Non solo clericalate. Seppur spesso impercettibilmente, qualcosa si muove. Con cadenza mensile vogliamo darvi anche qualche notizia positiva: che mostri come, impegnandosi concretamente, sia possibile cambiare in meglio questo Paese.
La buona novella laica del mese di agosto è l’apertura della sala del commiato laico presso il cimitero maggiore di Vicenza, terminati i lavori con la risistemazione dell’area esterna. L’amministratore unico di Amcps Carlo Rigon, presente per un sopralluogo con il vicesindaco con delega ai lavori pubblici e l’assessore ai servizi demografici, ha sottolineato: «questa struttura va ad offrire uno spazio “laico” in alternativa alla chiesa dove dare l’ultimo saluto ai defunti». Lo spazio interno è allestito con panche e arredi, illuminazione a soffitto, impianto di diffusione sonora, ed è dotato di allarme e servizi.
Intanto a Bisceglie (BT), il consigliere comunale – nonché attivista Uaar – Peppo Ruggieri ha presentato una interrogazione per sapere se l’amministrazione del Comune intende attrezzare una sala laica del commiato, punto che era presente nel programma elettorale proprio su sollecitazione di Ruggieri. Nel suo intervento il consigliere, che ha proposto alcune modifiche migliorative per rendere la futura struttura più funzionale, ha ricordato come in Italia le nozze e i funerali civili siano in aumento. «Quello che manca, però, sono gli spazi, soprattutto per i funerali», aggiunge, nonostante l’allestimento di almeno una struttura sia prevista dalla legge 34/2008 della Regione Puglia. La conseguenza è che «per i comuni cittadini atei, agnostici o aderenti a culti diversi da quello cristiano cattolico non resta che accettare soluzioni di ripiego subendo, così, una discriminazione anche dopo la morte».
In vista delle prossime elezioni politiche il 25 settembre la laicità non sembra, per usare un eufemismo, nelle preoccupazioni dei candidati. L’affermazione più esplicita l’hanno fatta Giuseppe Civati e Beatrice Brignone nell’illustrare il programma di Possibile: abolizione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche (che, come ricordano, «è impartito da docenti scelti dalle curie e pagati dallo Stato italiano»), no all’esposizione del crocifisso nelle aule e fine dei finanziamenti pubblici alle scuole private «oggi surrettiziamente definite “pubbliche paritarie”». Non a caso questa timida manifestazione di laicità ha scatenato le scomposte reazioni degli insegnanti di religione cattolica, che possono tenere quel posto solo grazie alla raccomandazione del vescovo. Chissà se gli altri partiti avranno il coraggio di parlare di laicità in maniera così esplicita?
Le premesse non sembrano le migliori, se praticamente tutte le maggiori forze politiche hanno presenziato senza patemi di coscienza e anzi in un clima di intesa al Meeting di Rimini, kermesse della lobby integralista Comunione e Liberazione nota per le ingerenze nella politica e i grandi affari. Solo il Movimento 5 Stelle non c’era, formalmente perché non presente nell’intergruppo parlamentare sulla sussidiarietà: ma il leader Giuseppe Conte, che c’era l’anno scorso, ha espresso insofferenza per l’esclusione. Anche in questa circostanza solo Civati ha esplicitamente invitato a «parlare di laicità», distinguendosi dai presenti al Meeting.
Il diritto all’aborto è sotto attacco nel mondo, anche negli Usa dopo la sentenza della Corte suprema che ha cancellato la tutela federale per “democraticamente” la facoltà ai singoli stati. Ciò ha creato una escalation confessionalista in vari stati Usa a guida repubblicana, sdoganandone le leggi restrittive. Anche nel Kansas i repubblicani intendevano cancellare il diritto all’aborto sancito nella locale Costituzione, ricevendo però una clamorosa sconfitta al referendum: quasi due terzi dei votanti ha voluto difenderlo.
Anche in Italia l’autodeterminazione delle donne è sotto attacco, spesso in maniera surrettizia e col favore dei politici clericali, ad esempio con l’esplosione dell’obiezione di coscienza tra i medici e l’infiltrazione di associazioni integraliste no-choice nelle strutture pubbliche, attive nella propaganda religiosa. Recentemente è tornata alla ribalta la situazione della Regione Marche, guidata da Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia): grande risonanza ha avuto una condivisione social di Chiara Ferragni, che riprendeva un’inchiesta del Guardian proprio sulla situazione marchigiana. L’influencer è stata accusata dagli integralisti di diffondere “fake news” (da che pulpito), ma sono anni che i movimenti denunciano gli ostacoli all’interruzione di gravidanza a causa delle politiche no-choice locali: situazione che va ben oltre i numeri formalmente forniti (e su cui sono stati avanzati legittimi dubbi) dal Ministero della Salute. Il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha ringraziato Ferragni e «tutte le donne che non si rassegnano a vedere calpestati i propri diritti di libertà ed esigono il rispetto della legge 194». Il leader della formazione di sinistra denuncia: «dove governa la destra, non solo nelle Marche, io l’ho potuto constatare in Umbria in questi ultimi anni, abbiamo visto una riduzione dei diritti delle donne. Dobbiamo impedire che questo avvenga a livello nazionale, è un fatto di civiltà».
Agli attacchi a Ferragni portati avanti dal consigliere regionale marchigiano Carlo Ciccioli (FdI) hanno risposto il gruppo consiliare Pd e in particolare Manuela Bora, ex assessora Pd alle attività produttive della giunta Ceriscioli e ora consigliere regionale, definendoli «un’ipocrisia disgustosa e inaccettabile». La critica dei dem all’atteggiamento ostile della Giunta Acquaroli ripercorre una serie di dichiarazioni e prese di posizione degli esponenti della destra locale negli ultimi anni. Come le imbarazzanti dichiarazioni di Ciccioli durante la seduta del Consiglio regionale del 26 gennaio 2021. O come il mancato recepimento delle linee ministeriali sull’utilizzo dell’aborto farmacologico, l’appoggio a mobilitazioni integraliste, la proposta di legge di riforma dei consultori che apre «alle associazioni private dei fondamentalisti “nochoice”», il riferimento dell’assessore regionale Filippo Saltamartini «alle strampalate teorie “heartbeat”, totalmente destituite di ogni fondamento scientifico, le stesse che hanno portato il Texas a restringere e praticamente ad abolire il diritto ad interrompere volontariamente una gravidanza».
Il leader leghista Matteo Salvini si è lanciato in una sperticata lode della normativa sulla famiglia dell’Ungheria, sostenendo che sia la «più avanzata» d’Europa. Politiche non a caso lodate anche da papa Francesco durante l’udienza con la presidente ungherese Katalin Novak. Tra le critiche a queste dichiarazioni salviniane da segnalare Debora Serracchiani, capogruppo Pd alla Camera: «con il modello di Orban che piace tanto a Salvini ci dobbiamo aspettare anche queste proposte che, al contrario di ciò che serve veramente alle donne e alle famiglie (tutte le famiglie), sembrano solo riportare a decenni addietro e a negare molti diritti» e «portare indietro le lancette della storia».
La redazione
Mi sconcerta sempre come i politici possano regolarmente fare affermazioni ideologiche e di propaganda a prescindere dai fatti, senza documentarsi, millantando risultati falsi.
L’affermazione di Salvini sul modello Orban per la famiglia è falsa, anche sui risultati visto che l’Ungheria non è per niente nei primi posti in Europa come natalità e l’incremento riscontrato nei primi due anni della legge, si è già ridimensionato, tanto che si sono dovuti inventare delle scuse. Anche altre nazioni danno incentivi ed aiuti anche sull’organizzazione del lavoro e flessibilità lavorativa, cosa ignorata dalla legge di Orban che evidentemente pensa più alle donne a casa.
La legge si concentra prevalentemente sulle donne, ritenendo quindi la procreazione solo un problema femminile, tipico delle impostazioni conservatrici tradizionaliste.
Estendono i congedi parentali, ma solo per le donne e per i nonni (ma solo per i primi 2-3 anni di vita del bambino, e dopo ?), gli uomini hanno solo 5 giorni di permessi nel primo mese: cioè la classica impostazione tradizionale dell’uomo che lavora e la donna che accudisce i figli, visto che non si prevedono agevolazioni lavorative per le donne se non nella fase iniziale, come se i figli non fossero da gestire per molti più anni. E se le donne non lavorano, cioè circa la metà, le detassazioni scompaiono. E li prevedono per coppie regolarmente sposate (non per single, e se divorziano?)
Inoltre si concentrano prevalentemente sull’aspetto economico, come se dare un po’ di soldi potesse incentivare a farne di più: ma come si può pensare che 3000 euro una tantum possano portare a fare più figli, quando il costo dei figli è nettamente superiore e crescente con l’età? Il Censis già 10 anni fa aveva stimato un costo medio di 750 euro/mese a figlio in Italia, cioè un figlio che andrà all’università rimarrà a carico della famiglia per almeno 25 anni, con costi crescenti con l’età e cifre complessive di 150-200 mila euro: sicuramente i costi in Ungheria saranno più bassi e visto i pochi laureati loro si preoccupano degli uomini poco istruiti, non di incrementare la loro istruzione. Ed in più tanti ungheresi emigrano per la mancanza di lavoro e prospettive. Solo con genitori ignoranti si può pensare che qualche migliaio di euro possa spostare il problema economico. Ed infatti altre nazioni nonostante gli incentivi ed agevolazioni notano che più di tanto non si riesca ad incrementare la natalità in un paese evoluto (ed anche Mussolini non ebbe grande successo su questo fronte nonostante la propaganda). Perché le persone prendono gli incentivi, ma per i figli che già volevano fare, al massimo anticipano la loro scelta, ma non cambiano il numero complessivo, visto che si rendono conto sin dal primo figlio dell’impegno non solo economico, ma anche psico-fisico ed organizzativo col lavoro dell’avere un figlio.
Ed infatti le nazioni più evolute si pongono il problema della disponibilità di strutture e dell’organizzazione del lavoro, della flessibilità e dello smart working e delle prospettive di lavoro e di studio, sia per le madri (e compagni) che per i figli.