Nella galleria dei ladri di una città che pure ne ha inventati letterariamente di bellissimi, da Rocambole a Arsenio Lupin, questa famigliola dell’Eur-et-Loir impegnata a infrangere il settimo comandamento, confessiamolo, rischia di risultar simpatica, di commuovere. Creature borgesiane, hanno, forse senza saperlo, varcato la frontiera dove il reato, e succede per fortuna di rado, sfuma nella letteratura. Certo, e lo dirà anche il giudice prima di assestar loro senza attenuanti dotte la correzione severa di alcuni anni di segregazione cellulare: un furto è un furto.
Ma non ci serve da contravveleno rimontando nella aspra prosa dei verbali della direzione di polizia giudiziaria parigina la storia di questa mamma con i suoi due figli poco più che adolescenti. Che al mattino uscivano di casa, in banlieue, scegliendo come fondale ladresco non qualche centro commerciale ma il Père-Lachaise, l’artistico cimitero dove ogni vialetto è come una enciclopedia per ripassare le eccellenze indimenticabili dell’arte e della storia patria. Lasciatisi alle spalle gli aridi squallori dei falansteri «funzionali» inventati dai ben intenzionati architetti, i tre percorrevano le baroccherie di questo museo all’aperto, dove la sontuosità dell’arte funeraria è più forte perfino della morte. Ma il trio non era lì per sciacallare perfidamente e banalmente turisti e parenti dei defunti anonimi. Collezionava invece busti, statue, bronzi, rubava storia e immortalità.
Dove la trovate una galleria d’arte di 44 ettari, due secoli di celebrità una a fianco dell’altra, la più grande collezione di sculture all’aperto di Francia? Ci si smarrisce tra questi illustrissimi marmorizzati, si ha il malditesta. Ma un giorno un visitore attento si è accorto che nella tomba di Georges Bizet mancava qualcosa. L’omerica lira, la corona di alloro, compensi di una giovinezza troncata a 30 anni, erano ancora al loro posto. Ma il busto in bronzo del musicista non c’era più. Fu solo l’inizio. Scomparsa la memoria bronzea e severa di Antoine-Louis Barye, grande scultore ottocentesco. Trafugata quella di Paul Dubois, che ha portato l’arte funeraria ala perfezione. Decine le statue che mancavano all’appello, le tombe amputate.
Al comando della polizia giudiziaria nessuno aveva dubbi, tutta l’architettura della macchinazione ladresca risentiva della mano di qualche banda di specialisti: gente che ha gusto per il capolavoro da migliaia di euro, ha studiato il grimaldello, ma anche lo stile neoclassico. Turbava soprattutto una domanda: come fanno a portar via senza essere notati oggetti che pesano fino a un quintale?
Poi le segnalazioni hanno cominciato ad arrivate dagli altri cimiteri storici della capitale: Montmartre, Montparnasse, Vanves. Anche qui busti e statue a decine: qualcuno voleva farsi un Louvre cimiteriale! Nel trambusto non si sospettava di quella 50enne appassita scortata da due figli adolescenti che con frequenza si presentava a uno degli ingressi del Père-Lachaise. I guardiani ormai la conoscevano bene perché la donna a causa dell’obesità e della cattiva salute li pregava di lasciarla entrare con la vecchia auto rantolante per andare a pregare sulla tomba di un indimenticabile parente. Non sapevano che nel portabagagli con loro uscivano anche Bizet e Barrye. […]
Mamma e figli rischiano ora tre anni di galera, la pena normale per il furto cosidetto «semplice». La legge non ha tempo per i libri d’arte, non sa distinguere tra un Bizet in bronzo e un automobile. Provvederà a correggere l’errore l’indignato ministro della cultura Donnedieu de Vabres: sta scrivendo furiosamente una proposta di legge per aggravare le pene a chi ruba nei monumenti storici.