A febbraio la nostra associazione, per ricordarne la nascita, organizza ormai da una decina d’anni una serie di Darwin day. Tanti eventi, tra presentazioni di libri, conferenze, dibattiti, per valorizzare la cultura scientifica e in particolare il contributo dato dallo scienziato inglese alle nostra conoscenze. Senza però particolari pretese ideologiche: con approccio laico e con la collaborazione di studiosi seri. Visto che non si tratta di lezioncine volte a glorificare l’ateismo.
Da qualche tempo, da parte cattolica, sono stati organizzati i cosiddetti Mendel day, dal nome del frate e scienziato che scoprì le leggi genetiche. Già la scelta temporale in cui vengono presentati è indicativa: proprio a febbraio (mese che non coincide né con la data di nascita né con quella di morte di Mendel), volutamente in concomitanza con i Darwin day e con un intento concorrenziale, se non palesemente polemico, nei confronti dell’Uaar. Anche il tenore di questi incontri è esplicitamente apologetico: tengono banco integralisti cattolici del calibro di Francesco Agnoli e un antidarwinista come Enzo Pennetta.
Significativo del tentativo di ridefinire l’immagine del rapporto tra scienza e fede, sulla scia del metodo Templeton, è anche la ricerca di Elaine Howard Ecklund, sociologa del Religion and Public Life Program della Rice University, commissionata dal DoSer (Dialogue on Science, Ethics and Religion) dell’American Association for the Advancement of Science. Questo “dialogo” in seno all’AAAS, che di fatto propende per un trattamento privilegiato della religione nella comunità scientifica, è fortemente spinto da settori evangelici e già contestato già anni fa da evoluzionisti come Jerry Coyne. Emblematico di come si cerchi di fare entrismo nel mondo scientifico. Guardando il bicchiere mezzo pieno: oggi gli apologeti non possono più fare a meno di argomentare basandosi su evidenze empiriche.
Nella ricerca, sono state interpellate circa 10mila persone con un sondaggio on line di 25 minuti, di cui solo il 5% si è identificato come scienziato. Tenendo in considerazione le critiche sul modo in cui è stato fatto il sondaggio e sulle motivazioni di fondo, consideriamo i risultati. Dai dati raccolti emerge che il 36% degli scienziati interpellati non ha dubbi sull’esistenza di Dio (rispetto al 55% della popolazione) e che la partecipazione e la lettura settimanale di testi sacri sono qualche punto percentuale più basse della media. Quasi un quarto si dichiara apertamente ateo o agnostico (24,4%), quota sensibilmente più alta della media sulla popolazione (15,5%), gli altri sono ripartiti tra protestanti evangelici (17,1%), protestanti mainline (24,9%), cattolici (19,1%) e altri culti. Gli scienziati “molto religiosi” sono il 16% (rispetto al 19% della popolazione), in particolare i più osservanti sono gli evangelici. Poco più alta tra gli scienziati l’idea che i religiosi siano ostili alla scienza (22% contro 20%), ma rimane idea minoritaria. Per il 27% degli americani scienza e religione sono in conflitto e il 52% di questi in caso di dubbi propende per la religione. Quindi, tirando le somme, se non è vero che gli scienziati siano tendenzialmente atei e che scienza e fede siano viste in conflitto, va anche rilevato che in proporzione uomini e donne di scienza sono meno osservanti della media.
Per sostenere che razionalità e religione possono andare a braccetto, gli apologeti fanno un sistematico appello all’autorità di scienziati dichiaratamente credenti o snocciolano corpose liste come se tale giubilante propaganda dia qualche credenziale. Come è facile intuire, questa argomentazione non funziona né dimostra alcunché, per una serie di motivi logici, storici e culturali. Fino a non molto tempo fa le istituzioni culturali di alto livello erano in mano a religiosi, o questi vi esercitavano comunque una pesante egemonia. Inoltre ricerca e speculazione venivano per forza di cose indirizzate per confermare premesse religiose o dogmatiche, in un circolo vizioso che rendeva la scienza “ancella” della teologia (come avveniva per la filosofia) e ne soffocava la libera speculazione. Non è un mistero che i religiosi fossero tra le persone più istruite e tra le pochissime che avessero accesso a conoscenze accademiche, in un mare di analfabetismo. Senza contare che nel clima di totalitarismo cristiano che ha gravato sull’Europa per almeno mille anni, dichiararsi non credenti — o anche solo non cristiani o palesare posizioni considerate eretiche — o approfondire ricerche che non confermassero i dogmi o non fossero in linea con la dottrina religiosa dominante, comportava come minimo la scomunica e l’esclusione dalla vita sociale, accademica, lavorativa. Un vero e proprio ostracismo che poteva culminare nella condanna a morte, almeno fino all’illuminismo.
Il salto di qualità della scienza è avvenuto anche con l’affrancamento dai rigidi schemi della religione, che la imbrigliavano e indirizzavano per esigenze ideologiche. Non a caso sono emblematiche figure di rottura come Galileo Galilei (dichiaratosi credente e costretto all’abiura sotto minaccia della pena di morte) o Charles Darwin (con la rivoluzione concettuale introdotta dall’evoluzione, che lo spinse a riflettere e a passare da una posizione religiosa a un agnosticismo “gentile”). Ciò non significa necessariamente supporre che la scienza di per sé si identifichi con l’ateismo: si tratta di un approccio per definizione laico che ha contribuito a mettere fortemente in dubbio la concezione religiosa tradizionale, relegando Dio sempre più nel ruolo di “tappabuchi” nell’infinitamente piccolo o nell’infinitamente grande in mancanza di spiegazioni definitive. Ovviamente ci sono tanti scienziati credenti (come visto, in percentuale però sensibilmente più bassa rispetto alla popolazione), ma non sono buoni scienziati se pretendono di anteporre la propria fede alla ricerca scientifica o di mischiare i due piani per trovare conferme scientifiche alla propria dottrina religiosa. Anche chi oggi vuole dare una patente di “razionalità” alla religione, come tenta di fare il filosofo Robert Audi, si guarda bene dall’abbracciare un integralismo senza se e senza ma, puntando ad un approccio più sfumato e meno dogmatico, se non apertamente eterodosso rispetto allo stesso cristianesimo cui fa riferimento.
È curioso come la stessa religione sia obbligata, darwinianamente parlando, a evolversi e adattarsi per far fronte alle innovazioni scientifiche, politiche e sociali e risponda ad esigenze umane. Forse è semplicemente per questi motivi che non molte persone sentono un conflitto tra fede e scienza. Prevedibile quindi che gli stessi credenti trovino dei compromessi tra la propria fede e l’approccio scientifico. Per quanto riguarda studiosi e scienziati, bisogna guardarsi poi da un facile appello all’autorità e al prestigio: capita d’altronde che un esperto in un campo si lanci in considerazioni quantomeno discutibili quando parla della sua stessa disciplina o di altri argomenti. Non è raro anche notare un approccio razionale a compartimenti stagni, quando si fa largo uso di scienza e logica per sviscerare certe questioni, mentre si evita di usare lo stesso impietoso occhio critico di fronte a temi tabù, o ci si lascia andare all’emotività per aggirare la questione. E talvolta, paradossalmente, è lo scettico che fa notare tali contraddizioni e doppiopesismi ad essere bollato come integralista.
Ciò che è scritto nella Bibbia è uno di questi argomenti tabù, rispetto ai quali il credente illuminato tende a soprassedere. Se fino a non molto tempo fa (e talvolta tuttora) i cristiani credevano che il mondo fosse stato creato in sei giorni come racconta la Bibbia, ora è idea diffusa che le espressioni usate siano allegoriche. Formalmente la Chiesa cattolica accetta l’evoluzionismo (ora, in passato non era così), ma rimangono ambiguità che fanno flirtare con l’intelligent design, spesso sottaciute. Tra le frange fondamentaliste evangeliche viene sostenuto apertamente il creazionismo, anche se persino il predicatore Pat Robertson ha criticato Ken Ham, protagonista di un confronto con Bill Nye in cui sosteneva tesi vetero-testamentarie. Resta da capire chi e come sia titolato a distinguere il grano dal loglio, ovvero quali criteri inducano a ritenere che certe espressioni bibliche vadano intese in senso letterale mentre altre no e quando questa operazione sia spesso di comodo, volta a placare la propria ansia esistenziale. Sono i credenti ovviamente a doversi arrovellare su questo annoso e irrisolvibile problema, o ad appaltarne la soluzione a una chiesa.
In tutto questo sta l’intrinseca contraddizione della religione che pretende di appellarsi alla razionalità. Da una parte la religione si proclama superiore rispetto alla ragione e incomprensibile di fronte ai suoi metodi di indagine quando la si vuole trattare come un fenomeno umano e con un approccio naturalistico. Come ci ha abituato Benedetto XVI rivendicando la “ragione” nella fede, oppure quando si indaga su presunti miracoli per dare una spiegazione di buonsenso e si alza la fanatica levata di scudi di coloro che sostengono che certi fenomeni non si possono indagare con i vili strumenti umani. Con conseguenze anche preoccupanti, persino oggi, come dimostrano in India i casi di Sanal Edamaruku (costretto all’esilio) e Narendra Dabholkar (ucciso). Dall’altra i sostenitori della religione “razionale” pretendono di piegare logica, etica e scienza per dare conferma ai propri dogmi che per definizione vengono considerati indiscutibili verità di fede, operando una forzatura strumentale e una vera e propria inversione (e distorsione) epistemologica di ciò che dovrebbe essere la scienza. Ovvero un approccio basato su dati sperimentali e su ipotesi falsificabili (anche in materia religiosa, con buona pace di Gould e dei “magisteri non sovrapponibili) nonché su revisioni e affinamenti continui di risultati, volto a dare una interpretazione naturalistica e per definizione “laica” — di per sé, non necessariamente “atea” — della realtà. Così, abbiamo studiosi che nel tentativo di dimostrare che, ad esempio, la sindone è effettivamente il telo che ha avvolto Gesù si lanciano in ipotesi fantascientifiche.
La redazione