Dunque, a pochi giorni di distanza dal suo discorso di Ratisbona, Benedetto XVI ha dovuto chiedere scusa all’Islam, ai credenti dell’Islam, alle piazze dell’Islam. Il fatto è inaudito. Non era mai accaduto prima; mai un pontefice romano aveva chiesto scusa se non, nel caso di Giovanni Paolo II, per fatti accaduti molti secoli fa. Ma, a parte le scuse “politiche”, molte altre e assai importanti questioni restano aperte e meritano di essere discusse. […] Per conto mio, penso assai più semplicemente che a Ratisbona Benedetto XVI sia scivolato, né più né meno, su un errore di comunicazione. Anche un Papa è fallibile, indipendentemente dal dogma. Benedetto ha sbagliato dal punto di vista della sua Chiesa. Ha detto ciò che da un Papa non ci si aspetta. Ha messo in moto effetti più che spiacevoli. Ha fatto un involontario passo avanti sulla via dello scontro tra religioni. Ha infiammato la protesta e l’odio dell’Islam compattando i fondamentalisti con i moderati, i sunniti con gli sciiti, i musulmani arabi con quelli non arabi. È questo che voleva? Sicuramente no e le scuse offerte ieri lo provano. È stato frainteso? Probabilmente sì. Ma soprattutto ha incrinato l’oggettività della trascendenza. La sua univocità. Ed è questo a mio avviso l’effetto più grave. Non certo per chi non crede, ma per chi crede e su quella credenza – quale che sia – riposa. […] Diciamo che la razionalità di Dio è una conquista che da Girolamo arriva fino alla Scolastica dell’Aquinate e che rimane, con gli appropriati aggiornamenti, la linea della gerarchia e della teologia riconosciuta. Ma in che modo papa Ratzinger ripropone il Dio razionale? Nella “lectio” di Ratisbona la spiegazione è esplicita: il Dio razionale è il riflesso dell’uomo e il solo modo, o almeno il modo prevalente, attraverso il quale l’uomo può conoscere Dio. Da qui a concludere che Dio è una proiezione del pensiero dell’uomo il confine è sottilissimo. Per la seconda volta nello stesso luogo e nello stesso testo il Papa romano sfiora la soglia della miscredenza: l’immagine di Dio è soggettiva e non univoca; il Dio razionale si specchia nell’uomo e l’uomo in lui. Feuerbach era arrivato all’affermazione blasfema che la divinità è un’invenzione umana per dare un senso alla nostra vita e rassicurarci dall’incubo della morte. Benedetto XVI non arriva ovviamente a questo ma dissemina la sua “lectio” di tracce che portano verso quella direzione. Se questa è la sua apertura alla modernità, gli sia reso il merito d’aver scelto l’approccio più rischioso rispetto a quello assai più tranquillizzante della convergenza etica e della “buona” laicità. […] In questa visione rientra anche la condanna del “neo-darwinismo” in favore del “disegno intelligente” (ancora un aggettivo significante) che consegue però un effetto non trascurabile nella delicatissima zona del sacro: quello di allontanare il Creatore all’inizio della creazione affidandone l’evoluzione alla natura “intelligente”, cioè alla natura imbevuta dall’intelligenza del solo e trascendente “increato”. Gli interventi successivi sono affidati all’amore, all’agape signoreggiata dal Figlio, non a caso incarnato a misura d’uomo. Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo. Non c’è innovazione in questo pensiero ma semmai una dose di antropomorfismo che degrada il resto del creato ad un rango inferiore nel quale non c’è anima e non c’è, ovviamente, paradiso. Questa complessa e a suo modo grandiosa costruzione conferma la natura occidentale e soprattutto europea della visione religiosa di papa Ratzinger. Visione profondamente tradizionale, aggiornata e predisposta ad assorbire la modernità e, fortunatamente per tutti noi, lontana dalla tentazione teocratica prevalente nell’Islam. Nonostante le scuse diplomatiche di Benedetto XVI la “lectio” di Ratisbona rappresenta un colpo d’arresto al dialogo tra le religioni e il tentativo di imbrigliare la scienza, la filosofia, il discorso pubblico con la politica. Un appello identitario insomma, quello di papa Ratzinger. Né avrebbe potuto essere diverso. Nei confronti dell’Islam e delle altre religioni un errore di comunicazione, nei confronti dei laici, tutto secondo copione. La risposta da parte nostra non può che essere l’accettazione del dialogo che, per quanto ci riguarda, parte dalla considerazione che la fede è un fatto privato e non fa parte del territorio della ragione e della scienza, ma mantiene una dialettica giovevole sia alla religione sia alla scienza sia alla dinamica delle idee, contro il fondamentalismo da qualunque parte esso provenga.
Il testo integrale dell’editoriale di Eugenio Scalfari è stato pubblicato sul sito di Repubblica
Potremmo dire che la modernità, la globalizzazione mediatica, costringono il Papa a tenere il piede in due scarpe se non addirittura tre o quattro.