È in distribuzione il terzo numero dell’anno della rivista L’Ateo, il bimestrale dell’Uaar. I soci possono leggerlo da subito sul sito nell’area riservata.
Questo è il Numero 100 e presenta contributi di D’Alpa, Oss, Turchetto, Carcano, Marullo, Odifreddi, Tommasi, Turchetto, Sciolti, Tamagnone, Scrima, Postiglione, La Torra, Ruggia, Gaetani, Ugolini.
La Redazione
Nel frattempo un professore universitario inglese ha definito gli ex musulmani atei “native informants” non conosco il significato preciso del termine ma i gruppi di ex musulmani si sono scandalizzati.
L’intervista alla trinità è godibilissima: complimenti sinceri a Stefano Marullo.
Grazie John.
Dato il perentorio titolo “L’Ateo” continuo a domandarmi e a domandare dove stia rincantuccciata la seconda “A” della sigla UAAR, ovvero “agnostici”; si tratta forse di atei potenziali o semipotenziali, non ancora pervenuti al giusto punto di cottura? Non sarebbe il caso di cambiare la sigla in “UAR” e farla finita con le sfumature dovute all’a-gnosticismo del “sapere di non sapere” e dell’ “ignoramus et ignorabimus”? Evidentemente gli atei, come i residui poveri cristianucci hsnno delle certezze.
@ John. Dal momento che il numero tre rappresenta la RELAZIONE fra due poli opposti e complementari ( ad esempio tesi, antitesi e sintesi ) mi aspetto una qualche spassosissima intervista alle tre dimensioni dello spazio ( larghezza, lunghezza, altezza), alle tre specificazioni del tempo ( passato, presente, futuro ), ai tre lati del poligono minimo, ovvero il triangolo, e via teoretizzando. Forse sarà il caso di compulsare
il “De Trinitate” di sant’Agostino.
E io sarei curioso perché la sua chiesa si faccia chiamare cattolica cioè universale quando di universale non ha una cippa (parlo della realtà… quindi si risparmi boiate teologiche e citazioni ad muzzum).
“E io sarei curioso” sarebbe “Ed io sarei curioso di sapere”
Già connetto poco normalmente, figuriamoci appena svegliato. 🙂
@ Florenskij
Presumo che l’associazione, in linea di principio, voglia includere atei e agnostici. Non so quale sia la proporzione tra gli uni e gli altri, credo che gli atei siano in maggioranza e da qui la rivista.
Deve ammettere, poi, che una pubblicazione “L’agnostico” non risulta molto incisiva.
In merito agli agnostici, poi, ho la personalissima opinione che… non li capisco. Meglio, una volta dichiarato che sospendono il giudizio, si comportano come se dio esistesse o come se non esistesse? Se, come presumo, come se non esistesse, alla dichiafazione teorica corrisponde un ateismo pratico.
Ancora, considerato che le prove dell’esistenza di divinità – in generale e in particolare – sono inesistenti, a che vale sospendere il giudizio su di esse e non sugli elfi?
Stefano dipende dalla definizione di Dio, si può essere ateo nei confronti di un dio monoteista ben definito o divinità pagane altrettanto ben definite, ma si può essere agnostici nei confronti di un dio panteista che si identifica nella natura, non ci credo ma non posso definirmi ateo nei confronti di quel concetto di dio, l’unica cosa che posso dire e che è inconoscibile. L’agnosticismo è inversamente proporzionale al dettaglio di descrizione del dio.
@ Francesco
E che senso ha definirsi agnostico nei confronti di qualcosa che non so se esiste ma non sono nemmeno in grado di dire come faccio a sapere se esiste, fosse anche in linea di principio? E’ ben peggio che definirsi agnostico nei confronti del Mostro di Loch Ness.
Stefano così funziona anche la scienza. Si sospende il giudizio su ciò che non può essere conosciuto perché non fa parte dello scibile. Il dio panteista a differenza del mostro di Lochness non può essere indagato perché è indistinguibile dalla natura. Dirsi agnostico nei suoi confronti è un atteggiamento teorico che riconosce inconoscibilità dell’oggetto, significa dire non ci credo perché inconoscibile, no perché sono sicuro che non esista.
Ti consiglio di leggerti “Dio e la Religione”, un compendio di scritti di Bertrand Russell a cura di Al Seckel, edito da Newton Compton, su questo rapporto ateismo agnosticismo a seconda del concetto di dio.
@ Francesco S.
E’ un po’ come dire che 2=2 ma il secondo membro dell’uguaglianza è diverso dal primo e non trattabile matematicamente. Che il problema non sia scientifico ma concettuale?
E’ ovvio che se postulo cose che non sono sostenibili non posso indagarle. E’ come tentare di dare una risposta intelligente ad una domanda stupida.
Poi che fai, ti definisci ateo o agnostico a seconda del dio che ti propongono? O non è piuttosto preferibile rimandare al mittente ogni affermazione non provata o provabile? Perché dovrei solo prenderla in considerazione? Specie se incoerente o contraddittoria?
E’ serio dire che gli elfi esistono ma solo quando nessuno controlla?
Sì è così, a seconda del concetto di dio che uno mi si propone posso essere definirmi agnostico o ateo. Ci fu anche un articolo sulle allora ultimissime che trattava la cosa. Con l’esempio del 2=2 sembravi aver capito, perché riproponi gli elfi? Più il concetto di un dio è dettagliato e mirabolante più aumenta la certezza di falsità, più è vago e tendente all’ordinario più mi sposto su posizione agnostiche, ovvero di irrilevanza conoscitiva, che non vuol dire prenderla in considerazione.
Riscrivo visti i refusi
Sì è così, a seconda del concetto di dio che uno mi propone posso definirmi agnostico o ateo. […]
(il resto continua uguale al messaggio precedente.)
@ Francesco S.
Non hai capito o non mi sono spiegato bene: l’esempio del 2=2 vuole essere una critica. L’affermazione non ha senso e va rigettata, questa mi pare la conclusione corretta, non la sospensione del giudizio.
Così come quella che affermasse o solo ipotizzasse la mera possibilità dell’esistenza degli elfi, ma solo quando non si controlla. Sospendere il giudizio o affermare l’inconoscibilità in queste condizioni è un imbroglio, non un’impossibilità tecnica.
Cambia elfi con divinità e il discorso non varia, non in virtù dell’oggetto in esame ma in virtù dei vincoli posti alla conoscibilità, siano essi pochi o molti, semplici o complessi. Sono assurdi, quindi tali vanno considerati. Non ha senso sospendere il giudizio, bensì giudicarli per come sono posti. Ripeto, è un errore concettuale, non una impossibilità conoscitiva.
Concordo con la posizione di Stefano. Quello che mi fa ritenere improponibile la posizione agnostica è che, sospendendo il giudizio, automaticamente si accetta la possibilità dell’esistenza di entità favolose. Si può obiettare che anche la scienza dell’atomo, la tecnologia digitale e tutto ciò che un paio di secoli fa non era minimamente prevedibile, ora è realtà; ma siamo sempre nel campo del reale, non si è scoperto ancora nulla che pensi, comunichi e abbia una volontà che possa dominare l’universo. Al confronto, i fantasmi fanno tenerezza.
@ francesco s.
@ Stefano tm
Scusate se mi intrometto, a proposito dell’inconoscibile
Cito questo passaggio di Spencer perchè… pur non essendo per niente d’accordo col suo pensiero politico e in generale col positivismo… trovo questa concezione dell’inconoscibile convincente, quale che fosse lo scopo di Spencer nel formularla (il mio dilettantismo filosofico mi permette queste estrapolazioni filologicamente non certo corrette 🙂 ):
“L’esistenza del mondo con tutto ciò che lo circonda è un mistero che sempre esige di essere interpretato, ed è qui che si incontrano scienza e filosofia. La nostra conoscenza è racchiusa essenzialmente nei limiti del relativo, come relativa è, nei confronti della realtà ultima e inconoscibile, la natura umana; ma pur senza giungere mai a conoscere ciò che è per la sua stessa natura l’inconoscibile, alla scienza umana è possibile muovere continuamente in avanti, attraverso una progressiva inclusione di verità generali in altre verità ancora più generali, e assumendo l’inconoscibilità della verità ultima nel senso positivo di una forza che, come si manifesta nell’evoluzione e nella natura, così stimola positivamente dall’interno il processo della conoscenza.”
Scusate. Come spesso mi capita faccio partire il post prima che lo completi e lo rilegga. Qui manca un mio commento, e vedo se posso rimediare.
(…) Mi sta bene – per lo meno in parte – questa formulazione di Spencer perchè accenna a due questioni:
l’identificazione dell’inconoscibile con ‘mistero’ (per altro così poco ‘positivista’) che aggiunge alla dimensione razionale una componente esistenzialistica; mistero che il pensiero umano inevitabilmente incontra quando cerca di spingersi il più lontano (o vicino?) possibile nel suo sforzo interpretativo del mondo;
e questo particolare passaggio, dove assume “l’inconoscibilità della verità ultima nel senso positivo di una forza che, come si manifesta nell’evoluzione e nella natura, così stimola positivamente dall’interno il processo della conoscenza.”
Come si può rapportare tutto ciò a dio e alla questione dell’agnosticismo e dell’ateismo? Sia nell’un caso che nell’altro credo si possa partire dall’esigenza di conoscere il senso ultimo di tutto ciò che esiste… e di fronte a questa esigenza si può reagire…
o ritenendola inutile, e quindi da tacitare, proprio in quanto’inconoscibilità’, per cui la risposta migliore è quella di attestarsi su un sano agnosticismo…
ma si può reagire anche mettendo l’accento sulla ‘esigenza’ ritenendola una sorta di ‘forza’ (come la chiama Spencer) che può portare alla ‘fuga nella trascendenza'(la risposta religiosa, fideisitica), oppure a rapportarsi al mondo vivendo questa esigenza come disattesa proprio quando si pretende di soddisfarla, con tutto ciò che comporta in termini di fuga dalla condizione umana, di alienazione, e di rifiuto della necessaria relatività della nostra conoscenza. Per me questo è propriamente ‘vivere da atei’ in quanto viene rifiutato ogni fideismo. Comunque si manifesti.
Non si può definire un’imbroglio la posizione agnostica nei confronti del panteismo, è un semplice posizione teorica che riconosce l’inconoscibilità dell’oggetto in questione, significa dire io non ci credo, ma non ho elementi e mai li avrò per un giudizio risolutivo perché siamo nel campo dell’inconoscibile.
@ Francesco S.
Non è un imbroglio la posizione agnostica, è un imbroglio qualsiasi affermazione che postuli inconoscibilità sulla base di criteri assurdi o ad hoc. In linea di principio, può esserci inconoscibilità di fatto (che so, non posso sapere cosa ha fatto Giulio Cesare il giorno del suo decimo compleanno alle 5 del pomeriggio, a meno che non ci sia un documento che lo attesti), ma non può essere postulata sulla base di criteri ad hoc (Giulio Cesare volava tutte le volte che qualcuno non controllava e mai quando qualcuno controllava). Porre così la questione è un imbroglio. Essere agnostici in merito al volo di Cesare – posto in questi termini – secondo me non è epistemologicamente corretto, ma non è un imbroglio. “L’imbroglio” è come è posta la questione e quindi essa va correttamente rigettata.
Allo stesso modo affermare che 2=2 ma il secondo 2 è diverso dal primo perché ha proprietà inconoscibili è un imbroglio. Come tale va rigettato.
Però stavo parlando della concezione panteista, non di cose palesemente contro natura. Al concetto di identificazione della natura con le sue leggi con la divinità io non riesco che opporre la tesi dell’inconoscibile, quindi “non ci credo perché non conosco e mai potrò conoscere”, ma non mi esprimo se non per dire che è inconoscibile. L’esempio di Giulio Cesare non è pertinente come avevo detto all’inizio concedo la posizione agnostica nel momento in cui il concetto della divinità non prevede eventi soprannaturali e descrizioni con un livello di dettaglio che le rendano falsificabili (in senso popperiano). Comunque a ripensarci anche l’esempio del 2=2 alla fine era in parte non pertinente, il panteismo non mi risulta che affermi che il dio coincida con la natura ma la natura è diversa dal dio, ma afferma proprio una coincidenza tra le due cose. Trattandosi di una questione inconoscibile proprio a monte mi pare che la risposta agnostica sia quasi spontanea.
Si tratta di una posizione agnostica forte, non c’è possibilismo, ma rifiuto a priori ad esprimersi sulla cosa ritenuta inconoscibile.
@ Francesco S.
Peggio ancora. Se esiste una esatta coincidenza tra le due cose dio e natura sono due diverse parole che hanno esattamente lo stesso referente. Di inconoscibile non c’è niente, Niente di cui essere agnostici, a meno che non si voglia esserlo della natura.
Stefano, scusa, secondo te su cosa si potrebbe avere una posizione agnostica?
Ma scusa ciò che è inconoscibile è proprio l’identità che propone il panteista, di quello stiamo parlando, credo.
@ Francesco S.
Ma che propone? Se dio è esattamente la natura – ogni elemento dell’insieme natura è elemento dell’insieme dio e viceversa – i due insiemi sono identici e coincidono perfettamente e dio è semplicemente un altro modo di chiamare la natura, come due è two in inglese. Ora se la natura è conoscibile lo è anche se la chiamo dio o pippo. E se non sono agnostico sulla natura non posso esserlo sulla stessa cosa chiamata in un altro modo. Che altro significa identità se non quello che ho detto?
Potrei essere momentaneamente agnostico su due ipotesi concorrenti che ritengo equiprobabili e ambedue provabili in linea di principio, non una costruita ad hoc affinché non lo sia. Che senso ha sospendere il giudizio se non posso mai scioglierlo?
@ Francesco S.
L’unica differenza possibile che posso immaginare non è di ordine concettuale, casomai di connotazione emotiva, aggiunta alla natura quando la denomino dio. Ma è un significato del tutto idiosincratico, che non merita alcuno status epistemologico degno di nota. Insomma non propone un bel niente.
È chiaro che non c’è nulla di epistemologico, stiamo parlando di una relazione dio = natura inconoscibile. Non si può mica parlare di epistemologia su come che sono inconoscibili. Non voglio sembrare ripetitivo ma è proprio la relazione di eguaglianza che è inconoscibile. Io mi chiedo che valore abbia un giudizio su una relazione che è inconoscibile. Parli di ipotesi come se stessimo trattando di proposizioni falsificabili, ma qui parliamo di opinioni sul noumeno e non del fenomeno. Tra l’altro la posizione agnostica ha senso nel momento in cui si parla di concetti non fenomenici e quindi di per se stessi inconoscibili, non ha senso parlare di agnosticismo nel caso di ipotesi falsificabili. Ne dedicò che per te l’agnosticismo forte non è applicabile mai alle opinioni su dio, neanche quelle panteiste.
Errata
Ne deduco …
La tastiera ha fatto danni.
@ Francesco S.
Se faccio un’affermazione su uno stato di cose in linea di principio devo poter determinare se essa è vera o è falsa, in base a criteri di verità o falsità. Se non posso farlo in alcun modo l’affermazione è semplicemente priva di qualsiasi contenuto epistemologico, non può definire alcuno stato di cose e quindi non ha senso sospendere il giudizio. Che senso ha fare tale affermazione e poi dire che in nessun modo si possa determinare se le cose stanno come affermato? Paradossalmente il primo agnostico dovrebbe essere chi fa l’affermazione, il che è semplicemente privo di alcun senso. Qui non si tratta di sospendere i giudizi, qui si rinuncia a priori a conoscere e a determinare come farlo in modo attendibile.
Che facciamo ci definiamo agnostici nei confronti di qualsiasi fantasia che postuli uno stato di cose con il corollario aggiuntivo che non si può sapere se le cose stanno come fantasticato e pretenda per ciò stesso di essere rispettabile? Ripeto è l’equivalente di fornire una risposta intelligente ad una domanda stupida. Significa nobilitarla, fornirle uno status che non merita.
Se qualcosa non ha contenuto epistemologico non può essere un’affermazione sullo stato di cose. Sarà un gusto, una speranza, una fantasia, un desiderio ma non un’affermazione su come stanno le cose. E non ha comunque senso definirsi agnostico nei confronti dei processi psicologici su elencati.
@ Francesco S.
No, non nel senso in cui l’ho esposta più sopra. È conoscibilissima. A meno che, lo ripeto, si possa essere agnostici nei confronti della natura. Se l’identità non è nel senso che ho descritto non è inconoscibile: è illogica.
Non ha senso dire che A è esattamente uguale ad A e allo stesso tempo dire che la cosa è inconoscibile. Nessun senso. Pretendere che ne abbia è un imbroglio.
Mi stai dicendo che quella affermazione è falsificabile? Mi spiegheresti come la falsificheresti? Il senso di conoscibile è quello.
Non è il panteista a postulare l’inconoscibilità dell’affermazione, il panteista sostiene che dio coincide con la natura, lui ne è convinto per lui questa è una conoscenza, è l’agnostico che gli risponde che la cosa non è conoscibile e quindi lui non si pronuncia, ma comunque non ci crede proprio perché inconoscibile.
Buona notte, devo staccare.
Il punto è che il panteista vede un ente metafisico, una sorta di coscienza cosmica, nella natura. Agente o no, non è questo il punto. Che è poi il fondamento di qualunque religione perché assume che oltre al corpo l’uomo possieda anche uno spirito metafisico. Stefano parte invece dall’assunto che tu sintetizzi sopra, e cioè che Dio=natura; l’equazione non funziona così, funziona se la facciamo diventare Dio:natura=anima:corpo. Infatti io concordo con quanto dici tu sull’agnosticismo, nel senso che siamo tutti a-teisti, per dirla con Cliteur (il suo libro è in vendita edito da Nessun Dogma 😉 ), perché semplicemente rigettiamo una visione teista del mondo, ma al tempo stesso siamo anche agnostici in proporzione variabile, perché poi l’agnosticismo va anche oltre la religione. L’insegnante di matematica di mio figlio, che non perdeva mai occasione per tirare fuori l’argomento religioso con me nonostante a me non fregasse nulla di affrontarlo con nessuno a scuola e tantomeno con lui, si definiva un agnostico teista. A me sembra un ossimoro, ma non ho approfondito perché non mi interessava il personaggio e comunque poi ognuno si definisce come vuole lui.
@ Francesco S.
Francesco, come fa a saperlo? In quale modo lui è in grado di dire che due cose identiche sono in qualche modo diverse *) tanto da postulare un’equivalenza inconoscibile? Ora, delle due l’una: o il panteista condivide gli ordinari criteri di accertamento della verità e quindi, come ho detto non dovrebbe fare l’affermazione o se la fa dovrebbe spiegare quali sono i suoi metodi per farlo e spiegare quali garanzie diano di azzeccarci. Se non lo fa non ha senso essere agnostici nei confronti di quelle affermazioni, equivale esserlo sul suo metodo di accertare la conoscenza. Non si può essere agnostici sulle sue conclusioni prima che sul suo metodo. Farlo significa accettare un imbroglio e astenersi dalle conclusioni che ne derivano. Il che per me è puro non senso. Oltre ad essere anche illogico, come ho spiegato più volte sopra.
Uno non se ne può uscire con conclusioni che vengono fatte in spregio alla logica e a qualsiasi metodo validato di accertamento delle conocenze e concedersi pure il lusso che qualcuno sospenda il giudizio su quel che fa. Lo ripeto, è del tutto equivalente al tentativo di rispondere in modo intelligente ad una domanda stupida. La nobilita inutilmente.
Occorre smascherare l’imbroglio, non astenersi dal giudicare la conclusione.
*) se non lo sono, diverse, non c’è niente di inconoscibile.
@ Francesco S.
@ Massimo
Il mio punto è che se qualcuno non mi dice come sa qualcosa o se usa metodi che non danno alcuna garanzia sulle conclusioni non ha alcun senso essere atei sulla trinità e agnostici sul panteismo. In tutti e due i casi qualcuno afferma uno stato di cose senza spiegare come fa a saperlo e se il suo modo di saperlo discrimina tra vero e falso. Se in più aggiunge che è inconoscibile, ebbene per me questa è un’affermazione destituita di ogni fondamento, un vero tentativo di imbroglio, nei confronti del quale non ha senso sospendere il giudizio. Come ho detto sopra è corretto sospenderlo su una questione sulla quale non si hanno sufficienti informazioni, che però in linea di principio sono ottenibili, come, per esempio, l’origine della vita sulla terra.
Rigetto la conclusione che essa sia dovuta ad una divinità perché chi lo afferma non mi sa dire come fa a saperlo, come fa a sapere che esiste una divinità indipendentemente dal fatto che sia una presunta soluzione al problema dell’origine della vita, come fa a conoscere le proprietà di tale divinità e via fantasticando. Se il metodo che mi propone, che so, la fede, è dimostratamente inattendibile, non ha senso dirsi agnostici solo sulle sue conclusioni, che siano più o meno elaborate.
Secondo me sì, ce l’ha. Parliamo di probabilità che nel caso della trinità si riducono a mio parere a zero, perché la trinità è una cosa “definita” e arbitraria, mentre nel caso del panteismo sono un pelino sopra lo zero perché idea indefinita e astratta, quindi appena più plausibile. Ripeto: un pelino sopra lo zero, nel senso che io non giudico probabile l’esistenza di un Dio panteista, magari spinoziano, ma pur sempre maggiormente probabile del Dio teista che ha appunto probabilità pari a zero. Ancora più probabile l’esistenza di una o più dimensioni metafisiche in generale; io non ho motivo di ritenere che esista nulla del genere, lo giudico poco probabile, ma non lo escludo del tutto perché sono cosciente della limitatezza dei miei sensi umani. Più che “sospendere il giudizio” direi semplicemente che me ne frego e vivo come se tutto ciò non esistesse, perché so che non potrò mai avere la risposta (ma quante sono le domande a cui non potremo mai avere risposta?).
Ho letto tutti gli interventi relativi all’agnosticismo, ma evidentemente si muovono in un ordine di idee nel quale faccio fatica a riconoscermi dal momento che a me la questione si presenta con un’altra faccia, più semplice e più complessa al tempo stesso. Che comunque – per quel che può valere – è questa.
Parto da una domanda… la cui ragion d’essere è decisiva nel senso che la si può ritenere sensata, ragionevole, oppure insignificante o mal posta, nel qual caso non starebbe in piedi nulla di ciò che andrò dicendo, ogni risposta lascerebbe solo il tempo che trova. La domanda è: esiste o non esiste una dimensione della cosiddetta realtà… non tanto che possiamo immaginare nel senso di prefigurarcela… ma che invece di stare di fronte a noi e diventare oggetto di effettiva conoscenza, sta ‘dietro’, o ‘sotto’, di noi nel senso di determinare la nostra esistenza, e quella del mondo che ci rappresentiamo, della quale possiamo pensare – io dico proprio razionalmente – che esiste altrimenti non esisteremmo nemmeno noi, e della quale saremo sempre l’effetto e mai la causa? Quella che Kant chiamava ‘la cosa in sè’, cioè ciò che esiste al di là di come noi ce lo rappresentiamo. Fermo questo, quali sono poi i ‘nomi’ che, nella necessità di dare comunque una connotazione oggettiva a questa ‘cosa in sè, si sono escogitati? In sostanza due: Dio e Natura. Ma che conoscenza oggettiva possiamo avere di entrambe? Nella misura in cui dovrebbero rappresentare la ‘cosa in sè’, nessuna. Potremo sempre pensare che sono la causa della nostra esistenza, ma solo che ritenessimo di poterle anche raffigurare attribuiremmo loro una oggettività che può esistere come tale solo nella nostra mente. Si dirà che ciò potrà valere per Dio, mentre per la Natura si potrà ben parlare di oggettività… ma in realtà vale per lei ciò che vale per noi, pure noi natura, cioè che possiamo ovviamente fare l’esperienza di un’esistenza oggettiva, ma come puro dato, ‘dato’ però da chi o cosa impossibile da conoscere.
Ora, come ci si può rapportare di fronte a questo stato di cose? Non dare alcun peso alla questione in quanto, proprio perchè come tale nega la possibilità di ogni esperienza, da considerare quindi solo oggetto di speculazione fine a se stessa, di vuoto esercizio mentale… e qui ecco una prima accezione di ‘agnosticismo’ che personalmente chiamo ‘debole’. Se non posso mai fare l’esperienza di qualcosa, che la consideri esistente o meno, non ha alcuna importanza: la posso anche prendere in considerazione (Dio potrebbe anche esistere), ma detto questo è solo perdita di tempo provare a riflettere su cosa ciò potrebbe comportare per noi. Ma ci può essere anche un’agnosticismo ‘forte’ (che poi, per quanto mi riguarda, si identifica con l’ateismo), per cui questo non conoscere qualcosa che pure ritengo esista, può essere vissuto, certamente come limite conoscitivo in senso stretto, ma nello stessi tempo può essere vissuto come limite esistenziale, e in questo caso può diventare anche un’emozione, ciò che un’esigenza non soddisfatta sempre comporta. Del resto, conoscere, come esigenza di sapere… come testimoniano anche tanti scienziati impegnati a tempo pieno nella ricerca… ha sempre una forte componente emotiva. Si tratta pur sempre di ‘svelare un mistero’, per improprio che ciò possa essere proprio se riferito ad uno scienziato in quanto scienziato.
Allora Dio (o la Natura panteisticamente intesa)? Per quanto mi riguarda è oggetto di ‘agnosticismo forte’ (= ateismo)… e forte perchè implica ‘vivere’ un’esigenza sapendo di non poterla soddisfare, quella stessa che invece, alienando la propria umanità, il credente ritiene di poter soddisfare. Un ‘dio’ che non è solo quello delle religioni positive, modello per altro sommo, ma che è ‘presente’ in ogni comportamento fideistico.
@ Massimo Maiurana
@ bruno gualerzi
Massimo Maiurana
Bruno Gualerzi
Sarà forse una differenza di accento la nostra, ma proprio perché i sensi umani sono limitati esistono metodi che in qualche modo aiutano a andare oltre tale limitatezza e sono validati dai risultati. Al contrario non esiste alcun metodo che tenuto conto della limitatezza dei sensi umani e saltando a piè pari i metodi validati abbia mai dato prova di poter “includere” qualcosa. Proprio per questo, proprio perché tali “metodi” non hanno mai dato prova di “includere” alcunché, mi sento di escluderli, quelli e le loro conclusioni. E non posso rigettare i metodi e astenermi dalle conclusioni.
Che di esse me ne freghi in termini pratici, ateo o agnostico, è esattamente quel che ho scritto nel mio primo intervento.
Se una cosa non la conosco non la conosco. Fine. Può essere che, come dice Bruno, esista qualcosa che non siamo in grado di conoscere. Di ciò, però, non affermo o nego niente. Non posso proprio. Farlo è arbitrio puro.
Ma non posso affermare qualcosa, dire che è vera e allo stesso tempo non essere in grado di riferire come ci sono arrivato o che l’ho fatto con un metodo che non offre alcuna garanzia. E’ questo il punto. E’, in altri termini, ‘vivere’ un’esigenza (se la connotiamo emotivamente, o fare un’affermazione, se la connotiamo epistemologicamente) sapendo di non poterla soddisfare . E’ alienarsi, sia emotivamente sia epistemologicamente.
Con differente linguaggio concettuale, Bruno, sono quindi d’accordo con te, mi pare.
Flo
Probabilmente se cerchi in qualche blog che si occupa di geometria, potresti trovare l’intervista al triangolo. Chissà poi se le opinioni di un equilatero coincidono con quelle di uno scaleno?
Per l’intervista al passato, presente e futuro, abbiamo un Duca mago che potrebbe fare all’uopo…
Stefano TM
Francesco s.
ecc.
Penso che Stefano non riesca a spiegarsi con francesco s.
Per dare una mano io direi che, se interpreto bene la posizione di Stefano – che poi è anche la mia – che l’agnostico per essere tale accetta la petizione di principio del religioso che postula un dio inconoscibile, mentre stefano fa notare che postulare qualcosa che non si potrà mai verificare è un’affermazione che non ha senso e che allo stesso modo l’agnostico dovrebbe esserlo nei confronti di tutti gli spiriti delle varie religioni che prendono le anime e le portano nell’aldilà.
E’ proprio la formulazione del “ragionamento” che è viziata dal principio.
@Gianluca
No, perché questi sono come la trinità, sono stati concepiti arbitrariamente e dati per scontati, mentre le varie accezioni di panteismo o trascendenza sono mere ipotesi con non molte pretese. Poi vabbé, anche sul panteismo si può costruire una dottrina, e la rigetterei, ma sarebbe un’altra storia.
@Stefano
La spostano di poco però, non la annullano mica. E del resto come potrebbero. Bruno parlava di oggettività chiedendosi, giustamente, cosa sia realmente. L’oggettività è un concetto oggettivo o piuttosto relativo? Io direi la seconda, no? 🙂
@ Gianluca
Vedo solo ora il tuo intervento, purtroppo. E’ come scrivi tu.
@ Massimo Maiurana
L’oggettività sarà pure relativa ma è l’unico modo per poter condividere attendibilmente qualcosa dal punto di vista epistemologico e soprattutto il concetto funziona. Non mi risulta che esista altro con simili caratteristiche. Quindi, relativa o no, cambia niente. Il punto, mi pare, rimane questo. Che altro?
Riassumo:
– se esiste qualcosa di inconoscibile non sono in grado di fare affermazioni su esso, neanche sulla possibilità che esista una cosa del genere;
– chi fa affermazioni al riguardo mi deve dire come fa a farle;
– se il metodo che usa per farlo è inattendibile non ha senso astenersi dalle conclusioni;
– al momento l’unico metodo che ha garantito risultati epistemologici attendibili è l’uso della ragione;
– se questa ha dei limiti (e li avrà pure) mi si deve, paradossalmente, provare che esiste qualcosa che è in grado di evidenziarli in modo attendibile, non semplicemente postularli;
– il postularli non dà il diritto (epistemologico) di considerare giustificata ogni affermazione in violazione della ragione, sulla base di supposti limiti;
– se si ammettesse simile possibilità sarebbero indecidibili (se non per puro gusto o arbitrario desiderio) le affermazioni fatte in violazione delle regole.
Saluti
@Flo
Lunghezza, larghezza e altezza sono in relazione per il punto da cui nascono. E siamo a quattro elementi. Stai a vedere che questo tre non è poi tutta questa grande idea…
@ Florenskij
“Dato il perentorio titolo “L’Ateo” continuo a domandarmi e a domandare dove stia rincantuccciata la seconda “A” della sigla UAAR, ovvero “agnostici”; si tratta forse di atei potenziali o semipotenziali, non ancora pervenuti al giusto punto di cottura? ”
Come al solito proietti sugli altri (tanto meglio se sono ‘altri’ in tutto e per tutto, come gli atei), problemi e dubbi che in realtà sono tuoi, sono impliciti nella tua fede. Fede della quale, in quanto fede, non si deve dubitare, non si può dubitare, non si deve voler dubitare, col rischio poi magari di scoprirsi ‘agnostici’, e di vedere traballare le fondamenta su cui si è costruita tutta ‘un’esistenza, ma che qualche crepa qua e là finisce per presentare, anche se tenuta rigorosamente nascosta a se stessi…
ed ecco allora la classica via di fuga più o meno inconscia: i dubbi e i problemi sono ‘degli altri’, senza tener conto del fatto che – nel caso in questione – dubbi e problemi ci sono effettivamente, ma in quanto costitutivi di un modo d’essere che non comporta riferimenti a verità assolute che richiederebbero, appunto, di essere accettate per fede. Che ci siano atei che vivono il proprio ateismo fideisticamente (e ci sono) non significa che l’ateismo come tale esiga una fede… mentre un credente – può avere tutti i dubbi di questo mondo – ma se vuol rimanere credente, ad un approdo fideistico prima o poi deve pur pervenire.
Nell’acronimo UAAR non c’è nulla di ‘perentorio’, se non per quel che è implicito in un acronimo, tanto è vero che, da molti soci o simpatizzanti UAAR, non solo è messo in discussione il concetto di ‘agnostico’, ma anche quello stesso di ‘ateo’… e personalmente non mi sento a mio agio nemmeno a proposito del ‘razionalismo’ indicato dalla R ( preferirei semplicemente ‘razionale’) e aggiungerei una A per ‘anarchico’ (ma ci sarebbero troppi A – come negli annunci economici… e dovrei aggiungere anche ‘nonviolento’, cioè una N 🙂 ), mentre l’associazione come tale è impegnata espressamente a rivendicare riconoscimenti e diritti che dovrebbero essere propri di uno stato laico, secondo il dettato costituzionale. Se questo dettato venisse veramente rispettato, UAAR non avrebbe ragione di esistere.
In quanto all’agnosticismo ho espresso più volte il mio parere. Se per agnostico si intende non sapere se dio esiste, ma non se ne esclude la possibilità e quindi si è disponibili ad averne qualche ‘segnale’, credo che un agnostico di questo tipo si trovi in realtà nell’anticamera della fede, perchè qualora lo si desiderasse, un qualche segno della presenza di dio lo si trova sempre. Se invece per agnostico si intende non sapere se dio esiste, ma si ritiene che comunque non lo si potrà mai dimostrare razionalmente…. non è che non sia giunto ‘al giusto punto di cotture’ per diventare ateo… è già ateo di fatto. Seguendo un percorso specifico per giungere all’ateismo, e in genere… visto che non si potrà mai dimostrare l’esistenza di dio… non si ritiene rilevante impegnarsi più di tanto su questo piano, puntando invece a trarne soprattutto le conseguenze ‘pratiche’.
Naturalmente si tratta di una semplificazione, potendo in realtà essere compresenti tutti questi aspetti in una stessa persona magari in tempi diversi…. ma proprio per questo credo che meriti comunque, come dire, un A a parte.
E gli antiteisti dove li metti? UAAAR ti piacerebbe di più??
Non dimentichiamo gli anticlericali… UAAAAR!
Mi ripeto, discutere con il Florenskij è come giocare a scacchi con un piccione……
http://www.google.it/url?sa=i&rct=j&q=&esrc=s&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=0CAcQjRxqFQoTCK7C7YuDksYCFVQo2wodkEoAsg&url=http%3A%2F%2Fwww.centriantiviolenza.eu%2Filfemminismo%2Fpage%2F2%2F&ei=hPB-Va7wBNTQ7AaQlYGQCw&bvm=bv.95515949,d.bGQ&psig=AFQjCNE31OTtVihEwIT_IRPP9OLIQUGy3g&ust=1434468838727392
Scusate, il primo link rimanda a tutta la pagina questo è quello dell’immagine:
http://www.centriantiviolenza.eu/ilfemminismo/wp-content/uploads/2012/04/piccione_femminista.jpg
Secondo me il titolo della rivista “L’ateo” è poco felice, ma per motivi differenti da quelli che si potrebbero immaginare: proprio in quanto la definizione di “ateo” è soggetta a mille sfumature differenti.
Esattamente come la definizione di “agnostico”, la definizione di “ateo” risulta essere imprecisa e quindi fortemente criticabile, ma non bisogna dimenticare una questione fondamentale: l’imprecisione di queste definizioni origina direttamente dalle imprecisioni insite nelle definizioni di “dio”.
L’essere atei o agnostici dipende solamente ed esclusivamente dalla tipologia della divinità in questione che ci viene proposta (o imposta): ad un dio di tipo A, io posso conseguentemente rispondere di essere ateo al 100%, mentre magari ad un dio di tipo B, potrei rispondere di essere agnostico al 100%. Senza contraddirmi affatto. Con tutte le sfumature imprecise ed intermedie, con tipologie divine “DF284.1”, oppure “PZ441.4”, per le quali potrei allora essere –rispettivamente- ateo dal 26.39% al 88.28% (e agnostico per altri valori non necessariamente complementari).
Risulta pertanto completamente accademico discutere del come e perchè e quanto uno si definisca ateo o agnostico, o come e perchè l’altro sbaglia, come se fossero posizioni diametralmente opposte (che non sono affatto!). Discussioni accademiche che altro non fanno che provocare l’ironia o il sarcasmo dei vari cattolici o altri.
La questione, ancora una volta, e come sempre, va ribaltata verso di loro: al tizio che mi chiedesse (ma ormai purtroppo non ne incontro più da decenni…) “sei ateo oppure agnostico?”, io risponderei: “dipende da quale standard di dio stai considerando tu: parli del tipo WK802 oppure SD523?”.
Nel 99.9% dei casi, fateci caso, e perdonate la ripetizione, la definizione del dio del quale vi stanno parlando fa acqua da tutte le parti, per propria imprecisione. E quando una definizione non è chiara, allora nemmeno la definizione conseguente di ateismo o agnosticismo non potrà che essere oscura e nebulosa.
Ma si tratta di una conseguenza necessaria, una risposta nebulosa ad una domanda nebulosa.
In sintesi, con due esempi: al dio della Bibbia, onnipotente, onnisciente e onnibuono, rispondo con un ateismo al 100%, mentre all’esistenza di un mondo trascendente e non sperimentabile (tipo altri universi), devo rispondere con un agnosticismo al 100%.
Era questo che cercavo di spiegare a Stefano. Sinceramente poi cosa pensino i credenti delle discussioni tra non credenti mi interessa poco, fortunatamente qui non abbiamo o quanto meno non dovremmo avere tabù.
@ Francesco S.
Giorgio Pozzo
Francesco, io ho capito cosa stai cercando di dirmi ma non sono d’accordo. Nell’ultima risposta a Maiurana ho riassunto i motivi. Per quanto “basso” sia lo standard, come scrive Giorgio Pozzo, io chiedo come fa a sapere quelle cose chi le afferma. Quale il metodo con il quale è arrivato a quella conclusione. Mi interessa prima della conclusione. Se il metodo è inattendibile (palesi violazioni della ragione o del corpus di conoscenze disponibili, proprietà contraddittorie, inconoscibilità di principio (!)) la conclusione mi interessa poco e di sicuro non sospendo il giudizio. E farlo, francamente, mi pare scorretto.
Che eri in disaccordo s’era capito, d’altro canto non c’è un modo giusto e sbagliato di affrontare la cosa.
@ Francesco S.
E perché interverrei? 😉
e quel che spieghi lo ritieni giusto o sbagliato? 😉
In realtà si prova semplicemente ad affinare concetti.
Comincio a pensare che il termine “accademico” non sia propriamente quello che avrei dovuto utilizzare.
Certamente ogni scambio civile di opinioni è da perseguire, compreso quello sui termini citati. Però, quello che volevo sottolineare è che non ha molto senso considerare i significati di “ateo” e “agnostico” in assoluto, quando avulsi e distaccati da ogni definizione del “dio” al quale, di volta in volta, devono necessariamente fare riferimento.
Esistono migliaia di divinità differenti al mondo, e conseguentemente esistono altrettante possibilità di definizione di “ateo” e “agnostico”.
@ Giorgio
“Risulta pertanto completamente accademico discutere del come e perchè e quanto uno si definisca ateo o agnostico, o come e perchè l’altro sbaglia, come se fossero posizioni diametralmente opposte (che non sono affatto!). Discussioni accademiche che altro non fanno che provocare l’ironia o il sarcasmo dei vari cattolici o altri.”
Questo discorso varrebbe se definirsi ateo o agnostico significasse effettivamente ritenere che chi non è d’accordo con noi – credente o non credente che sia – sbaglia. Sarà perchè ho discusso nel merito con credenti particolari, ma non ho mai riscontrato nella risposta che davo alla loro domanda (“sei ateo o agnostico?”) del sarcasmo, a meno che il confronto non avvenisse già orientato in questo senso. In altre parole, non credo occorra molto per capire se la domanda è una reale richiesta di chiarificazione oppure un pretesto per sfottere quale che sia la risposta. Già si è discusso chissà quante volte sulla definizione di ateo, sulla sua possibile ambiguità, sulla sua genericità e quindi non adottabilità di fronte a ciò che dovrebbe significare, e non credo che riconoscere l’esistenza di più definizioni (non sto a ripetere qui la mia), o anche, appunto, della sua ‘utilità’ o meno, significhi creare confusione; credo al contrario che – come ogni confronto non strumentale – aiuti ad approfondire la questione. Per tornare all’interlocutore credente… se si tratta, che so, di Florenskij, non è difficile rimandare al mittente l’eventuale sarcasmo, magari con gli interessi. E il fatto che possa essere necessario chiarirsi a quale dio si faccia riferimento, non vedo perchè proprio ciò non dovrebbe costringere l’interlocutore a ‘scoprire le carte’, e come, in ogni caso, possa essere necessario come premessa ad una risposta… e non vedo – se ho capito bene – in cosa consisterebbe l’accademia. Sarebbe oltre tutto un modo per porre l’interlocutore di fronte alla dimostrazione che l’ateismo non è una religione con i suoi dogmi, i suoi testi sacri, i suoi ‘maestri’… a differenza della fede che invece lui professa.
Del resto, dovendo in ogni caso trovare un titolo per contrassegnare una rivista come L’ATEO, non credo siano emerse proposte alternative molto convincenti. Almeno per quanto mi riguarda e per motivi che non sto adesso a riprendere.
PS. Se poi intendi che impostare un confronto di natura puramente dottrinaria comporterebbe… qui sì… fare solo dell’accademia (v. per es. – lì ad alto livello 🙂 – il Cortile dei Gentili) sono perfettamente d’accordo, ma credo che proprio portando invece il discorso sulle interpretazioni personali, anche della stessa dottrina, sarebbe il modo per sfuggire all’accademia. O comunque l’unico praticabile.
Giorgio, chiedo scusa, ma sono stato depistato dal pezzo del tuo intervento che ho riportato, dal ‘sarcasmo’ che potrebbe provocare nel credente la disparità di definizioni di ateo o agnostico… creando così i presupposti del sarcasmo uguale e contrario dei non credenti di fronte, ad esempio, alle dispute trinitarie (v. il pezzo di Stefano Marullo su L’ATEO). Credo ti riferissi invece solo in seconda battuta a tale questione, mentre il tuo intervento verteva soprattutto sull’accademismo di un confronto nel merito operato tra atei (o agnostici). Precisato questo, ritengo però che la mia replica possa valere comunque, anche se indiretta e rintracciabile tra le righe.