabilmente aggiornare il codice deontologico alla luce della novità introdotta dalla Corte costituzionale. Il risultato è un capolavoro di machiavellismo: da un lato si prende atto della sentenza e anzi se ne incorpora la parte più importante quasi letteralmente, dall’altro si stabilisce che “la libera scelta del medico di agevolare il proposito di suicidio va sempre valutata caso per caso”. In altre parole si è partiti da un “il medico non aiuta mai nessun aspirante suicida” per finire con “ il medico può aiutarlo ma noi stabiliremo se ha fatto bene o male”. E chi se ne frega se una sentenza del giudice delle leggi ha stabilito che non è punibile l’aiuto al suicidio; non lo sarà dal punto di vista penale, ma l’aspetto disciplinare compete a Fnomceo che può anche non tenerne conto.

A ribadire ulteriormente la rivendicazione di autonomia giurisdizionale della Fnomceo è ancora una volta Anelli, il quale ha aggiunto: “restano fermi i principi dell’articolo 17, secondo i quali il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte”. Come dire che in generale non lo facciamo mai, qualcuno può farlo ma poi se la vedrà con noi, e comunque non si fa. Chiarissimo. O no?

Massimo Maiurana

11 commenti

Diocleziano

“…Il medico può perfino opporre un veto al proposito del paziente…”

Ecco, stavamo giusto parlando di quelli che giocano a fare dio…

E chiedere a ogni singolo medico che dichiari preventivamente la sua posizione?
Odo già dallo stagno dei ranocchi il coro “No, no… sarebbe lesa la nostra privacy!”
Però devastare l’ultimo, e più penoso, tratto della vita altrui gli deve essere permesso?

laverdure

Ricordate le scene finali de “L’ultima spiaggia”?
Quando nelle strade delle citta australiane,a poche settimane dall’arrivo del fallout
mortale,le autorita fanno distribuire le pillole della “dolce morte”.
Li’ ci troviamo in un ambiente anglosassone e protestante in maggioranza,ma come esercizio di fantasia,immaginate una situazione analoga in Italia.
Ritenete che le NOSTRE autorita avrebbero il coraggio di fare altrettanto,e che la Curia finalmente decidesse di soprassedere ?

iguanarosa

Machiavellismo, ipocrisia, democristianità, si può chiamare in tanti modi. Ci sono forse anche dei tempi tecnici e culturali per assorbire una “novità” del genere. Quello che i medici compassionevoli già facevano da decenni di nascosto, sta venendo a galla. Ma alcune associazioni cattoliche ci meteranno anni ad ammettere l’ovvio e adeguarsi alla secolarizzazione.

Giannino

Il giuramento professionale, che è riporato anche nel sito della Fnomceo, afferma:
“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro
(…)
– di non compiere mai atti fimalizzati a provocare la morte”.

Il Presidente Anelli, alla luce di ciò, non ha espresso opinioni personali, ma ha ribadito quanto ogni medico ha assunto come impegno prestando giuramento.

Diocleziano

Bisogna distinguere se la morte è data dal medico senza tener conto della volontà del paziente, o se è il paziente che, per comprensibili motivi, vuole farla finita.
Non credo che, all’occorrenza, qualcuno pensi davvero di rivolgersi al medico di base per morire. E non credo nemmeno che al legislatore venga in mente di obbligare indistintamente i medici a intervenire in tal senso.
Per quanto riguarda il giuramento, prendiamolo come un formalismo di facciata: sono troppi i casi di cronaca sul cinismo e la spregiudicatezza di certi ‘operatori’.

iguanarosa

Per quanto ne so, ci si rivolge al medico di famiglia per la sedazione profonda e i farmaci opportuni, perché li deve prescrivere. Molti non conoscono anestesisti o altri medici idonei e quindi non resta che il medico generale.
Per quanto riguarda la “volontà” del paziente, mi sembra ovvio. I casi di medici e infermieri assassini sono tutto un altro scenario, mentre qua si discute di associazioni di medici cattolici che cercano di opporsi alle sentenze e al sentire comune delle persone. Vorrebbero ostacolare i moribondi che chiedono di farla finita e i medici che li vogliono aiutare.

RobertoV

Dipende da cosa si intende per atti finalizzati alla morte.
Per esempio nel caso dell’accanimento terapeutico e sospensione delle cure, di fatto un medico agevola la morte del paziente. Mi sembra che su tale concetto, almeno a parole, più o meno tutti siano d’accordo. Se le macchine vengono staccate sul volere del paziente terminale o non gli vengono forniti i farmaci come richiesto, un medico compie atti finalizzati a provocare la morte voluta del paziente.
Ma anche cercando di mantenere in vita un paziente terminale con interventi inutili o a bassa probabilità di successo o farmaci sperimentali si può provocare la morte anticipata del paziente, magari contro la volontà del paziente.
Nel caso delle cure palliative è possibile con gli interventi provocare la morte del paziente, ed alla fine anche la sedazione profonda può avere come effetto collaterale la morte anticipata, tanto è vero che diversi medici si rifiutavano di praticarla per motivi etici. Dopotutto le cure palliative sono “cure” che aiutano il paziente verso la morte rendendola più agevole.
Se uno è un malato terminale, di fatto è un morente e l’intervento del medico può solo cambiare le modalità e la data. Perché in tal caso un medico dovrebbe fare di tutto perché il malato si “goda” fino in fondo la sofferenza del morire, anche se vorrebbe evitarlo? Sarebbe come curare dei condannati a morte per poterli portare vivi sul patibolo, in modo che non si perdano il significato dell’esecuzione.

laverdure

Vorrei puntualizzare il significato della “sedazione profonda”,della quale i giornali hanno riportato un caso pochi giorni fa.
Se ho capito bene significa mantenere il paziente in anestesia totale,su sua richiesta ,
fino al momento della morte,evidentemente nutrendolo tramite flebo(se no il gioco finirebbe troppo presto !).
E ovviamente una anestesia cosi prolungata finisce sicuramente con avere effetti deleteri sull’organismo,affrettandone la fine.
Per il paziente direi che non c’e’ nessuna differenza rispetto all’eutanasia,dato che per quanto lo riguarda tutto finisce nel momento in cui inizia l'”anestesia”.
Pero’,non vi sembra che in questo ci sia una buona dose di ipocrisia ?
O forse tenete in conto la possibilita che in quelle poche settimane che gli restano possa arrivare una cura miracolosa che gli restituisca una vita decente ?

Diocleziano

Quella della ‘sedazione profonda’ è una pratica, mai ammessa, che viene diffusamente attuata da molti decenni. Ricordo di un parente ormai in fin di vita, del quale ci domandavamo quale sorte lo aspettava visto che non c’era speranza per una guarigione né per una fine a breve; Ci spiegarono che con la morfina non avrebbe sofferto molto. Trentacinque anni fa, e senza leggi sull’eutanasia.

Franco Ajmar

Un vero cristiano crede nel paradiso e non dovrebbe avere nessuna ragione per ritardarne l’andata: basta una bella confessione e comunione, (per non finire all’inferno), poi la morte e la vita eterna in paradiso, alla vista del Padre. Quasi va ringraziato il medico che accelera questa delizia. Perché insistere masochisticamente a restare in questa valle di lacrime? Ovviamente vale solo per chi crede, ma la fede altrimenti cos’è?

Diocleziano

Forse perché un credente vivo ‘rende’ più di uno morto. 😎

E oggi, con la dilagante penuria di fedeli, bisogna massimizzare la resa procapite.

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