Non solo clericalate. Seppur spesso impercettibilmente, qualcosa si muove. Con cadenza mensile vogliamo darvi anche qualche notizia positiva: che mostri come, impegnandosi concretamente, sia possibile cambiare in meglio questo Paese.
La buona novella laica del mese di marzo è l’approvazione alla Camera della riforma sul fine-vita, con la proposta di legge con relatori Alfredo Bazoli (Pd) e Nicola Provenza (M5S) per consentire il suicidio assistito in base alle linee tracciate dalla Corte costituzionale nel 2019. L’aula ha respinto i tentativi del centrodestra di affossare la legge, con 253 voti a favore dalla maggioranza e 117 contrari, e un astenuto. Il centrodestra è deciso a limitare la portata della norma, sebbene già in sede di Commissione siano stati fatti compromessi su insistenza di ambienti conservatori e dei vescovi. Sono comunque da segnalare alcuni suoi esponenti che si sono espressi a favore, tra cui sei deputati di Forza Italia e cinque di Coraggio Italia. Il deputato Elio Vito (Forza Italia) si è espresso con fermezza in aula contro gli emendamenti peggiorativi. La palla ora passerà al Senato, ma a data da destinarsi. E si esprime già preoccupazione per i numeri più risicati: lo stesso presidente della Camera Roberto Fico (M5S) ha richiamato il Parlamento ad «assumersi le proprie responsabilità affrontando anche i temi etici e dando risposte ai cittadini». Anche per il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà finalmente la politica «si rimette in sintonia con il paese». Esultanza anche dal segretario Pd Enrico Letta e dal capogruppo Leu Federico Fornaro. Dal canto suo il dem Graziano Delrio ci ha tenuto a precisare che la norma non intende far passare l’eutanasia, smentendo le paure del centrodestra. E il Movimento 5 Stelle auspica che questa riforma non faccia in Senato la stessa fine del ddl Zan.
Per l’otto marzo l’organizzazione integralista no-choice Pro Vita & Famiglia ha pensato bene di far affiggere a Roma dei manifesti con lo slogan «Potere alle donne? Facciamole nascere!». Ma l’assessora alle Pari opportunità della Capitale, Monica Lucarelli, ha deciso di farli rimuovere per la carica intimidatoria nei confronti dei diritti delle donne. È stata sommersa da insulti sui social, tanto che diversi politici le hanno espresso solidarietà. Claudia Pratelli, assessora romana per Scuola, lavoro e formazione, ha ricordato che «la 194 è una legge dello Stato che sancisce il sacrosanto diritto delle donne di interrompere una gravidanza. La provocazione dei manifesti apparsi in città fa il paio con i messaggi rivolti sui social all’assessora: in entrambi i casi assistiamo ad una offesa di stampo sessista, contro le donne e la loro libera scelta». La presidente dell’Assemblea Capitolina Svetlana Celli ricorda che i manifesti sono «chiaramente contrari a quanto previsto da un regolamento comunale sull’esposizione pubblicitaria che impedisce messaggi sessisti e lesivi della dignità». Anche Flavia De Gregorio, capogruppo della lista Calenda a Roma, esprime solidarietà.
La laicità è un principio che viene talvolta citato – a sproposito, per premurarsi di edulcorarlo in maniera “sana” – ma di fatto poco valorizzato e ancor meno condiviso nell’agone politico. Per questo è il caso di segnalare la presa di posizione della parlamentare Barbara Masini: «La laicità dovrebbe essere un faro dell’attività democratica, pretendere di poter decidere quale sia il giusto posizionamento dei laici è presuntuoso. Il centro che serve all’Italia deve essere liberale e riformista, non per forza cristiano». Da considerare che Masini, ora nel partito Azione di Carlo Calenda, è lesbica dichiarata ed è uscita da Forza Italia in polemica con l’accanimento delle destre contro i diritti delle persone lgbt e l’approvazione del ddl Zan.
Il diritto di accesso all’aborto non è ancora del tutto garantito in diverse zone d’Italia, anche a causa dell’obiezione di coscienza dilagante. A Orvieto (TR), evidenziando le carenze esistenti, il consigliere Federico Giovannini del Partito democratico ha presentato una mozione in Consiglio comunale per impegnare sindaco e Giunta ad attivarsi per la somministrazione della pillola abortiva negli ospedali della zona, nonché la «laicità dei consultori», campagne di educazione sessuale, accesso gratuito alla contraccezione. La mozione è stata però bocciata, con otto contrari e tre a favore. Ciò ha destato la protesta del coordinamento locale della Cgil: «La decisione assunta a maggioranza dal consiglio comunale non solo cancella di fatto anni di lotta per il diritto all’aborto, ma travisa e disattende la stessa legge 194». Il sindacato denuncia che da anni il consultorio è «un servizio ormai depotenziato e sconosciuto soprattutto agli e alle adolescenti», tanto che mancano interventi degli operatori nelle scuole.
Nel nostro paese manca ancora una legge di civiltà che garantisca la registrazione, come figli di entrambi i partner, dei bambini che crescono in famiglie omogenitoriali. Diversi Comuni in questi anni si sono quindi prodigati ad effettuare registrazioni anagrafiche per riconoscere entrambi i genitori. Come quello di Torino, dopo la decisione dell’ex sindaca 5 stelle Chiara Appendino nel 2018. L’attuale primo cittadino, Stefano Russo, si è però visto recapitare una lettera dalla Prefettura che intima di fermare tali registrazioni. Il sindaco ha deciso quindi di sospenderle in via cautelativa e in attesa del pronunciamento della Cassazione, dicendosi «molto amareggiato». «Dietro le leggi», ha ricordato, «ci sono sentimenti, persone, bimbi, storie personali. È iniquo che un cittadino, a seconda del Paese in cui nasce, abbia diritto o no, è una violenza ed è su queste cose che si fonda l’unità di un continente». L’assessore ai Diritti Jacopo Rosatelli ha assicurato che le 70 registrazioni già effettuate non saranno revocate. L’amministrazione di Torino ribadisce la necessità di una legge inclusiva. E la questione arriva in Parlamento. Il deputato Davide Serritella (M5S) parla di «terribile passo indietro»: «sarà mia premura capire in che modo sia stata maturata tale decisione e sostenere una battaglia che vede coinvolte le sensibilità di famiglie e bambini». Marilena Grassadonia, già presidente delle Famiglie Arcobaleno, come responsabile Diritti e Libertà di Sinistra Italiana rilancia, promettendo l’impegno per una norma: «è necessario e urgente che il Parlamento si assuma la responsabilità di legiferare per garantire pari diritti e tutele ai figli e alle figlie» delle coppie omogenitoriali. La capogruppo Pd in Consiglio comunale, Nadia Conticelli, concorda su una riforma: «serve una legge sui figli delle coppie dello stesso sesso e serve una legge sui matrimoni».
Ma in generale, quello che manca in Italia è una norma sul matrimonio tra persone dello stesso sesso, che garantisca pieni diritti e doveri alla coppia e tuteli i figli. La senatrice Alessandra Maiorino, coordinatrice del comitato Politiche di genere e diritti civili del Movimento 5 Stelle, ha avviato un «percorso condiviso» con le associazioni lgbt per un testo che segua le indicazioni delle Consulta. La proposta di legge è stata presentata proprio il 31 marzo in Senato, nel corso di una conferenza alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Presenti per i saluti istituzionali la presidente del gruppo M5S in Senato Mariolina Castellone e l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino, nonché per gli interventi anche il presidente onorario di Arcigay Franco Grillini. Proprio Grillini aveva presentato nel 2002, quando era parlamentare, una proposta di legge per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, che però non venne mai calendarizzata. Maiorino ha chiarito, in merito alla sua recente proposta, che «viene previsto in questo testo anche il riconoscimento delle adozioni dei figli, ovvero tutti i diritti di cui oggi godono soltanto le coppie con coniugi di sesso diverso». E conclude, riferendosi all’iniziativa passata di Grillini: «sono passati vent’anni e sarebbe ora di approvarla perché nell’Europa occidentale siamo rimasti solo noi senza».
Dal canto suo il Partito Gay di Fabrizio Marrazzo ha lanciato il comitato “Sì Matrimonio Egualitario”, con l’obiettivo di raccogliere le 500 mila firme necessarie per un referendum volto all’abrogazione parziale della legge sulle unioni civili, nelle parti che le differenziano dal matrimonio. Una proposta che però ha raccolto solo 10 mila sottoscrizioni e desta perplessità tra le associazioni gay e in particolare nel Pd. Molto critica la promotrice della legge sulle unioni civili, Monica Cirinnà, che parla di «bluff». Ad appoggiare l’iniziativa però alcuni parlamentari, come il dem Tommaso Cerno, il forzista Elio Vito e le senatrici Maiorino (M5S) e Barbara Masini (Azione). Sebbene i tempi siano lunghi e ci siano forti dubbi che possa passare il vaglio della Corte costituzionale, anche venissero raccolte sufficienti firme.
Sempre sul fronte delle discriminazioni verso le persone lgbt (e non solo). La Congregazione per l’educazione cattolica del Vaticano, che controlla le scuole e le università confessionali, ha ribadito nelle linee guida la possibilità di sanzionare e nel caso licenziare insegnanti che non si attengono alla dottrina religiosa. A rischio anche le persone omosessuali, o dai comportamenti giudicati “immorali” (in termini affettivi, ad esempio conviventi o separate). Quelle scuole che, sulla base della nostra inchiesta sui costi della Chiesa, ricevono circa un miliardo di euro in fondi pubblici. Di fronte al silenzio pressoché totale della politica, da segnalare la presa di posizione di Possibile: si fa notare come tali disposizioni «non possono essere accettate né tollerate in uno Stato laico perché attaccano non solo i principi di non discriminazione ma anche la scuola nel suo insieme». Non a caso già la Cassazione, nel novembre del 2021, aveva confermato la condanna di un istituto cattolico per non aver rinnovato il contratto a una docente, a causa della sua convivenza omosessuale.
La redazione
A me la legge sul fine vita, non piace per niente. E meglio non avere niente.
L’obiezione di coscienza è intollerabile e tutti gli altri compromessi, la rendono una leggina per un paese piccolo piccolo. (Al convegno del 2019 ero presente e l’atmosfera, gli intenti e le speranze erano molto differenti).
Le scuole paritarie ricevono ben più del miliardo indicato di fondi pubblici, quella cifra supera 1.5 miliardi. Oltre ai 513 milioni standard dallo stato, ricevono sempre dal solo stato quest’anno ben 113 milioni per i ragazzi disabili (cioè 8000 euro extra ad alunno!), 60 milioni di buono scuola e 50 milioni per il covid. Quindi ai 730 milioni dal solo stato si aggiungono, secondo la stessa Cisl, circa 1 miliardo di fondi da regioni, province e comuni, come spesso abbiamo visto in vari contesti e che continuano ad aumentare. La sola regione Lombardia le finanzia per 45 milioni, a cui si aggiungono province e comuni. A questi vanno aggiunte le agevolazioni sui contratti (30 % in meno del pubblico, stipendi d’ingresso da fame, possibilità di utilizzare personale “volontario”) e sulle tasse.
Ed il bello è che continuano a piangere miseria, si lamentano di essere poveri e discriminati, di essere aziende in crisi, ma guarda caso durante la pandemia si è scoperto che sono ricchi proprietari immobiliari, cioè che hanno spazi e aule a disposizione: proprio la tipica situazione dei “poveri”.
Ed è curioso che spaccino come pluralismo l’appartenenza ad un’unica religione che fa regole severe proprio per impedire la libertà di pensiero, culturale ed educativa, rifacendosi ad uno stato non democratico e che dichiara apertamente di avere come scopo l’evangelizzazione, cioè vuole farsi pure pagare da tutti l’evangelizzazione. Interessi privati con soldi pubblici.
A da veni’ Baffone!!!!!!!!!!!!!!