Sull’onda delle manifestazioni del ’68, negli anni settanta la sinistra sembrava in ulteriore espansione. L’islam, al contrario, appariva una religione in crisi, identificata come la principale causa dell’arretratezza dei paesi del mondo arabo. Chi sperava di farli progredire diede vita a esperienze politiche di socialismo islamico: il nasserismo, prima e sopra le altre; il baathismo in Iraq e in Siria; ma anche la Libia di Gheddafi, quantomeno all’inizio. Vi fu persino un caso di comunismo arabo reale, lo Yemen del Sud: un comunismo senza ateismo di stato, coabitante con l’islam. Non sono passati secoli, ma poco più di quattro decenni. Eppure, ci sembra proprio un altro mondo.
Era un mondo pre-Thatcher e pre-Reagan, i due liberisti che mandarono al tappeto la sinistra. Un mondo pre-Khomeini: colui che cambiò non soltanto la storia del suo paese, ma anche quello della sua religione. La rivoluzione iraniana scoppiò contro un alleato delle potenze occidentali, lo scià, e diversi intellettuali occidentali cominciarono a fare il tifo per essa. Ma alcuni si spinsero oltre, e sostennero anche gli ayatollah: un esempio illustre di casa nostra Carlo Panella, allora in Lotta Continua, oggi invece berlusconiano (e anti-islamista). Non fu certo l’unico: la stessa posizione fu assunta anche da tanti esponenti della sinistra iraniana. Khomeini usò intelligentemente le loro aspirazioni per conquistare il potere, far nascere la repubblica islamica e silenziare ogni oppositore.
Colpo di grazia, nel 1989 crollarono anche il muro di Berlino, l’Unione Sovietica e i regimi che le erano alleati. A posteriori, si può dire che crollò anche la sinistra classica così come la conoscevamo. Nel comprensibile vuoto ideale che si creò negli anni seguenti, i dirigenti seguirono in massa la moderatissima terza via di Tony Blair; altri, molto meno numerosi, si raccolsero invece intorno ai centri sociali e nei network nati grazie a internet, dando vita a una nuova sinistra extraparlamentare. Più che nella società, avrebbe attecchito negli ambienti intellettuali. Uno dei pensatori che avrebbe conosciuto un considerevole successo sarebbe stato Michel Foucault, che qualche anno prima era tra coloro che inneggiava a Khomeini, e il cui pensiero è stato fatto proprio non soltanto a sinistra.
Nel giro di pochi anni, dunque, il panorama era completamente cambiato. I processi avviati allora sono giunti adesso a completa maturazione. E certi nodi cominciano a venire al pettine.
Soprattutto in Francia. Dove una sinistra divisa e litigiosa non ha al momento alcuna seria possibilità di arrivare al ballottaggio delle presidenziali 2022, dopo esserne già stata esclusa nel 2017. E dove il governo centrista comincia ad affrontare in maniera risoluta – forse anche troppo risoluta – la sempre più sfrontata sfida islamista. Macron si sta infatti rivelando una specie di estremista popperiano, energicamente deciso a non essere in alcun modo «tollerante con gli intolleranti» (sta infatti mettendo fuorilegge il movimento di estrema destra Génération Identitaire). Sulla stessa lunghezza d’onda, la ministra dell’insegnamento superiore, Frédérique Vidal ha voluto cogliere due piccioni con una fava e ha annunciato l’avvio di un’indagine per accertare quanto il mondo accademico sia “complice” di tale sfida. Senza dar luogo a fraintendimenti: «l’islamo-gauchisme è una cancrena della società nel suo insieme e l’università non ne è immune».
L’espressione ‘islamo-gauchisme’ non è ovviamente molto usata né a sinistra, né nelle comunità islamiche, perché evidenzia una congiunzione tra i due ambienti e ne sottintende l’alleanza. Non è certo adeguata a definirne il perimetro: tutto l’islam? tutta la sinistra? Dove si colloca, secondo la ministra, il confine tra l’empatia per i musulmani e il collaborazionismo con i jihadisti? Domande senza risposta, al momento. In ogni caso, rettori, docenti e ricercatori francesi sono immediatamente intervenuti per contestarla. Il Centro nazionale della ricerca scientifica ha sostenuto che l’islamo-gauchisme non è altro che «uno slogan politico che non corrisponde ad alcuna realtà scientifica»: affermazione a sua volta incoerente, perché l’essere uno slogan costituisce già di per sé una realtà scientificamente verificabile. Secondo un sondaggio, esiste ed è molto diffuso per il 59% dei francesi.
Nel mondo anglosassone non si usa ovviamente parlare di ‘islamo-gauchisme’, ma ‘regressive left’ occupa lo stesso campo semantico. Sarà un caso, ma pressoché contemporaneamente Boris Johnson ha presentato un’iniziativa legislativa per la libertà di espressione nelle università. Anche i rapporti tra politica e islam sono controversi, oltremanica, come ha ampiamente mostrato negli stessi giorni un episodio che ha suscitato un discreto scalpore. Nel programma radiofonico della Bbc Woman’s Hour la giornalista Emma Barnett, nota per il suo approccio molto diretto, ha intervistato Zara Mohammed, neo-eletta alla guida del Consiglio musulmano della Gran Bretagna. Le ha chiesto ripetutamente quante imam vi fossero nella nazione, senza però ottenere risposta – che probabilmente avrebbe dovuto essere «zero».
La trasmissione ha dato origine a una lettera di protesta alla Bbc sottoscritta da circa duecento personaggi pubblici, musulmani e no (numerosi i politici), in cui si sostiene che l’intervista è stata «sorprendentemente ostile». Il documento stigmatizza i pregiudizi anti-islamici e chiede maggior impegno a favore dei musulmani inglesi. La Bbc si è presa tempo per riflettere e rispondere, ma intanto ha già rimosso il tweet originale che conteneva un estratto dell’intervista. Scatenando ulteriori contestazioni dalla parte opposta.
Il problema sussiste quindi in paesi abbastanza diversi fra loro quali Francia e Regno Unito. Anche in Italia, in passato, ci sono stati eventi che hanno fatto altrettanto discutere. Lasciando da parte la recente e tristissima esibizione saudita di Matteo Renzi (che rientra semmai nel business as usual), Nadia Desdemona Lioce, una delle ultime terroriste di sinistra, affermò nel 2003 che gli islamici dovevano essere considerati «alleati naturali delle Brigate Rosse». Davide Piccardo, contiguo ai Fratelli musulmani, fu candidato con Sel alle elezioni comunali milanesi del 2011; nel 2016 Sumaya Abdel Qader, a sua volta vicina al movimento integralista, fu invece eletta con il Pd.
È dunque quantomeno accertato che vi sono politici di sinistra che intervengono a favore dei musulmani e musulmani che entrano in politica a sinistra. Del resto, difficilmente possono farlo nella destra, diventata ormai un deserto nazionalista-cristiano. E il mondo accademico non è certo immune da tale meccanismo. Anzi: ha (giustamente) l’ulteriore vantaggio di non essere sottoposto al vaglio degli elettori.
Che esista una sintonia tra ambienti culturali della sinistra e l’islam radicale è peraltro un dato di fatto, come denuncia da tempo chi in Francia si definisce di «sinistra repubblicana», «universalista». L’esempio più illustre è rappresentato dal giornalista Edwy Plenel, fondatore del sito internet Mediapart, che nel 2014 ha scritto un libro intitolato Pour les musulmans e che dieci giorni dopo la strage del Charlie Hebdo partecipò a un evento insieme al controverso teologo Tariq Ramadan (la cui cattedra a Oxford era stata pagata dal Qatar). Plenel, che tra l’altro dirige un master di giornalismo all’università di Montpellier, è uno dei più infaticabili denunciatori dell’islamofobia contro i musulmani.
Un altro rappresentante, conosciuto anche da noi per i contributi pubblicati da Internazionale, è il sociologo franco-iraniano Farhad Khosrokhavar. Che va oltre Plenel, denunciando frequentemente anche il «fondamentalismo laico» di chi critica l’islam e «l’oppressione» di cui sarebbero vittime i musulmani francesi, che a suo dire accelererebbero la diffusione delle idee islamiste. Un suo articolo, pubblicato da Politico subito dopo l’assassinio di Samuel Paty, attaccava fin dal titolo La pericolosa religione francese della laicità: è stato poi sommerso dalle critiche (anche dello stesso Macron) e quindi ritirato dalla testata perché, ha scritto il direttore, «non assicurava i nostri standard editoriali».
L’accusa di ‘islamofobia’ può comportare la cancellazione di eventi universitari, come è capitato all’esperto di radicalizzazioni Mohamed Sifaoui. La presentazione del libro di Charb, il direttore del Charlie Hebdo che fu ucciso nella strage, è stata vietata a Lille e si è svolta sotto protezione della polizia a Parigi. Anche in questo caso, quanto accade in Inghilterra è sorprendentemente simile. Maryam Namazie, leader degli ex musulmani britannici, è stata inizialmente censurata all’ateneo di Warwick, ed è stata aggredita e minacciata di morte durante una conferenza in un’università a Londra.
Si capisce quindi perché siano i rispettivi governi, non certo progressisti, e non i vertici degli atenei a battersi (quantomeno a parole) per la libertà di espressione. I docenti e gli studenti non devono certo essere censurati, ma lo stesso non deve capitare a chi critica l’islam (o qualunque altra religione), né si devono diffondere l’autocensura e l’omertà, né si deve pensare che vi sono programmi di ricerca esenti da critica (magari finanziati da stati esteri interessati e ben poco democratici). Le università devono insegnare e praticare il pluralismo, e devono farlo alla luce del sole.
Peraltro, l’accusa di ‘islamofobia’ è spesso arbitrariamente appaiata a quella di razzismo. Ma Sifaoui e Namazie non possono certo essere accusati di razzismo, così come altri critici britannici dell’islamismo quali Trevor Phillips e Majid Nawaz, che per soprammercato è a sua volta musulmano. In quanto riformista è però finito comunque nelle blacklist dei killer jihadisti. La critica dovrebbe rappresentare un prerequisito per qualunque riforma dell’islam: negarla, significa dunque non volerla. Ma, come ha scritto Kacem El Ghazzali, chi da posizioni liberal o progressiste lancia accuse di ‘islamofobia’ contro chi denuncia gli integralisti islamici, si guarda bene dall’adottare la stessa posizione nei confronti degli integralisti cristiani. E dire che l’accusa di ‘islamofobia’, a differenza di quelle di ‘islamo-gauchisme’ o di ‘sinistra regressiva’, è decisamente più pericolosa.
Curiosamente ma non tanto, i due fronti brandiscono un’espressione ma rifiutano l’altra. Capita, nell’epoca delle identità sbandierate. Il problema è che gli esseri umani (e le organizzazioni in cui si uniscono) hanno molte identità, e assumere certe posizioni anziché altre finisce quindi per definire quale delle diverse identità è ritenuta prioritaria. Per la deputata inglese Naz Shah, per esempio, è sicuramente quella musulmana. Favorevole ai tribunali islamici, qualche anno fa propose di ricollocare Israele negli Stati Uniti. Ciononostante, in seguito fu nominata ministro-ombra laburista alle pari opportunità. Sorprende che abbia sottoscritto la lettera di protesta alla Bbc? No. Sorprende semmai che sia ancora una leader laburista. Anzi, forse nemmeno questo sorprende più.
Eppure, non dovrebbe essere così strano che, in un programma dedicato alle donne, si domandi quante donne svolgono (se lo possono svolgere) un certo incarico. A bocce ferme, se non conoscessimo di quale incarico si tratta, lo definiremmo persino un atteggiamento progressista. Come ha sottolineato Kenan Malik, sostenere che «i leader musulmani non devono essere sottoposti alle stesse crude domande di chiunque altro è difficilmente un buon argomento in favore delle pari opportunità». Ma una corrente consistente della sinistra non si riconosce più in tale scopo, se coinvolge una religione di minoranza. Non è più per l’emancipazione di tutte le donne ma per il sostegno all’hijiabizzazione di quelle musulmane, che fu il provvedimento centrale della politica khomeinista e che ovunque è l’obbiettivo numero uno di tutti gli islamisti, sciiti o sunniti che siano. Non più per la libertà di espressione, ma per il politicamente corretto. Non più per la laicità, ma per la deroga al principio di uguaglianza e per la concessione di privilegi comunitaristi. L’incondizionato sostegno alla causa palestinese la porta a sostenere gli estremisti di Hamas, e pazienza se i laici palestinesi sono costretti al silenzio o all’esilio.
Scale di priorità, appunto. C’è una scala di priorità anche quando si decide di non attaccare l’islam per non fare il gioco dell’estrema destra, anche se così facendo si rischia di cadere dalla padella fascista alla brace islamista – perché entrambe sono ideologie di estrema destra. Non sono caratteristiche ristrette alla sinistra alternativa: sono ormai tipiche anche di quella parlamentare e persino degli stessi liberal, se è più facile entrare nel Congresso Usa da musulmani che da atei. È una sinistra nuova, diversa da quella a cui eravamo abituati negli anni settanta. A occhio e croce, sta vincendo a mani basse contro quella “vecchia”. Ma soltanto contro di essa.
Se la priorità è la laicità, non fai sconti a nessun politico e a nessuna religione. Se è la politica, è comprensibile che per raggiungere i tuoi fini preferisci accantonarla, facendo piazza pulita della tua storia. Resta il fatto che la rimozione di un problema non è mai la soluzione del problema: al contrario, rappresenta un ulteriore problema da risolvere. La storia insegna che, se scegli questa strada, stai sottovalutando gli effetti collaterali. Come la sinistra iraniana ha tragicamente sperimentato sulla propria pelle.
Raffaele Carcano
Le sinistre sono masochiste. Quelle italiane sono clericali, pietiste, immigrazioniste e filo-islamiste (figuriamoci). Una lagna totale, tutto fumo e niente arrosto per i diritti delle classi medio-basse e per l’estensione dei diritti civili.
Sarà interessante vedere se in Francia la misura è colma e quanto l’esecutivo incarica riuscirà a contenere i presunti diritti dei clericali islamisti.
Articolo preciso e necessario, prendere atto del problema e denunciarlo sono il primo passo per affrontarlo.
Grazie anche a nome del circolo UAAR di Salerno
La storia si ripete con una monotonia allucinante.
Nel ’39,quando dopo l’invasione della Polonia i governi anglofrancesi dichiararono
guerra alla Germania (in realta senza intenzione di farla davvero e sperando in una nuova Monaco)i comunisti francesi si schierarono in blocco dalla parte del nazismo,incitando i militari alla diserzione .
L’idillio in corso tra Stalin e Hitler aveva reso quest’ultimo al disopra di ogni critica.
Un atteggiamento che duro’ fino all’attacco nazista all’URSS,nemmeno l’invasione della Francia gli era bastata.
L’attuale idillio tra sinistre e islam e’ del tutto analogo.
“Non pensavamo che la rivoluzione si sarebbe trasformata in un incubo islamista”.
Gli attivisti di Tudeh, il Partito comunista iraniano, erano al fianco degli islamisti 40 anni fa. Oggi il nome del partito è tabù in Iran.
In un intervista al giornale libanese francofono ” L’ Orient-Le Jour ” un ex studente che manifestava contro lo shah piu di 40 anni fa raconta che a manifestazione di ca15 000 studenti, gli islamisti erano al massimo 500 persone e nessuno gli prendeva sul serio …!! Quando però l’ Ayatollah Khomeyni prese il potere, fece massacrare o mettere in gallera migliai e migliai di comunisti . Altri fuggirono all’ estero, molti in Francia con l’ appoggio di Mitterand .
Un esempio un po simile si puo anche prendere con Anwar Al Sadat in Egitto che fece uscire di galera gli Fratelli Musulmani, che Gamal Abd El Nasser aveva fatto incarcerare . Anni dopo l’ ammazzarono .