Secondo Michael Tooley (Michael Tooley, 1983, Abortion and Infanticide, Oxford, Oxford University Press) le più accettabili teorie sull’aborto sono quelle più estreme. La teoria che attribuisce al concepito un diritto alla vita è, senza dubbio, una teoria estrema. Anche se non si dichiara direttamente sull’aborto, prende posizione su una questione che costituisce il cuore del dibattito sulla legittimità dell’aborto (e di tutte le tecniche che coinvolgono l’embrione): il problema della definizione di persona come titolare di diritti. Tutti i sostenitori della legittimità dell’aborto devono sostenere che persona si diventa ‘ad un certo punto’, e prima di quel punto, di quella soglia, è moralmente ammissibile intervenire per interrompere una gravidanza, dopo no, a causa del fatto che l’aborto si trasformerebbe nell’interruzione della vita di una persona, quindi in omicidio. Il problema della soglia è il problema di indicare una differenza moralmente rilevante tra i diversi stadi dello sviluppo di un essere umano, dallo zigote al neonato. […] La difficoltà di scegliere e di dimostrare la collocazione temporale di una soglia non indebolisce la distinzione tra pre-persona e persona. La difficoltà, se non l’impossibilità, di stabilire quando (l’esatto momento in cui) dall’infanzia si passa all’adolescenza o dalla giovinezza all’età adulta, rende la scelta del punto di passaggio arbitraria e non sostenuta da evidenze biologiche e psicologiche. Questa impossibilità non insinua comunque il dubbio o la tentazione di sostenere che non ci sia differenza tra uno stadio evolutivo e l’altro. […] La posizione di Tooley acquista vigore dal confronto con la dottrina che sostiene che si è persone fin dal concepimento, abbracciata ad esempio dai cattolici e dai conservatori. ‘Dal momento che esistono le persone umane – ciò è indiscutibile – o lo si è da subito oppure mai’, sostengono i fautori di questa teoria estrema della vita, trascurando di specificare almeno una premessa che renderebbe più comprensibile la suddetta affermazione: poiché non si verifica mai, nello sviluppo prenatale, un evento individuabile come cruciale per la trasformazione di un grumo di cellule in persona.[…] Tooley intende confutare la tradizionale obiezione etica contro l’aborto, che consiste nell’attribuzione di un diritto alla vita all’embrione e al feto (attribuire un diritto alla vita al feto determina, a seconda dell’assolutezza di tale diritto, la condanna di immoralità anche della sperimentazione embrionale, della diagnosi preimpianto che non sia meramente conoscitiva, della soppressione o della crioconservazione degli embrioni). Le questioni da discutere diventano quella di (1) quali proprietà deve possedere un organismo per avere un serio diritto alla vita, e (2) qual è il momento nello sviluppo di un membro della specie umana a partire dal quale si possiedono tali proprietà. In altre parole, cosa rende un organismo una persona e quando un organismo diventa una persona. […] La risposta di Tooley alla prima questione è il requisito dell’autocoscienza: “un organismo possiede un serio diritto alla vita solo se possiede il concetto del sé come soggetto continuo nel tempo di esperienza e altri stati mentali, e crede di essere una tale entità continua nel tempo”. […] Chiarita la natura del requisito dell’autocoscienza, Tooley afferma che l’embrione e il feto non posseggono un simile requisito, e quindi non godono di un serio diritto alla vita che deve essere tutelato; in altre parole, non sono persone. È evidente che non possa essere considerato come una persona nemmeno il concepito, e questo è quanto mi interessa sostenere in questa sede. L’onere della prova pesa, adesso, sulle spalle di coloro i quali intendono sostenere il contrario. (Per concludere il ragionamento di Tooley, la dimostrazione che il feto e l’embrione non sono persone rappresenta una potente difesa della libertà di abortire sulla base di un forte principio morale. Il carattere estremo della posizione di Tooley è determinato dal fatto che l’attribuzione di quelle caratteristiche di autocoscienza necessarie per l’emergenza della persona non sia contemporanea alla nascita, ma successiva ad essa: un neonato non può avere la capacità di desiderare di esistere come soggetto di esperienze ed altri stati mentali. Il fatto che l’attribuibilità dell’autocoscienza si manifesti solo in seguito alla nascita rende moralmente equivalenti il neonato e il feto per un certo periodo di tempo e moralmente ammissibili sia l’aborto che l’infanticidio. A me basta, lo ripeto, affermare che il momento dell’acquisizione dello statuto di persona non sia coincidente con il concepimento né con la fase iniziale della sviluppo embrionale, ma occorra in seguito.) […]
Il testo integrale del denso saggio di Chiara Lalli è stato pubblicato sul blog Bioetica