Marketing religioso tra influencer, culto dell’immagine e rapporto con il mondo dello spettacolo: quella di Scientology è una storia lunga settant’anni. Ne parla Micaela Grosso sul n. 2/2021 della rivista Nessun Dogma.
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All’età di sei anni ebbi un brutto episodio di otite che mi procurò dolori acuti per qualche tempo. Proprio in quel periodo a casa mia venne a cena una collega di mio padre. Questa signora, venuta a conoscenza del mio malessere, insistette per «provare a curarmi». Forse per l’imbarazzo di dover rifiutare la generosa offerta, forse per il loro algido e rispettoso ideale di ospitalità piemontese, i miei genitori non furono in grado di dire di no e la lasciarono fare. La donna venne dunque in camera mia e cominciò un rituale di guarigione nel quale mi toccava la punta del naso e mi chiedeva: «Lo senti il mio dito?» e io: «Sì». «Bene». Poi mi toccava il ginocchio, e ancora: «Senti il mio dito?», io: «Sì», «Grazie», e così via per circa venti minuti, su svariate parti del corpo, fino a chiedermi: «Hai ancora male?».
Quello che sapevo in anticipo, è che a prescindere dall’esito (nullo) di questo momento di estremo disagio avrei comunque comunicato il successo della “cura”, pur di cavarmi d’impaccio e di liberarmi delle attenzioni indesiderate.
Quello che non sapevo, ma che avrei scoperto in seguito, è che avevo appena avuto l’onore di assistere e di fruire di un pregiato rituale di Assistenza tramite tocco, una tecnica «basata sul principio che per curare qualcosa o porre rimedio a qualcosa bisogna mettere la persona in comunicazione con la cosa stessa». La signora era infatti una rigida osservante dei dettami di Scientology, della cui presenza invadente ci liberammo solo molto tempo più avanti quando, letteralmente dopo anni, smisero di arrivarci per posta inviti e volantini propagandistici. Una volta che si hanno contatti con la “chiesa” di Scientology (Cds), infatti, per esempio entrando in un centro Dianetics, si è costretti a lasciare il numero di telefono e i propri dati, e si sa che si verrà contattati direttamente dai volontari per ogni nuovo corso in partenza o per iniziative varie; si verrà braccati personalmente, chiamati per nome, con un’azione simile al rapporto che viene instaurato anche via mail dal personale addetto al recupero dei potenziali interessati, come se si trattasse di carrelli abbandonati in un e-commerce.
Al di là di quel periodo, in svariate altre occasioni mi è capitato e mi capita ancora di imbattermi in materiale informativo, proposte di test gratuiti sulla personalità, inaugurazioni di nuove sedi, seguaci sotto mentite spoglie, copie della rivista Freedom, post su Facebook e articoli sul web.
Sono certa che come me numerose altre persone siano venute a contatto, spesso più volte nella loro vita, con Scientology e con la sua aggressiva, bislacca strategia comunicativa. Oltre che con la pervasività (e perseveranza) dei metodi degli adepti, infatti, Scientology ha da sempre tentato di farsi conoscere con un diretto o indiretto favore mediatico.
Un’ampia esposizione al grande pubblico si è verificata con l’avvento di internet e in particolare nel 2008, con la diffusione di alcuni video in cui l’attore Tom Cruise, fedelissimo ai vertici della Cds, affermava di possedere poteri taumaturgici e propagandava i valori del culto. In quell’occasione, perfino il collettivo di hacker Anonymous si è esposto contro Scientology – che chiedeva la rimozione del video – fondando il progetto Chanology e compiendo una serie di attacchi informatici e di azioni volte a censurare la presenza della chiesa online. L’iniziativa si è ripetuta nel 2009, quando gli “hacktivisti” hanno indetto il concorso Scientology Sucks: A Contest, invitando gli utenti di internet a perpetrare scherzi e dispetti ai danni della Cds e offrendo loro in cambio cospicui premi in denaro.
Il mondo dello spettacolo e il glamour, in realtà, sono ambiti che hanno da sempre suscitato molto interesse in Scientology, tanto da spingerla a creare un intero ramo dell’organizzazione dedicato ai Vip, il Celebrity Centre International, volto ad avvicinarli, reclutarli, formarli, curarne e conservarne i rapporti come vantaggio per la propria immagine. A intuire i benefici della strategia di comunicazione fondata su quelli che oggi chiameremmo influencer fu L. Ron Hubbard, il fondatore di Scientology, che agli inizi della sua attività “religiosa” – è bene non dimenticare che Hubbard si dedicò alla “vocazione” solo dopo essersi affermato come scrittore di fantascienza e aver fatto convergere gli elementi tratti dai suoi scritti sci-fi e fantasy nella cosmogonia della Cds – inaugurò nel 1955 il Project Celebrity e scrisse: «If you bring one of them home you will get a small plaque as a reward». (Se ne porti uno a casa riceverai una piccola targa come ricompensa). Hubbard individuò perfino una lista di celebrità particolarmente appetibili cui dare la caccia nella quale, tra gli altri, figuravano i nomi di Marlene Dietrich, Orson Welles, Ernest Hemingway, John Ford, Pablo Picasso, Walt Disney, Groucho Marx, Arturo Toscanini, Bing Crosby e Greta Garbo.
Fin dai tardi anni ‘50, pertanto, Scientology ha annoverato tra le proprie fila diversi personaggi famosi: il pianista jazz Chick Corea; il cantante Al Jarreau, l’attrice Karen Black, il cantautore Leonard Cohen (che si riferì al culto nella canzone Famous Blue Raincoat), il cantante Van Morrison, Priscilla Presley e sua figlia Lisa Marie Presley, Il cantante Sonny Bono, l’attrice Elisabeth Moss, il criminale Charles Manson e diversi altri volti noti dello star system, reclutati dalla Cds anche solo per un breve periodo.
Tra i membri più fedeli c’è sempre stato John Travolta, che si avvicinò alla chiesa nel 1975 – si dice – quando sul set del suo primo film per il cinema, Il maligno, si sentì male e ricevette aiuto (la famosa Assistenza tramite tocco) dalla collega attrice Joan Prather, seguace della chiesa. È un sodalizio durato 45 anni, quello di Travolta e Scientology, che sarebbe terminato solo nel luglio scorso a seguito della morte della moglie Kelly Preston, a sua volta adepta. Travolta, in ogni caso, nel corso della sua carriera non ha perso occasione di ringraziare pubblicamente la Cds e di farne buona propaganda, recitando anche in Battaglia per la terra, film definito uno dei peggiori mai girati e, neanche a dirlo, basato su un omonimo romanzo di fantascienza di Hubbard.
Ultimo di una lunga serie di precedenti documentari di denuncia, nel 2015 la Hbo ha distribuito Going Clear – Scientology e la prigione della fede, bel film del regista Alex Gibney disponibile oggi su Netflix. Il documentario è ispirato al libro La prigione della fede. Scientology a Hollywood di Lawrence Wright, giornalista premio Pulitzer che ha riportato le parole e i turpi retroscena riferiti dal regista premio Oscar Paul Haggis, militante scientologist per 35 anni, oggi ateo.
La denuncia include interviste a diversi ex membri del culto, una tirata contro gli abusi fisici e psicologici perpetrati negli anni dalla Cds e un’accurata rassegna del suo rapporto con Hollywood e le celebrità in generale. Secondo Haggis, per tenerlo ancorato a sé la chiesa ricattava John Travolta, minacciandolo di diffondere un dossier contenente informazioni compromettenti.
Anche Tom Cruise, il membro più famoso e attivo, incessante fonte di visibilità e donazioni disinteressate, sarebbe stato ricattato e coinvolto nelle sordide faccende della Cds, e anzi ne sarebbe stato partecipe, organizzando punizioni corporali anche grazie al livello altissimo raggiunto nella gerarchia del culto – stando ad alcuni ex adepti, l’attore sarebbe addirittura considerato alla stregua di una divinità. Scientology si sarebbe poi inserita nelle pieghe della sua vita privata, cercando di danneggiare il matrimonio con l’ex moglie Nicole Kidman, considerata pericolosa per il culto, e caldeggiando l’unione con una giovane adepta, pronta a rivestire il ruolo di nuova compagna sostitutiva. La pervasività dell’organizzazione, molto attenta a sfruttare ogni pubblica occasione per farsi pubblicità, ha trovato il modo di cavalcare anche il matrimonio di Cruise con l’attrice Katie Holmes per plasmare il sentimento pubblico mostrando al mondo le proprie convinzioni, così come la nascita di Suri Cruise ha dato modo a Tom di introdurre la silent birth (un rituale che prevede che la madre, partorendo, non possa produrre lamenti o suoni per non inficiare la salute del nascituro causandogli traumi e dunque creando degli engram).
“Figlia d’arte” e longeva adepta è anche l’attrice Juliette Lewis, scientologist di seconda generazione e molto fiduciosa dell’utilità di un credo che «le è servito a tenere i piedi per terra», che trova «stimolante e intelligente» e del quale dice: «Technically it’s a religion, but it’s more broad-based than that. It brings in a lot of eastern-style philosophies and it gives you life tools. Simple stuff that deals with communication» («Tecnicamente è una religione, ma in realtà è qualcosa di più ampio. Riunisce molte filosofie in stile orientale e ti fornisce strumenti di vita. Roba semplice che ha a che fare con la comunicazione»).
È fuori da ogni dubbio che l’impianto comunicativo sia appunto centrale per Scientology e che la dimensione spettacolare, in grande stile, interessi molto l’organizzazione: perfino i suoi raduni, a detta del critico cinematografico del New York Magazine e di Vulture Bilge Ebiri, «look like Nazi rallies crossed with Hollywood awards shows» («Sembrano raduni nazisti incrociati con le cerimonie a premi di Hollywood»).
Sapere come competere, oggi, è molto importante, specie in una piazza in cui vi è un pluralismo di voci nel marketing religioso e della spiritualità in generale. Così, una piccola chiesa che ha ottenuto il riconoscimento da parte dell’Internal Revenue Service di piena esenzione fiscale e che ha avuto sin dall’inizio i mezzi per autopromuoversi con un’ottima capacità finanziaria, passa agli onori della cronaca come una grande e pervasiva comunità. Chi si informa, però, scopre che si tratta in gran parte di apparenza: nonostante l’organizzazione vantasse qualche anno fa di avere raggiunto circa otto milioni di seguaci, il numero si aggira realisticamente intorno ai 40.000.
In ogni modo, l’alacre attività di brand positioning non si è mai fermata e oltre al primo Celebrity Centre, fondato nel 1969 a Los Angeles, ne sono sorti diversi, nelle principali città del mondo – quello italiano è a Firenze; ben otto nuovi centri sono stati inaugurati soltanto a marzo 2020. Negli anni, Scientology si è dimostrata determinata a rimanere al passo con i tempi: ha fondato un proprio canale televisivo raggiungibile tramite un’app dedicata o attraverso Apple Tv, Direct Tv o Google Play; il canale è stato pubblicizzato con uno spot dall’intento virale trasmesso niente meno che al Super Bowl del 2018 e che ha totalizzato quattro milioni di visualizzazioni. L’esperienza replicava quella del 2013, quando per un precedente spot da 60 secondi trasmesso sempre al Super Bowl, la Cds aveva speso circa otto milioni di dollari.
Ancora nel 2018 ha inaugurato la Scientology Media Productions, uno studio di produzione definito «il centro delle comunicazioni di massa della religione», deputato «alla trasmissione di importanti buone notizie di vitale importanza per il mondo».
Si deve dare atto a L. Ron Hubbard e a tutta Scientology per l’intuizione: giocare la carta degli influencer ante litteram, flirtare con la cultura pop mirando all’emulazione e alla desiderabilità dei divi ha di certo regalato molta visibilità alla Cds. D’altra parte, come dichiarò lo stesso fondatore, «A culture is only as great as its dreams, and its dreams are dreamed by artists» («Una cultura è grande quanto i suoi sogni, e i suoi sogni vengono sognati dagli artisti»).
Non è tanto per le scelte operate da Scientology che viene da stupirsi, quanto per l’accoglienza che riceve. Fa ancora meravigliare come si arrivi, oggi e con i mezzi d’informazione disponibili, a farsi manipolare in questo modo. Se da un lato appare “normale” che un’associazione religiosa operi per costruire e consolidare una vera e propria brand loyalty, dall’altro viene da domandarsi come riesca tanta gente a non intravedere lo scopo manifesto dell’evangelizzazione e del lucro, a non accorgersi di essere il target dell’azione stessa di marketing.
Può davvero essere tanto facile raggirare persone che spesso hanno un livello di istruzione medio o alto, quozienti di intelligenza nella norma e mezzi del tutto idonei? Se si pensa al terrapiattismo, alle orde di cospirazionisti, ai creazionisti, agli esaltati seguaci di QAnon, non si può che riconoscere che la risposta sia naturalmente sì.
Purtroppo, Scientology ha ben compreso che l’onnipervasiva presenza delle celebrità nella cultura odierna, la loro copertura mediatica e la loro considerazione crescente quali modelli di comportamento cui ispirarsi avrebbe potuto contribuire all’imposizione – o almeno all’iniziale accettazione – del proprio sistema di valori. Un sistema che rischia, grazie alla pressione comunicativa e al conseguente effetto normalizzante, di risultare progressivamente familiare e dunque ammesso.
E ha operato di conseguenza.
Micaela Grosso
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