Gentile direttore, Luisa Muraro sul Manifesto di martedì 8, si mostra dubbiosa sul fatto che la concezione religiosa della sofferenza sia la principale causa della lentezza con cui in Italia si sviluppa la terapia del dolore; e con una certa dose d’ingenuità scrive: “Dare sollievo a chi soffre è un dovere religioso assoluto per chi crede in un Dio di bontà…Dico cose che ho imparato dal catechismo…”. Sembra ignorare che proprio la Chiesa cattolica ha sempre avuto una visione positiva (ma sbagliata alla luce del vangelo, e della ragione ovviamente) del dolore, influendo enormente sulla mentalità anche dei non credenti. Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Salvifici doloris, fa un vero e proprio elogio del dolore. La sofferenza in sé diventa una vera grazia di Dio: “Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l’uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l’interiore maturità e grandezza spirituale”. Qualcuno oggi, credente o non credente, leggendo i Promessi sposi, si rende forse conto, ad esempio, che il nostro grande Manzoni aveva un concetto fantasioso ed ingenuo della divina provvidenza? Che l’ossimoro provvida sventura (coro di Ermengarda morente) è una sorta di offesa a Dio? Che è assurdo considerare la sventura castigo o misericordia da parte di Dio (cf cap. XXXV del romanzo)? Che la frase: «Dio vi ha visitate. Povera Lucia!» di padre Cristoforo (cf cap. V del romanzo), è irriverente verso il Signore? Qualcuno trova forse aberrante, fuorviante, il fatto che molti santi si siano persuasi che fosse il buon Dio a mandare loro ogni sorta di malanni, spesso ardentemente invocati nell’illusione di imitare Cristo? Purtroppo la visione positiva del dolore, ora come prova, ora come esperienza che fortifica lo spirito, ora come dono, ora come punizione, ora come qualcosa che visto che c’è è giusto ci sia, è diffusa ancora oggi, grazie soprattutto alla Chiesa, più di quanto si pensi.
La lettera di Renato Pierri è stata pubblicata ieri sul Tempo
Una riprova a stretto giro di posta la si trova sull’ultimo numero di Famiglia Cristiana:
[…] “Due stampelle” è una canzone che ho composto per Silvestro, un ragazzo disabile incontrato anni fa in una chiesetta buia del Piemonte. Era ateo, non accettava la sua situazione, rifiutava qualsiasi aiuto; un giorno ebbe un’intuizione: messe in un determinato modo, una sull’altra, le due stampelle diventano le braccia della croce. […]
Il testo integrale dell’intervista di Alberto Chiara a don Giosy Cento, prete cantautore, è stata pubblicata sul sito di Famiglia Cristiana