Carlo Augusto Viano è storico della filosofia e già docente universitario all’università di Milano e Cagliari, dal 2004 professore emerito a Torino. La sua attività di studio si concentra sulla logica e la scienza nel pensiero antico e in quello moderno, nonché sul rapporto tra etica e filosofia. Scrive importanti opere su Aristotele, John Locke e il pensiero illuminista. Attivo anche nel dibattito sulla bioetica, ha difeso le posizioni laiche di fronte alle ingerenze della Chiesa cattolica (si veda in particolare Laici in ginocchio del 2006). Il suo ultimo volume è La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi, pubblicato nel 2013 da Bollati Boringhieri.
Redazione: Il testo “incomincia con una vicenda americana, nella quale i membri di una setta relativamente tardiva del protestantesimo si rifiutano di imbracciare la armi, e finisce con il rifiuto di una parte di medici di offrire alle donne l’assistenza che esse richiedono”. L’arco temporale oggetto di analisi è però ben più ampio. Perché ritiene così importanti questi due estremi?
Viano: Ho scelto di incominciare con un episodio in cui l’obiezione di coscienza al servizio militare si manifesta in modo preciso, in una guerra che si potrebbe dire “popolare”, diversa da quelle indette da sovrani. In questa circostanza il rifiuto della guerra perdeva il carattere vago che aveva sempre avuto. Erano stati gli anabattisti e le sètte protestanti a professare il rifiuto delle armi, ma poi proprio questi movimenti si erano trovati impegnati in guerre di religione, intraprese per respingere l’oppressione religiosa, ma anche per instaurare nuovi regimi religiosi. Non a caso, nell’occasione sopra menzionata, la rinuncia alle armi veniva formulata dai quaccheri, una setta che, sviluppatasi quando le guerre di religione europee volgevano alla fine, si era diffusa nelle colonie inglesi in America. Qui quella rinuncia era presa sul serio e riconosciuta dalle autorità politiche e militari, perché i coloni americani avevano attinto ampiamente alla cultura religiosa che si era formata nel corso delle guerre civili inglesi, nella quale l’eredità dell’anabattismo era presente e i quaccheri avevano le loro radici.
Mentre in Europa non riceveva nessun riconoscimento, negli Stati Uniti l’obiezione di coscienza al servizio militare era ammessa, ma diventava difficile stabilire dove collocarla: nella costituzione, in leggi ordinarie, in regolamenti o in qualcosa che stesse al di sopra della stessa costituzione? Di fatto essa non entrò nella costituzione degli Stati Uniti e fu regolamentata con provvedimenti amministrativi, ma, mentre venne spesso considerata come un’istanza fastidiosa, che andava sopportata, si conservò l’idea che derivasse da qualcosa di superiore a qualsiasi legge positiva. E che cosa, più della coscienza, poteva ospitare istanze superiori alle stesse leggi costituzionali?
Sono partito, nel mio viaggio nella coscienza, domandandomi come mai il rifiuto delle armi avesse preso la forma di un appello diretto proprio alla coscienza. La cosa non era affatto “naturale”, come può sembrare a noi, abituati a chiamare in causa la coscienza senza pensarci su. Molti usi della coscienza che ci sono familiari si trovano anche presso i greci e i romani antichi, ma per loro il richiamo della coscienza non evocava affatto il rifiuto della guerra e delle armi. E i dotti antichi (filosofi, letterati, giuristi) non facevano un uso esteso della coscienza, né si richiamavano a essa per costruirci su qualcosa: dottrine filosofiche, ragionamenti giuridici o proposte artistiche. Dunque da dove veniva la formulazione del pacifismo in chiave di coscienza? Lo vedremo dopo, ma intanto incominciare dai quaccheri americani mi sembrava un buon punto di partenza.
L’obiezione di coscienza al servizio militare è stata trattata con rispetto soprattutto nella cultura anglosassone, al punto che gli inglesi la riconobbero perfino quando, nel 1940, temevano di dover affrontare un’invasione tedesca. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le furono tributati apprezzamenti anche nei paesi che ne avevano sempre diffidato. Ma proprio questo orientamento ha portato al suo sostanziale svuotamento.
Questo processo di svuotamento ha avuto un parallelo in medicina, un altro settore in cui l’obiezione di coscienza si è presentata, in un primo tempo, come un modo per sottrarsi alla disciplina imposta da una medicina di stato, che considerava i cittadini come pazienti da utilizzare nella sperimentazione e da controllare in nome della salute collettiva; ma poi è diventata un modo con il quale i medici hanno preteso di svuotare i diritti dei cittadini in nome delle proprie credenze religiose.
Lei ricorda che “nell’esercito [romano] i cristiani c’erano ed erano messi in difficoltà più dalla partecipazione ai riti religiosi pubblici che dall’esercizio della violenza”. Non costituì dunque una sorpresa se “l’avvento dei cristiani al potere non avviò l’umanità verso un mondo fatto di piccole comunità pacifiche, come Agostino auspicava”. Lo stesso Agostino, del resto, fu uno dei più autorevoli esponenti della lotta — pressoché con ogni mezzo — contro gli eretici. Tanto che, a suo dire, “in una società finalmente cristiana, in cui non ci dovevano essere più soldati, tutti erano soldati nella lotta, che non ha frontiere, contro gli scrupoli di coscienza”. Cos’è la coscienza, per il buon cristiano?
L’interpretazione della coscienza ha subito non poche trasformazioni nel corso del cristianesimo. La coscienza è entrata “in modo laterale” nella cultura cristiana, soprattutto a opera di Paolo di Tarso, che l’ha invocata in occasioni diverse, ma sempre come uno strumento per difendere il modo in cui svolgeva la propria missione. Contro l’ostilità di altri predicatori, che dovevano avere qualche vantaggio su di lui, si richiamava alla coscienza, come luogo cui Dio ha pieno accesso, per difendere le proprie posizioni, sulle quali si potevano nutrire dubbi. Ma il richiamo alla coscienza gli serviva anche per giustificare l’indulgenza nei confronti degli ebrei convertiti, che restavano fedeli ai propri tabù alimentari: li considerava coscienze deboli, che, incapaci di liberarsi dagli scrupoli, anche da quelli indebiti, vanno tuttavia rispettate. Si profilava così una doppia interpretazione della coscienza, come sede di scrupoli, che possono essere ingiustificati perché suggeriti dalle circostanze accidentali, nelle quali le credenze, anche quelle religiose, si formano, e come strumento di comunicazione diretta con Dio. Una parte della cultura cristiana ha cercato di dare alla coscienza un contenuto, identificato con la legge naturale. Era un’operazione condotta attraverso il ricupero della tradizione filosofica antica, che però non aveva mai dato importanza alla coscienza: quella tradizione costituiva perciò una cornica rigida in cui introdurre l’idea di coscienza, che in quel contesto avrebbe perso la propria elasticità, ma sarebbe anche stata liberata dai sospetti che la sua spontaneità generava. Saranno invece i protestanti ad avvalersi dell’interpretazione della coscienza come luogo in cui si formano spontaneamente le credenze, che perderebbero il loro valore religioso, se si conformassero alle imposizioni di un pontefice o di un re. Oggi spesso i cristiani invocano l’incoercibilità della coscienza come titolo per sottrarsi alla responsabilità pubblica, mentre evitano di invocarla per ribellarsi alle autorità religiose.
Lei cita la Lega internazionale per la pace e la libertà, nata nel 1866 sotto la presidenza onoraria di Giuseppe Garibaldi. Le contraddizioni in materia di coscienza dei non credenti sono dunque, alla prova dei fatti, paragonabili a quelle dei credenti?
Non mi pare che l’appello alla coscienza abbia giovato alla cultura laica: idee come quelle di coscienza nazionale o di coscienza di classe, modellate sulle teorie filosofiche della coscienza, non hanno lasciato un buon ricordo: una buona ragione per non ripercorrere cammini che non sono finiti bene. Intendiamoci: si continua a dire “ho la coscienza pulita”, “nessuno può penetrare nella mia coscienza”, “rispondo soltanto alla mia coscienza” ecc. ecc. L’importante è non prendere quei richiami come prove di qualcosa o come fondamenti sui quali costruire qualcosa, tanto meno farne materia di dottrine o strumenti di giustificazione. È significativo che l’originalità e l’imperscrutabilità delle coscienze vengano invocate in faccende del tutto prevedibili e si riferiscano a comportamenti ampiamente uniformi.
Lei ricorda che “i medici obiettori sono spesso avvantaggiati nella carriera ospedaliera, a danno di quelli che non oppongono obiezione di coscienza”. Questo uso così strumentale della “coscienza” non dovrebbe creare loro qualche scrupolo in più?
La coscienza è il posto in cui si collocano gli scrupoli, i quali in genere non trattengono dal fare le cose che li generano. E i medici che, obbedendo alle autorità ecclesiastiche, rifiutano prestazioni legittime, alle quali i cittadini hanno diritto, quando invocano l’obiezione di coscienza intendono liberarsi in anticipo dagli scrupoli di coscienza. L’obiezione di coscienza di massa al servizio militare è servita per sottrarsi a un obbligo senza affrontare il problema di discutere la legittimità o l’opportunità di quell’obbligo e senza praticare la disobbedienza civile, che presenta pur sempre il pericolo di dover subire le pene legali.
Nel volume si mostra molto critico nei confronti dei voti “secondo coscienza”, perché alla fine “si rivelano “quasi sempre, o sempre, conformi alle indicazioni della chiesa cattolica”. Cosa può fare, l’elettore laico, di fronte a queste derive?
Non si dovrebbe mai credere a questi appelli alla coscienza. Essi vengono usati per giustificare l’adesione a corpi di credenze forti e ben difese, un’adesione che produce quasi sempre vantaggi ben visibili. Chi ha responsabilità dovrebbe dare ragioni pubbliche delle proprie scelte e non rifugiarsi dietro le proprie insindacabili credenze private. L’elettore dovrebbe scartare i candidati che oppongono riserve “di coscienza”, chiedendo loro di giustificare le proprie scelte con ragioni valutabili in base agli interessi che considerano propri dei loro elettori. Bisognerebbe anche pubblicare le liste dei nostri rappresentanti “coscienziosi” e mostrare quali sono stati gli svantaggi che hanno dovuto subire per essere rimasti fedeli alla propria coscienza.
La redazione
Bella la conclusione di Viano.
In pratica la coscienza dei cattolici si traduce in: £, $, €.
Si prospetta molto interessante questo excursus storico dell’uso della coscienza, dei vari aspetti che assume, con particolare attenzione – per restare all’intervista – alla cosiddetta ‘obiezione di coscienza’, attenzione più che giustificata se si guarda più che all’uso all’abuso che viene fatto degli appelli alla coscienza. Ci sarebbe da aprire un dibattito in merito all’appello alla coscienza operato dai pacifisti laici, non mossi cioè da ideologie vissute più o meno religiosamente che ne inficerebbero il valore… ma qui vorrei solo impostare la questione. Se si intende per coscienza semplicemente consapevolezza (che poi significa facoltà di pensare, capacità di giudizio)… di fronte all’uso che se ne può fare per stabilire le regole di comportamento (in sostanza per definire i principi morali), ci sono, riducendo la questione all’osso, due modi di intendere la coscienza, e quindi di ricorrervi. Al di là di come lui li articola e li utilizza, credo che valgano pur sempre quelli indicati da Kant, secondo il quale i criteri per stabilire le norme di comportamento possono avere due origini: origine ‘eteronoma’ (che viene da fuori), e una ‘autonoma’, che significa avere la sua origine nella coscienza. Naturalmente il discorso è ancora tutto da fare… ma se si considera (ripeto, andando oltre Kant) che il primo caso è il caso delle religioni, comunque intese, e l’altro quello che dovrebbe riflettere la concezione laica, l’appello alla coscienza – per un laico – non dovrebbe mai avere motivazioni ‘eteronome’, cioè derivate da norme stabilite una volta per tutto, da seguire fideisticamente. Per quanto mi riguarda, detto in modo molto generico per cui, anche qui, resta tutto da sviluppare, l’unico criterio da seguire nell’appellarsi alla coscienza è quello razionale. Un obiettore che – come illustra Viano e come si verifica puntualmente – si rifiuta di sottostare ad una norma stabilita dalla legge per motivi religiosi… in realtà vuole solo imporre la sua legge.
”… quelli indicati da Kant, secondo il quale i criteri per stabilire le norme di comportamento possono avere due origini: origine ‘eteronoma’ (che viene da fuori), e una ‘autonoma’, che significa avere la sua origine nella coscienza…”
Penso che la questione sia molto complessa: aver la sua origine nella coscienza non vuol dire che abbia un significato prettamente morale, e nemmeno razionale. Spesso ho avuto modo di osservare comportamenti giustificati come scelte morali, ma in realtà irrazionali, qualcosa di simile all’idea del ‘romanticismo’ e dello Sturm und Drang. ‘Devo fare così perché io sono così’, così come?L’obiezione di coscienza si presta molto bene a questi escamotage: dal sincero idealista non violento al codardo più infingardo e dall’ingenuo antiabortista all’opportunista carrierista c’è spazio per tutti.
@ Diocleziano
“aver la sua origine nella coscienza non vuol dire che abbia un significato prettamente morale, e nemmeno razionale”
Kant a parte (mi interessava solo l’indicazione di massima fatta risalire a lui), quando parlo di coscienza intendo semplicemente ‘facoltà di pensare’ quindi ‘capacità di giudizio’ indipendentemente da cosa si pensa e dai giudizi che si danno. Mi sembrava utile partire da questa definizione perché, secondo il senso comune fare appello alla coscienza implica automaticamente fare appello ai CONTENUTI della coscienza, in genere ‘eteronomi’, venuti da fuori (religiosi, ideologici, ambientali, spesso semplicemente perché ‘sono di moda’), mentre – anche se difficilmente si eliminano i pre-giudizi, spesso inconsci – ‘fare appello alla coscienza’ dovrebbe significare “fare appello alla ragione”. Subito viene giustamente da obiettare: “quale ragione”? La prima risposta è ‘negativa’: di sicuro NON quella che intende orientarsi secondo, appunto, contenuti ‘eteronomi’.
Pia illusione, utopia? Certamente, ma compito di chi intende veramente difendere la laicità… organizzandosi magari come UAAR… o dà un significativo contributo (a mio parere soprattutto culturale nel senso più ampio del termine), a liberare le coscienze, ovviamente per quanto è possibile, o in caso contrario, se non si percorre questa strada maestra ogni altra finirà in un vicolo cieco.
A. proposito di ‘liberare le coscienze’. UAAR certamente, ma soprattutto la scuola, il cui compito primario, istituzionale, dovrebbe proprio essere quello di formare coscienze libere… mentre si punta più che altro a trasmettere contenuti per renderla funzionale alla produzione.
Non sono d’accordo sul fatto che le norme di comportamento dettate da un credo religioso siano necessariamente ‘eteronome’.
Lo sono per coloro che decidono di ‘obbedire’ a leggi più o meno prescritte e catalogate.
Qualunque comportamento l’individuo decida di darsi raramente è unicamente frutto delle proprie meditazioni o della propria crescita interiore e intellettuale. Molto spesso è un libero aderire o rielaborare una o più proposte filosofiche, religiose o etiche con cui si è venuti in contatto.
Il mio desiderio di aderire alla proposta di vita che scaturisce dai Vangeli, pur attingendo da una rivelazione esterna, è libero e, come tale, ‘autonomo’.
@ parolaio
Hai evocato l’eterno problema del rapporto fede-ragione.
Capisco che un credente ritiene la sua scelta di credere un atto ‘autonomo’… ma poi le norme di comportamento le identifica in una serie di precetti che, come tali, non li ha elaborati lui. Vengono ‘da fuori’. Che seguire questi precetti lo renda veramente autonomo… è un atto di fede.
@Bruno
Nel caso del cristianesimo seguire i precetti è del tutto secondario. I Vangeli sono fitti di esempi in cui i prescelti da Dio non sono coloro che seguono i precetti. A cominciare dai pastori che per mestiere non potevano seguire i precetti, per continuare con le prostitute e i lebbrosi.
Le righe di un blog non sono sufficenti ad esaurire l’argomento, quindi ti chiedo di prendere sul serio la mia l’affermazione e di provare ad approfondirla.
Per parolaio.
“Futti, futti ca’ Dio perduna a tutti” ecco in cosa consiste la tua scelta autonoma. 😆
I Vangeli non portano alla sola interpretazione cattolica.
Ma vivendo in italia ed essendoci solo quella i suoi precetti si allineano con quella cattolica, mentre se fosse nato in un paese protestante sarebbero quasi al 100 % protestanti.
La libera meditazione dovrebbe portare naturalmente ad una distribuzione statitsica su più interpretazioni, così come avviene per i partiti politici, mentre quello che si osserva è che i fedeli adottano quasi al 100 % quella della fede maggioritaria.
Dove sarebbe quindi la libera scelta e meditazione?
Nella chiesa cattolica tra l’altro questa non è per niente incoraggiata visto che non si può mettere in discussione ciò che la chiesa cattolica pone come verità visto che perseguita ancora oggi membri del clero non allineati.
@tutti
Come dice Paolo Branca, professore all’Università Cattolica, grande islamista, “se adoro un Dio che è stato ammazzato da un complotto di preti e politici un motivo ci sarà!”
Se l’aborto è un diritto della donna a cui il medico deve collaborare per forza mi chiedo se nessuno ha mai pensato che abortendo una femmina si impedira all’abortita di abortire a sua volta quindi si lede un diritto quello all’aborto della concepita stessa.
se era una battuta non era divertente. Ti ricordo per la milionesima volta che i diritti sono relativi alle persone, non agli embrioni.
Mi sà indicare il momento in cui una persona acquisisce il diritto all’aborto? E per quali motivi proprio in quel momento?
Magari nel momento in cui diviene fertile e può potenzialmente andare incontro a gravidanza indesiderata? Che dici?
*Paul
Ma una bambina non ha il diritto in futuro di abortire?
So dove vuoi andare a parare. Io ho risposto ad una precisa domanda. Il resto è sproloquio e non mi interessa.
Enrico, che ne dici di farti seppellire? In fondo tra qualche decina di anni sarai cadavere.
*Paul
Se una donna sopprime un embrione femminile toglie il diritto allo stesso embrione di abortire tra 12 anni.
enrico
mi sai dire l’esatto momento in cui un giovane ottiene la maturità necessaria per votare e guidare automobili? no? ed allora perchè vene posto tale termine a 18 anni? sarà mica perchè, non essendo definibile in modo netto tale limite di passaggio, ma essendo evidente l’esistenza di un periodo in cui NON SI HA la maturità necessaria ed un in cui (si spera) SI HA la maturità necessaria, si pone arbitrariamente tale limite dal punto di vista legale?
lo stesso vale per l’aborto: l’evoluzione embrionale è un conbtinuo, non esiste un punto di passaggio netto da “persona” a “non persona”, ma che tale passaggio esista è palese, è palese che un embrione non ha alcuna caratteristica necessaria per essere definito una persona ma che ad un certo punto lo diventerà. pertanto dal punto di vista legale si sceglie un limite in modo abbastanza arbitrario (e che infatti varia da stato a stato). nel caso dell’italia tale limite vien posto in modo protettivo verso l’embrione, cioè BEN PRIMA che sia realmente considerabile come persona: il limite infatti vein posto ad uno stato che PRECEDE lo sviluppo di un cervello funzionante, e quindi la presenza di capacità sensoriali, di dolore o anche solo di una qualche forma di pensiero
Lei mette sullo stesso piano fenomeni sociali e politici con fenomeni scientifici come lo sviluppo embrionale e per sua stessa ammissione ammette che non esiste un momento successivo al concepimento che mostri un punto di discontinuità quindi l’embrione è persona se manca un punto preciso in cui l’embrione è persona.
enrico,
lo sviluppo della maturità intellettiva è nè più nè meno tanto scientifico (od sociale o politico) quanto lo sviluppo dello status di persona. in entrambi i casi serve aver raggiunto un livello minimo di sviluppo intellettivo. in entrambi i casi è la politica, o le convenzioni sociali, a deteminare quale sia questo livello. ine ntrambi i casi lo sviluppo è un continuo, e quindi non esiste un punto netto di svolta, ma esiste un mo0mento in cui nettamente la condizione non è raggiunta ed un altro in cui è nettamente raggiunta. in entrambi i casi il limte dal punto di vista legale è posto come convenzione. i tuoi patetici tentativi di discriminare tra le due cose non sono altro che arrampicate sugli specchi, un tentativo disperato di difendere l’indifendibile, di non ammettere l’errore nemmeno quando ti viene sbattuto in faccia
@Enrico
Mentre invece impedendo l’aborto all’interessata e togliendole il diritto,lo si dovra per coerenza togliere in futuro anche alla nata (indesiderata),quindi il diritto lo si ledera nello stesso identico modo.
Con la probabile aggiunta di molte altre lesioni sia morali che fisiche,a giudicare dalle cronache riguardo ai maltrattamenti infantili,che ,suggerisce il piu’ elementare buonsenso,sono piu’numerosi nel caso di prole indesiderata.
Con la castità si concepisce prole indesiderata?
no, si concepiscono gravi turbe, frustrazioni e psicosi. Sospetto che tu ne sia un lampante esempio. State sempre a menarla con le cose “contro natura” e poi mi vieni a tirar fuori la castità che è la cosa più contro natura che esista? Coerenza, Enrico, coerenza.
Parrebbe di sì.
Ma lei Florasol si sente come un animale o superiore ad esso?
@Enrico: siamo tutti animali.
Poi c’è chi è più vicino al regno animale, chi più lontano e chi, come direbbe il mitico Pratchett, “il regno animale si è allontanato da esso”
Enrico, chiunque si senta “superiore” ad un animale, cioè non si senta tale, ha un serio problema di scollamento dalla realtà.
Un conto la classificazione di Linneo che rispetto un altro il fatto che solo l’uomo ha mostrato capacità tecniche e organizzative superiori a quelle animali.
Un conto la classificazione di Linneo che rispetto un altro il fatto che solo l’uomo ha mostrato capacità tecniche e organizzative superiori a quelle animali.
tecniche forse, ma le capacità organizzative umane difficilmente sono confrontabili con quelle di un formicaio o un alveare.
e sentirsi superiori agli altri animali perchè si ha superiori capacità tecniche è come se le formiche si sentissero supriori agli uomini perchè dotate di una capcità collaborativa tesa alla sopravvivenza della colonia che gli umani si sognano, o i pipistrelli sis entissero supriori perchè posseggono il senso-radar con cui orientarsi anche nel buio più fitto….
superiore ad un altro animale? No, diversa da ogni altro animale, come lo è ogni altro animale. Da bravo mammifero vertebrato però ho necessità di mangiare, orinare, fare sesso, defecare, bere, respirare, dormire…. Non è negando le tue necessità che diventi superiore sai?
Se pensassi di poter non mangiare mai, diventerei superiormente morta. O mangerei di nascosto, pensando ogni momento al cibo e alla fame, come fanno i preti col sesso.
*Florasol
Quante persone all’anno muoiono per mancanza di sesso?
enrico
morire nessuna, sviluppare turbe psicologiche moltissime
Enrico, ma nella tua religioni è proibito usare le virgole? Tu parli della morte come una fine, ma tu sai benissimo che dal altra parte del fossato vi aspetta il vostro redentore, o no?! Se l’embrione ha gia l’anima, cioè è un essere umano compiuto, sara salvato no?! Oppure le vostre procedure interne non lo permettono?!
In qualsiasi caso l’operazione piu vasta di abbordo, omicidio, sterminio dei innocenti, lo ha compiuto il tuo yahweh, ti dice qualcosa il diluvio universale?!
Però, in effetti, il fatto che possano nascere figli come Enrico potrebbe portar a rivalure la castità (anzi la castrazione).
Enrico, quante persone all’anno muoiono per mancanza di riferimenti religiosi? (Caso mai muoiono per la loro presenza.)
I due significati di coscienza (come consapevolezza o come capacità di distinguere il bene dal male) sono spesso mescolati, per approssimazione o ignoranza o malafede. Nel primo caso si tratta di una facoltà del cervello umano della quale si conoscono molti aspetti circa la modalità di comparsa e manifestazione oggettiva, compresa l’epoca nel corso dello sviluppo o le sue alterazioni per disordini neurologici. Per la seconda, che ovviamente dipende dalla prima, il discorso si fa metafisico, con tutto quello che vuol dire. Per es. il filosofo Michael Tooley nel 1972-1983 sosteneva che “i neonati non sono persone (non hanno coscienza) e la loro distruzione (aborto) non è intrinsecamente sbagliata”; il bioeticista Peter Singer sostiene che “la vita comincia in senso morale quando c’è consapevolezza della propria esistenza. Ai neonati mancano queste caratteristiche etc.”( 1993). Ma S. Dehaene (psicologo e neuroscienziato) dimostra (2014) presenza di coscienza nei bambini di due mesi. Comunque mi sembra preliminare considerare la coscienza come un prodotto della attività del cervello: che poi gli umani si mettano d’accordo su certe regole di comportamento per una migliore convivenza è un altro discorso.
–Cognizione e coscienza non sono la stessa cosa. La coscienza può essere considerata come il prodotto dei processi cognitivi sottostanti.
–Essere conscienti, è decidere che il mondo è così e non altrimenti, ed è una questione di desiderio e credenza, non di certo di utilità.
–Alla nascita (ma anche prima) il bambino “sa”, ma non sa che “sa”
— Piaget fu il primo a cogliere il fatto particolarmente interessante che la mente cognitiva umana non è una cosa innata, ma qualcosa che cresce come qualsiasi organo a partire dell’embrione.
P.S.-Sarebbe interessante sapere : dove inizia l’attività cosciente, ai sensi dei filosofi ? Su quali criteri possiamo giudicare che un comportamento animale o umano sarebbe la prova (o risultante) di un pensiero cosciente?
”… Su quali criteri possiamo giudicare che un comportamento animale o umano sia la prova (o risultante) di un pensiero cosciente?…”
Credo che sia quello che cercano di capire gli psicanalisti.
Sono troppo sfumati i confini tra realtà e opinione di ciò che forma la coscienza, e che ci rende unici, per poter avere certezze. Compromessi inconsci accettabili (ma non sempre).
Ai denigratori dei cosiddetti ‘filosofi’… che poi sono semplicemente quelli che pensano senza chiedersi troppo in che parte del cervello nasce e si sviluppa il pensiero, una domanda:
ma quando devono decidere qualcosa, qualsiasi cosa, soprattutto decidere se è bene o male quello che si accingono a fare vanno a interpellare il neuroscienziato per sapere in che parte del cervello nascono le idee, i sentimenti, le emozioni, le gioie, i dolori… e magari si sentono rispondere che gli studi sono ancora all’inizio, che occorrono altre ricerche, altri esperimenti prime di poter avere delle certezze circa la vera cause dei nostri comportamenti, quindi bisogna spettare…
cosa decidono?
Formulo meglio la domanda finale:
“in base a cosa decidono”?
Credo che la localizzazione delle attività “coscienti” non sia la cosa più interessante per lo studio della coscienza: è solo uno dei modi concreti (spesso a partire da lesioni localizzate, ma oggi anche con strumenti non invasivi) per cercare di capire qual è il substrato biologico e il meccanismo che “producono” il pensiero, e quindi la coscienza. Che invece sempre più risulta da una rete generalizzata. Ma per esempio sapere perché, con numero paragonabile di neuroni, il cervelletto “non pensa” aiuta a capire qualcosa. Certo ci vuole tempo. Naturalmente chi rifiuta a priori questo approccio è molto più felice e fa più presto.
“Certo ci vuole tempo. Naturalmente chi rifiuta a priori questo approccio è molto più felice e fa più presto.”
Scusa, ma visto “che ci vuole tempo”, quando – ripeto – devo decidere una qualsiasi cosa (che so: per chi votare?), cosa devo aspettare? Per l’ennesima volta: IN BASE A COSA, IN BASE A QUALICRITERI, FARO’ QUESTA SCELTA?
Non sarò certo io – materialista convinto – a negare che conoscere meccanismi e chimismi del cervello, condizionamenti esterni e interni che ne spieghino la fisiologia, aiuti a capire tante cose… ma poi devo pur decidere. E allora a che servono queste conoscenze? Per come la vedo io servono – e tanto! – a far sì che questa macchina funzioni al meglio… ma le indicazioni che mi può dare le devo utilizzare io in quanto animale senziente e pensante. Che pensa e sente così come il suo cervello, o tutto il suo corpo, gli permette di pensare… ma il che cosa – sia pure avendo la stessa origine – diventa un ulteriore elemento da esaminare (Per quanto mi riguarda, parlo, in proposito, di ‘circolo vizioso’… ma non vorrei buttarla troppo in filosofia!)
Provo ad aiutarmi con una metafora. Dovendo trasportare il più velocemente e sicuramente possibile un determinato oggetto da cui dipende la soluzione di un problema vitale (esistenziale)… certamente devo fare in modo che il mezzo di trasporto sia il più efficiente possibile, ma il mezzo di trasporto né mi ha indicato il problema da risolvere né la sua soluzione. Serve, è decisivo, senza non risolverei niente… ma deve servire lui a me, non io a lui.
In tutto questo cosa c’entri poi la felicità, non lo capisco.
Il decidere consiste in un delicato equilibrio tra il potere delle emozioni e la forza della cognizione.
Invece di considerare l’emozione come una reazione, dobbiamo considerarla come uno strumento per preparare l’azione. L’emozione è uno strumento per il processo decisionale, è un potente strumento per la predizione di un cervello che anticipa e prevede le sue intenzioni.
NB : La sensazione che noi chiamiamo “volontà” non è la causa di un atto volontario, ma il simbolo dello stato del cervello che è la causa immediata di tale atto. E come diceva G.Edelman (premio Nobel di medicina) “Siamo degli automi coscienti” ! Aggiungo : che piaccia o no….
“Siamo degli automi coscienti” ! Aggiungo : che piaccia o no….”
Quindi, sapendo che sei un automa, quando devi prendere una decisione – ribadisco la domanda – in base a cosa decidi?
A me né piace né dispiace essere un automa. Che decida perché sono un automa o perché scelgo di decidere, in sostanza, che differenza fa?
La visione dell’uomo come automa mi pare limitata, va bene per una macchina perfetta, ma noi siamo imperfetti. Che cos’è la coscienza? Secondo me un misto di legami logici ed errori di trasmissione.
Per coscienza potremmo usare il concetto di ‘metapensiero’: la capacità di formare concetti del tutto astratti e soprattutto di pensare al fatto che pensiamo e interrogarci sul pensiero stesso, che nel resto del mondo animale credo sia in fase molto inferiore rispetto a quello umano.
La coscienza morale è l’insieme dell’ ethos assimilato culturalmente mediato dal metapensiero: noi siamo impensabili senza la nostra storia personale e i nostri rappporti, ma non siamo nè un automa nè un prodotto perchè su questa storia e su questi rapporti interviene il metapensiero, che è appunto il piccolo, ma a suo modo grande, margine di libertà umana (e in modo minore di altre specie).
Personalmente ritengo che la libertà umana sia proprio nella possibilità di sbagliare. Un automa non sbaglia mai, fa quello per cui è programmato.
Puoi sbagliare proprio perchè, oltre ad agirlo, pensi il mondo e pensi te stesso. Un automa non pensa se stesso, altrimenti non è un automa 😉
@ Bruno Gualerzi
E’ vero, spiegare che la terra gira intorno al sole e non viceversa non serve quasi a niente per chi deve decidere in fretta per chi votare. Ma tu sembri accettare (o forse volevi dire qualcos’altro) un approfondimento delle conoscenze solo se esso ha una applicazione pratica. Possibilmente immediata, non c’è tempo da perdere. Il sapere per sé è un lusso che non ci possiamo permettere. (Molti filosofi non sarebbero d’accordo). Sapere che ci sono 715 pianeti con probabili forme di vita (Repubblica del 26/2) non servirà molto nell’arco della mia vita. Per gustare un bollito misto non occorre conoscere gli enzimi digestivi, meglio una buona ricetta per il contorno.. Nella tua metafora insisti sul dualismo: io e il mezzo di trasporto. Quello che le neuroscienze cercano affannosamente (mi spiace per chi ha fretta, ma è un lavoro, credimi, abbastanza difficile: non basta star seduti in poltrona a pensare) è che l’io e il mezzo di trasporto sono la stessa cosa. Perché insistere? Perché sull’anima immessa da dio e separata dal corpo un sacco di gente ci marcia. E, detto fra noi, magari ci crede ed è felice: ecco cosa c’entra la felicità. Alla prossima l’elenco dei criteri per effettuare una scelta magari di voto: ma che c’entra?
@ faidate
Scusa, ma non è questione di fretta, o di mettere fretta a qualcosa o qualcuno, è questione di fare delle scelte… fin che si vive! Sarà un mio pallino, ma il sapere non può essere fine a se stesso, deve essere finalizzato a risolvere i problemi, ad affrontare i bisogni, che la condizione umana esige. E li esige da ogni individuo concreto, in carne ed ossa, e li esige da vivo, non quando non ci sarà più. Dirai che è col sapere, quello elaborato dalla scienza in particolare, che si creano le condizioni per vivere di più e meglio, e nessuno è più d’accordo di me, e per questo so benissimo che c’è da darsi da fare… ma creare le condizioni, per come la vedo io, è necessario ma non sufficiente. Ed è a questo punto che ci può essere la fuga nella trascendenza, comunque identificata e intesa, oppure si punta sulle proprie forze, fisiche e mentali… per migliorare le quali sicuramente la scienza non ha alternative valide, ma a cosa le finalizzo? Certamente non a realizzare un fantomatico disegno divino, ma nemmeno a migliorare un’umanità che può diventare un’astrazione se si dimenticano i singoli individui che la compongono e fin che sono vivi.
In quanto alla scelta ‘per chi votare’… chiedevo semplicemente se per stabilire i criteri coi quali scegliere, quando devi scegliere concretamente non in astratto, teoricamente, a cosa fai riferimento?
Su un punto sono d’accordo, anche se, giustamente, a te non sembrerà, perché ciò che affermo andrebbe argomentato: è quando rilevi che “Nella tua metafora insisti sul dualismo: io e il mezzo di trasporto”. Riconosco che nella metafora c’è un dualismo, ma nella sua essenza si stratta di un ‘circolo vizioso’, senza alcuna connotazione negativa nell’espressione, ma solo un riferimento ‘tecnico’. (In altri scambi con frequentatori del blog ho cercato di spiegare in cosa consiste questo ‘circolo vizioso’… anche perché ci ho costruito intorno un libro… ma temo di non essere stato in grado di farlo come avrei voluto)
E’ vero, il tempo stringe, la vita è breve, chi vuol esser lieto etc. Ma per qualche strana ragione qualcuno fuori di testa vuole anche conoscere per il gusto di conoscere, non perché pensi ai figli (come Renzi) o ai nipoti, ma perché è un piacere: come scrivere poesie, non serve a niente, ma a qualcuno piace farlo.
@ faidate
Se vuoi ti mando un mio libro di poesie 🙂 . Parlo sul serio.
Non so da cosa hai dedotto che non provo il piacere di conoscere per conoscere quando parlo – e provo non solo a parlarne – di filosofia… avendo tra l’altro come modello di filosofo un tale Socrate il quale sosteneva che, per conoscere veramente bisogna partire dalla consapevolezza di non conoscere (il famoso ‘sapere di non sapere’), come molla per non smettere mai di cercare. Certo potresti dire – come molti dicono – che si tratta solo di aria fritta… e non a torto se si riducesse solo a pensare per pensare e non per cercare di dare un senso a ciò che si è e si fa, e poi magari anche per giungere alla conclusione che la vita non ha alcun senso… ma non puoi dire che penso soltanto ‘per fini pratici’. A meno che per ‘fini pratici’ non si intenda, come io intendo, anche provare a dare una risposta ai quesiti esistenziali… perché in questo caso, sì, accetto senz’altro di essere molto pragmatico.
E quando chiedevo insistentemente a quali criteri ci si appella quando si deve fare una scelta anche minimamente impegnativa sul piano etico, intendevo dire implicitamente che sono i criteri fatti oggetto di riflessione dalla filosofia che – lo si voglia o no, senza necessariamente essere filosofi ‘professionisti’, anzi! – costituiscono gli strumenti indispensabili per operare tali scelte.
E tra le forme di sapere che possono gratificare per se stesse nel senso che ampliano sempre ulteriormente gli orizzonti conoscitivi del mondo in cui viviamo al di là dell’uso ‘tecnico’ che se ne può fare, figurati se non pongo anche le scoperte scientifiche, sia del mondo esteriore che interiore! Ma sia ben chiaro – come dicevo – che considero anche questo piacere cosiddetto disinteressato molto ‘pratico’, molto ‘utile’.
–L’impressione di non poter controllare il proprio cervello è forse il sentimento tra i più angosciosi che sia. Sarebbe per questo motivo che il nostro cervello prende la briga di rassicurarci, dandoci l’impressione di essere all’origine delle nostre azioni ?
–Non c’è nulla di gratuito o d’arbitrarie nei bisogni ed emozioni.
–Tra due occasioni possibili (salvo in caso di squilibri o patologie mentali), l’uomo è determinato (o condannato) a scegliere quella che gratifica maggiormente, cioé quella che provoca la più forte attivazione dei circuiti della ricompensa.
–Non siamo mai consapevoli delle conoscenze necessarie per svolgere qualsiasi attività o fasi intermedie di un processo cerebrale. Abbiamo coscienza solo dei risultati con un ritardo di qualche millisecondo, e in certi casi, di qualche secondo (Sic!)
N.B. -Diversi esperimenti recenti hanno chiaramente individuato una serie di casi in cui l’impressione del libero arbitrio è un’illusione, cioé che riteniamo decidere delle cose sulle quali non abbiamo, in realtà, alcun controllo. Detto diversamente, la libertà puo essere concepita solo dalla relativa ignoranza di ciò che ci fa agire.
“(…) la libertà può essere concepita solo dalla relativa ignoranza di ciò che ci fa agire.”
Domanda – porta pazienza – filosofica 🙂 Uscire dall’ignoranza di ciò che ci fa agire ci renderà più liberi o meno liberi? Se la libertà è considerata un ‘valore’ (senza adesso affrontare cosa si intende per ‘valore’, non credo faccia piacere, se non masochisticamente, non sentirsi liberi), è meglio sapere o non sapere ciò che ci fa agire?
Mia risposta (in attesa eventualmente della tua): io credo che ogni nuova conoscenza renda comunque più liberi… per cui, anche qualora si riuscisse ad avere tutte le conoscenze necessarie in base alle quali poter dimostrare che, come sostieni tu, siamo degli automi, questa ‘dimostrazione’ sarebbe pur sempre un atto di libertà. E la dimostrazione che non siamo automi!
(In realtà, per come vedo la questione alla luce della mia ‘filosofia’ 🙂 , si tratta del classico circolo vizioso che caratterizza l’attività della coscienza… ma penso che quanto affermo possa valere (o non valere) anche senza scomodare il circolo vizioso)
…è meglio sapere o non sapere ciò che ci fa agire?….
@Bruno
Contrariamente alla credenza popolare, saperne di più sul determinismo che ci governa ci permette di sperimentare una maggiore libertà.
Posso pero chiedermi : se sono determinato ad agire, in virtu di quali principi potrebbero eventualmente condannarmi ?
Ma anche : come potrei arrivare a ODIARE una persona che si trova nell’impossibilità -conformemente alla sua personalità- di agire diversamente ?
Questi esempi sono aspetti di problemi che potrebbero profilarsi in un futuro prossimo e che sarebbe opportuno -ed etico- cercare di risolvere, anziché ignorarli !
P.S. Trovo nella scienza in generale, e cio’ che ci insegna la neuropsicologia in particolare, delle risposte lenitive che mi hanno aiutato a capire e inibire certe paure irrazionali. Me ne nutro quotidianamente, e guai se dovessero mancarmi !
@ Pendesini, ti faccio notare le contraddizioni evidenti del tuo procedere logico-deduttivo.
a) Scoprire il determinismo ti rende più libero…non noti una contraddizione in termini?
b) Se noi siamo completamente determinati, è contraddittorio che tu dice che, scoprendo che i gesti degli altri sono determinati, noi non li odieremo. Ma se siamo determinati, anche l’odio che proviamo è determinato; se, come dici tu, capire una cosa ci fa odiare meno, allora non siamo determinati ma parzialmente liberi. Altra contraddizione.
c) Se la scienza è per te curativa e ti libera da paure irrazionali, di nuovo non sei determinato (un’acquisizione di coscienza che far star meglio non è atto determinato). Altra contraddizione.
d) La coscienza di essere determinato è già un non essere determinato, altrimenti non avremo nemmeno il concetto di libertà, visto che non avrebbe alcuna base sensibile e mentale per formarsi.
Caro Pendesini, forse è meglio che parli di scienza e non delle sue implicazioni logico-filosofiche… 😉
@ Pendesini, ti faccio notare le contraddizioni evidenti del tuo procedere logico-deduttivo.
a) Scoprire il determinismo ti rende più libero…non noti una contraddizione in termini?
b) Se noi siamo completamente determinati, è contraddittorio che tu dice che, scoprendo che i gesti degli altri sono determinati, noi non li odieremo. Ma se siamo determinati, anche l’odio che proviamo è determinato; se, come dici tu, capire una cosa ci fa odiare meno, allora non siamo determinati ma parzialmente liberi. Altra contraddizione.
c) Se la scienza è per te curativa e ti libera da paure irrazionali, di nuovo non sei determinato (un’acquisizione di coscienza che far star meglio non è atto determinato). Altra contraddizione.
d) La coscienza di essere determinato è già un non essere determinato, altrimenti non avremo nemmeno il concetto di libertà, visto che non avrebbe alcuna base sensibile e mentale per formarsi.
Caro Pendesini, forse è meglio che parli di scienza e non delle sue implicazioni logico-filosofiche… 😉
@ Pendesini, ti faccio notare le contraddizioni evidenti del tuo procedere logico-deduttivo.
a) Scoprire il determinismo ti rende più libero…non noti una contraddizione in termini?
b) Se noi siamo completamente determinati, è contraddittorio che tu dice che, scoprendo che i gesti degli altri sono determinati, noi non li odieremo. Ma se siamo determinati, anche l’odio che proviamo è determinato; se, come dici tu, capire una cosa ci fa odiare meno, allora non siamo determinati ma parzialmente liberi. Altra contraddizione.
c) Se la scienza è per te curativa e ti libera da paure irrazionali, di nuovo non sei determinato (un’acquisizione di coscienza che far star meglio non è atto determinato). Altra contraddizione.
d) La coscienza di essere determinato è già un non essere determinato, altrimenti non avremo nemmeno il concetto di libertà, visto che non avrebbe alcuna base sensibile e mentale per formarsi.
Caro Pendesini, forse è meglio che parli di scienza e non delle sue implicazioni logico-filosofiche… 😉
@Bruno Gualerzi
Forse parliamo di due problemi diversi: un conto è smitizzare il concetto di anima (mente, coscienza etc.) riconducendola ad un processo biologico di cui a fatica cominciamo oggi a capire qualcosa, altro è rinunziare ad usare questo prodotto del cervello per i nostri comportamenti quotidiani. E’ il meglio che abbiamo disponibile, ci ha messo molti anni (millenni) per raggiungere questo livello, è costato moltissimo agli organismi che ci hanno preceduto ma noi l’abbiamo avuto quasi gratis. Mai vi rinunzierei e a lui ci affidiamo quando vogliamo fare scelte comportamentali. Utilizzando tutto il bagaglio filosofico (se lo abbiamo: Socrate l’ho studiato circa 63 anni fa, poi sono successe anche altre cose), ma consapevoli che non tutti gli individui hanno questo bagaglio. I meccanismi che ci permettono di fare le scelte sono in (piccola?) parte innati (con tutte le differenze individuali che ciò comporta) e in (gran?) parte acquisiti, culturali, sociali, casuali. Il riportare il problema delle scelte all’aspetto materiale è un modo per sottolineare che le scelte non si fanno rispetto ad una legge universale che viene non si sa da dove, ma si esprimono attraverso un processo individuale in continuo cambiamento che risente di mille influenze. In più, per convivere in una società bisogna arrivare ad aggiustamenti rispetto alle indicazioni personali. E quindi non c’è una ricetta, un criterio universale, ma spesso soltanto l’accettazione di un “meno peggio”. Infine, anch’io ho un mio libro di poesie, scritte quando il cervello era a riposo: di sicuro sono più belle delle tue.
“Infine, anch’io ho un mio libro di poesie, scritte quando il cervello era a riposo: di sicuro sono più belle delle tue.”
Da come replichi sembra che parlandoti di mie poesie abbia fatto una battuta… a meno che anche la tua sia una battuta.
Comunque io non le ho scritte col cervello a riposo, per svago, ma per necessità.
Per il resto hai ragione, su troppe cose parliamo lingue diverse. Ma ci sta anche questo.
Non so fare le faccine che ridono. Ti giuro che era una battut(accia).
@ Ermete
1°-“Scoprire il determinismo ti rende più libero…non noti una contraddizione in termini?”….
NO. Con questa frase “saperne di più sul determinismo che ci governa ci permette di sperimentare una maggiore libertà”, intendo dire che possiamo capire i meccanismi neurosinaptici che possono indurci in errore ! Allo stesso modo che è possibile concepire una diversa libertà del libero arbitrio, è possibile pensare una responsabilità e una morale all’interno del determinismo.
P.S. Posso farti notare, ad esempio, che “i colori NON si trovano nella natura ???
2°- “Se noi siamo completamente determinati, è contraddittorio”…. Ti invito a rileggere quanto scritto : –Tra due occasioni possibili (salvo in caso di squilibri o patologie mentali), l’uomo è determinato (o condannato) a scegliere quella che gratifica maggiormente, cioé quella che provoca la più forte attivazione dei circuiti della ricompensa. !!!
Aggiungo che decidere, è anche decidere di non fare. Questo fenomeno è noto come il “periodo refrattario psicologico”.
Penso dunque inibisco! La possibilità di scegliere la migliore strategia richiede anche l’inibizione di quelle che non sono considerate adeguate. In questo caso i principali nuclei del cervello che permettono decisioni e forniscono transizioni nel controllo del movimento o pensiero sono inibitori. L’inibizione è una tra le più grandi “invenzioni” dell’evoluzione.
La decisione è una scelta, su di questo non sembrano esserci dubbi : ma è importante sapere che il nostro encefalo sceglie quello che vule credere vero o reale e, molte volte, si sbaglia ! Purtroppo…..
Esistono anche forme patologiche della decisione, ad esempio, l’ossessione e la compulsione.
3°-La neuropsicologia permette, entro certi limiti, di capire che la nostra vera natura non è conforme a quella che oltre 7 miliardi di gente crede, ma -sotto diversi profili- molto diversa !
4° “Caro Pendesini, forse è meglio che parli di scienza e non delle sue implicazioni logico-filosofiche”…
E’ quello che cerco di fare (a torto ?) da tempo su diversi siti internazionali ! Tenendo presente le difficltà che incontro nel commentare in italiano, concetti difficili da capire o intuire ! Mi sentirei molto più a mio agio in lingua francese…Forse certe interpretazioni e/o malintesi provvengono dal mio pessimo italiano. Mea culpa ! Vorra dire che nel futuro evitero’ di commentare o rispondere su questo sito a certi emeriti sconosciuti…
Per concludere vorrei ricordare che l’uomo, è probabilmente l’unico animale che puo’ deliberatamente ignorare le informazioni razionali fornite dal suo cervello, quando le sue passioni l’abitano. E ‘l’unico che usa l’auto-inganno come mezzo per evitare sgradevoli senzazioni o idee, mentre i cervelli degli animali (non umani) hanno la funzione di informare il più accuratamente possibile e mai di ingannare. Questo non sono i filosofi che me lo insegnano, ma la scienza (neurologia)
Caro Ermete : Invece di ignorare la scienza, o addirittura criticarla ma anche accusarla, cerchiamo di costruire un’etica dai determinismi -e non solamente- che ci rivela !
1) Se capiamo i meccanismi neurosinaptici che ci fanno cadere in errore e risolviamo il problema non è più determinismo. La contraddizione la ripeti: una libertà nel determinismo. Se vi è libertà non vi è determinismo.
2) Io non solo scelgo la strategia, ma, come emerge dalle tue parole, penso che sto attuando una strategia, dunque sono già di nuovo oltre il determinismo visto che la strategia la concepisco e non è programmata dall’esterno.
Sugli altri punti non entro perchè non sono risposte dirette ai miei ma considerazioni abbastanza apodittiche e moraleggianti.
Io non ignoro la scienza, sei tu che dici che parli di scienza e invece stai parlando di filosofia. Il determinismo non è una posizione scientifica accettabile oggi, appunto perchè il metapensiero consente un certo margine di libertà (ovvero di intervento cosciente). Negli esempi del commento di sopra hai mescolato cose diverse: scelte di gusto (in cui non ha senso che intervengano i meccanismi del raziocinio), scelte urgenti e binarie e scelte ponderate su lungo corso, che, proprio l’esperimento a cui ti riferisci, non ha valutato.
Come infatti ben saprai, quell’esperimento non ha portato ad accettare univocamente il determinismo assoluto a tutta la comunità scientifica, anzi…vista la piega che prende oggi la scienza, che non parla nemmeno più di scienze esatte nei termini in cui le concepiva un tempo, il determinismo è abbastanza anacronistico ed è, lo ripeto, una posizione filosofica e non è scienza. Appunto, Pendesini, mentre io cerco di non ignorare la scienza tu dovresti proprio ignorare la filosofia perchè non ti accorgi di farla e la fai pure male.
Per inciso, il determinismo è proprio la posizione filosofica che, se sviluppata (il principio stretto di causalità) porta dritto dritto all’esistenza di Dio, vedi la via cosidetta ex causa di Tommaso…e tu sei ancora convinto che stai facendo scienza anzichè (mala) filosofia?
Dunque, come avrai capito, io non critico la scienza, critico te (a meno che tu non creda di essere la scienza) che fai (mezza) filosofia e alle repliche rispondi riempendoti la bocca con la scienza cercando di far passare le critiche alla tua filosofia come critiche alla scienza, che è altra cosa. Classica tattica di chi annaspa: giocare allo straw man.
@Caro Ermete
Il risultato reale o effettivo, è tutto ciò che accade, è che nulla può cambiare in un mondo determinato, non solo, ma anche in un mondo indeterminato !
Se il determinismo è vero, non abbiamo il libero arbitrio. Degli scienziati inflessibili a volte affermano di accettare questa posizione che considerano ovvia. Molti di loro potrebbe aggiungere: “e se il determinismo è falso, noi non abbiamo ancora il libero arbitrio”…., non siamo in grado di fare scelte libere come in entrambi i casi; si tratta di un concetto incoerente!”
Per essere moralmente responsabile, devo imperativamente essere l’ultima fonte della mia decisione, ma questo è possibile solo se nessuna influenza precedente ha potuto influenzare questo o quel risultato, in altre parole questo risultato “sarà davvero mio” se non subisce nessuna influenza.
Per far si che un agente umano possa essere ritenuto legittimamente responsabile per qualcosa che ha fatto, esso deve, in un modo o nell’altro, che la scelta dell’azione svolta dall’agente non sia determinata dal totale di tutte le condizioni fisiche (componenti) che esistevano prima di questa scelta (risultante) !
In molte occasioni, l’esecuzione delle nostre azioni è controllata da processi non coscienti. L’impressione soggettiva di ciò che ha avviato un’azione e dal momento in cui è avvenuta, puo essere falsa. E ‘altrettanto facile servirsi da tali fatti, utilizzando i dati dalla psicologia sociale, per giustificare una revisione del concetto tradizionale della responsabilità umana. Ma se dei fattori sconosciuti al nostro pensiero cosciente influenzano la forma assunta dalle nostre azioni, siamo a questo punto veramente responsabili delle nostre azioni?
N.B. -In realtà, il cervello funziona al contrario, fa delle ipotesi, sceglie un repertorio di decisioni possibili e cerca negli elementi del mondo la conferma o smentita le predizioni che conducono a queste decisioni.
Dai risultati degli studi che emergono della neuroscienza risulta che l’attività mentale è interamente causata dall’attività del cervello. Il cervello è responsabile sia la conoscenza che ho del mondo, cosi come del mio comportamento. E quindi l’impressione che tutti noi abbiamo di controllare il nostro cervello -esserne al comando- è pura illusione: non sono io che guido il mio cervello, ma piuttosto il contrario che succede ! Da meditare…..
Molti docenti universitari (Joseph Ledoux, Damasio, J.P.Changeux, A.Berthoz, G.Tononi, J.P.Levy, M.Gazzaniga, P.Buser, ecc… e persino un filosifo : Daniel Dennett…) sono pressoché unanimi nel dire che tutti i contenuti della nostra mente (pensieri) sono soggettivi, e il potere della scienza deriva dalla sua capacità di verificare quello che puo’ RAZIONALMENTE -MEDIANTE LA SUA RIGOROSA METODOLOGIA- ESSERE COERENTE IN MOLTE SOGGETTIVITA’ INDIVIDUALI ! Evitando cosi di confondere lucciole con lanterne…..
Ammetto la mia ignoranza filosofica, per cui perdonate eventuali bestialità.
Ho seguito il vostro scambio di idee e mi pare che manchi qualcosa alla base, che quest’ultimo intervento di Pendesini sfiora: di chi stiamo parlando? cioè, chi è che dovrebbe essere libero o non libero? chi sono io? sono il mio corpo? sono il mio cervello? sono alcuni neruroni del mio cervello (altri magari non sono utili a definire la mia identità)? sono il mio stomaco (adesso ho fame, sento che le mie prossime decisioni potrebbero essere molto influenzate dal mio stomaco…)? sono i miei geni, che hanno costruito l’impalcatura del mio cervello e del mio corpo? sono le condizioni ambientali che ho sperimentato, che interagendo coi miei geni e ciò che già esisteva di me, hanno plasmato il mio cervello e il resto del mio corpo?
Credo che capire che cosa intendiamo quando parliamo di individui sia necessario anche per capire dov’è il confine del libero arbitrio. Ad esempio, se una scelta è dettata dai miei geni, è libero arbitrio se io sono i miei geni (o sono anche i miei geni), mentre non è libero arbitrio se i miei geni sono qualcosa di estraneo rispetto a me.
“Credo che capire che cosa intendiamo quando parliamo di individui sia necessario anche per capire dov’è il confine del libero arbitrio. Ad esempio, se una scelta è dettata dai miei geni, è libero arbitrio se io sono i miei geni (o sono anche i miei geni), mentre non è libero arbitrio se i miei geni sono qualcosa di estraneo rispetto a me.”
Credo, sotto certi aspetti, di poter concordare – se ho capito bene quanto affermi – nella misura in cui per me vale il principio ‘noi pensiamo così come pensiamo perché siamo fatti così come siamo fatti’, geni compresi ovviamente. Determinismo allora, nessun margine di libertà? Sì e no. Sarebbe puro determinismo se considerassimo il nostro corpo un organismo vivente simile in tutto e per tutto a quello degli animali e non con certe caratteristiche diverse (diciamo subito, non inferiori, solo diverse) da quelle umane. Ogni essere vivente è dotato dall’evoluzione di istinti vitali che determinano il suo comportamento, con nessun margine di libertà nel senso di poter cambiare la funzione di questi istinti con un atto consapevole… e ciò vale anche per l’uomo. Con una differenza però: tra gli istinti vitali propri della specie umana esiste anche quello – in continua evoluzione come qualsiasi altro istinto – costituito dalla facoltà di pensare, cioè di emettere giudizi, di avere delle consapevolezze, di organizzare la propria esistenza intervenendo su di sé e sull’ambiente che lo circonda, ecc…. il tutto – tornando al punto di partenza – secondo meccanismi/chimismi di natura puramente biologica. Quindi, determinismo perché i nostri comportamenti sono determinati da istinti…
ma, ENTRO I LIMITI PROPRI DELLA CONDIZIONE UMANA, anche libertà (‘libero arbitrio’ mi suona male perché mi rimanda alla ‘libertà’ che il credente ritiene di esercitare in quanto donatagli da dio 🙂 ) come possibilità, sempre entro questi limiti, di autodeterminarsi. Soprattutto di rappresentarsi e narrarsi il mondo: di interpretarlo. Altrimenti, come faremmo a star qui a parlare di determinismo e libertà?
(Tra queste consapevolezze c’è poi quella della precarietà e finitezza dell’esistenza individuale, con conseguenze che a mio (e non solo mio, ovviamente) parere ‘spiegano’ tra l’altro il sorgere delle religioni. Ma questo è un altro discorso).-
Anche il concetto di libero arbitrio è un prodotto dell’attività del nostro cervello. che si è costruito evolutivamente fino a quello che ci ritroviamo in testa. Sia la sua grandezza sia il suo limite cominciano e finiscono con lui (che si dà il voto da solo). Per es. le varianti genetiche (ereditarie) del recettore NMDA (che modifica la trasmissione sinaptica) si pensa possano contribuire alle manifestazioni della schizofrenia. Il “libero arbitrio” di uno schizofrenico sarebbe perciò “condizionato” (determinato) dal DNA che codifica per quel recettore, e sarebbe diversamente “libero” rispetto al tuo.
Anche il concetto di libero arbitrio è un prodotto dell’attività del nostro cervello. che si è costruito evolutivamente fino a quello che ci ritroviamo in testa. Sia la sua grandezza sia il suo limite cominciano e finiscono con lui (che si dà il voto da solo). Per es. le varianti genetiche (ereditarie) del recettore NMDA (che modifica la trasmissione sinaptica) si pensa possano contribuire alle manifestazioni della schizofrenia. Il “libero arbitrio” di uno schizofrenico sarebbe perciò “condizionato” (determinato) dal DNA che codifica per quel recettore, e sarebbe diversamente “libero” rispetto al tuo.
Si confonde spesso libero arbitrio, con libertà e con responsabilità, che sono tre concetti filosoficamente molto diversi che Pendesini mescola allegramente e su cui non entrerò in quanto complessi e d’altronde ininfluenti.
Il discorso è semplice: io mi percepisco come un individuo, come un io, come un’unica persona.
E’ ovvio che sia la genetica sia la mia storia personale sono fondanti, nel senso che senza di esse io non sarei pensabile, ma, appunto, esiste quel margine di diversità per cui io non sono solo il prodotto del mio ambiente pur essendo inconcepibile senza di esso ed è proprio, dal punto di vista soggettivo, questo mio io con cui io misuro e agisco e penso il mondo.
Determinismo vuol dire che qualsiasi cosa succede in natura, e nel mondo umano, è completamente deciso da altre cause (non influenzato o commistionato ma deciso come se fossimo dentro una macchina).
Se non esiste margine di libertà (e non per forza di libero arbitrio che è altro conto, ovvero riguarda il problema del bene e del male che ora non ci interessa), noi siamo totalmente in balia di ciò che ci determina, e se siamo in balia di ciò che ci determina ritornano le 4 contraddizioni precedenti che Pendesini si ritrova davanti e a cui non ha saputo ribattere.
L’unica cosa che poteva ribattere è che io sono determinato da cause altre a non credere nel determinismo mentre lui è determinato da cause esterne a crederci.
Ma, contraddizione delle contraddizioni, a questo punto qualsiasi affermazione in merito alla verità (anche semplicissima e tangibile) di qualsiasi cosa non può più essere fatta, perchè, essendo determinati, non siamo in gradi di stabilire qualsivoglia minima verità; ergo Pendesini non può nemmeno affermare la verità del determinismo.
Che la coscienza, come poi mi ammaestra alla fine, è prodotto del cervello è cosa ovvia, ma non è detto che la coscienza, anche se emerge dalla materia, non possa avere un grado di indeterminatezza, visto che, ci insegna la fisica moderna, è la materia stessa ad averla.
@ Silvia BO
Per unificare il linguaggio, mi sono rifatto alla definizione di libero arbitrio che trovi sull’enciclopedia filosofica Treccani del 2009 (anche se per il mio commento è irrilevante) :
libero arbitrio: Capacità di scegliere liberamente, nell’operare e nel giudicare.
Esatto, è per questo che il libero arbitrio riguarda fondamentalmente la sfera del giudizio e dell’etica, non la sfera gnoseologica. Per cui, come ho visto su Le Scienza, parlare di libero arbitrio relativamente al fatto che io scelga l’aranciata invece del tè è una scelta di gusto e non riguarda il libero arbitrio; la libertà è invece la facoltà di agire senza una coazione esterna.
Sul determinismo: ovvio che un determinismo morbido, detto anche compatbilismo, è un dato certo (nessuno pensa che l’agire umano sia libero da motivi fisici e sociali, e le malattie di cui dici sono l’esempio maggiore), ma il determinismo assoluto è invece impensabile (ed è filosofia e non scienza) per le conseguenze contraddittorie di cui sopra e perchè un automa che scopre di esserlo dopo tanti anni di studio sul ruolo della coscienza, è cosa strana.
Se un giorno, per ipotesi, costruissimo macchine autocoscienti (dunque capaci di metapensiero), quelle non sarebbero più automi ma qualcosa di nuovo e diverso.
Gli studi di B.Libet e Chung Sion Soon hanno rivelato che gran parte delle funzioni cerebrali avviene a livello inconscio e che una decisione può essere prevista da qualche millisecondo a diversi secondi prima che la persona ne sia cosciente. Lo studio dell’intenzione (al quale si è interessato M.Gazzaniga, che lo conferma) è diventato sempre più interessante ed ha prodotto risultati molto sorprendenti e contro-intuitivi. Di fatto se si stimola, in una persona normale, la sua area parietale destra a bassa frequenza , avrà la sensazione di avere un’intenzione consapevole ( esempio:”voglio alzare la mano ” ) . Se si aumenta la frequenza di stimolazione in una zona leggermente differente del lobo parietale , il soggetto è consapevole delle sue azioni , nonostante il fatto che non vi era alcuna azione muscolare , vale a dire che non ha fatto niente, ma crede illusoriamente il contrario ( ” ho alzato la mano” ) . Tuttavia, se si stimola la zona frontale , produrrà un movimento complesso , ma senza averne coscienza ! Da questi studi tutto porta a credere che è il cervello inconscio, e non il cosciente , che agisce dietro le quinte !
A questo punto vorrei chiedere a Ermete di dirmi come spiega, preferibilmente in modo intelligibile, questi tipi di comportamenti !
Ti ho già risposto sopra. L’esperimento di Libet riguarda scelte di gusto o scelte immediate, mai scelte ponderate per anni.
Almeno non ricordo che nel campo di quell’esperimento siano trattate scelte su lunghissimi termini.
Se non mi ricordo, presentami la casistica, e visto che ti poni come la scienza ufficiale, sarei curioso di sapere se hai pubblicato qualcosa in peer review realivamente alle scelte su lungo tempo. Se non hai pubblicato niente (cosa che io penso, non hai il modo scientifico di procedere), sarebbe bene che tu finisca di presentarci come scientifica una tua interpretazione filosofica che da questi studi, ben conosicuti da anni, deriva.
Se invece avessi la bontà di risolvere le contraddizioni logiche che ho posto al determinismo forte, sarebbe un piano di discussione paritario e democratico, visto che si parla di agionamenti logici che anche un non scienziato, come sono io ma a quel che è evidente non sei uno scienziato nemmeno tu, può ribattere.
@Caro Ermete (spiacente di dovermi rivolgere ad un ignoto, non conoscere il tuo vero nome e cognome…)
Innanzitutto vorrei precisare che non mi sono mai spacciato per uno scienziato ! Non mi ritengo ne narratore o mitomane ! Sono nato “molto stranamente” con un cervello cognitivo vuoto… Tutto quello che scrivo nei miei commenti non è di mia invenzione o immaginazione, sono appunti che ho preso da fonti accademiche ufficiali mondiali, cioé rapporti di studi neuroscientici avvenuti nelle migliori università mondiali, da non confondere con quelle che si trovano al 200simo posto mondiale…., da quello che ho studiato, che ho letto, da video ben documentate e dalle decine di conferenze di neuroscienza (e non solo) alle quali ho potuto assistere durante questi ultimi sei anni !
P.S. -Considero il tuo ultimo commento non solo cinico, volontariamente umiliante, ma anche indegno di una persona rispettosa e equilibrata !
A me interessa imparare, conoscere, scoprire e non mettermi in competizione con chi ritiene “averlo più lungo” ! A questi livelli non credo avere problemi. Sperando di essere stato chiaro…..
Sans rancune ?
Pendesini, sei tu che per primo, ad una mia educata replica in cui evidenziavo le contraddizioni logiche del detrminismo forte, mi hai tacciato di antiscientificità (ignorare la scienza), come se il depositario della scienza (che peraltro non esiste, semmai esistono le varie scienze) fossi tu, e così l’arroganza dialettica mi è servita per smontare questo straw man su cui ti piace giocare.
Detto questo, visto che ti piace il confronto, devi ancora dirmi:
a) se l’esperimento di Libet considera nei campioni anche le decisioni su tempi lunghi (e, ti ripeto, a me pare di no ma posso sbagliare…e qui si sta parlando davvero di scienza e non di filosofia spacciata per scienza quale è quella che stai facendo tu, e visto che sulla scienza c’è sempre da imparare aspetto un parere scientifico competente, e dunque volevo informarmi sulla tua competenza) in modo da poter poi trarre implicazioni filosofiche come le tue (determinismo forte) o comunque provare ad argomentare, ma non lo faccio per non mettere troppa carne al fuoco, che nemmeno in quel caso avremmo il determinismo forte (che peraltro non affascinava nemmeno Libet a quel che so io)
b) rispondere puntualmente alle 4 contraddizioni e ala contraddizione madre che trovi nei commenti sopra, che evidentemente con arroganza (quella stessa che imputi a chi ti riponde con decisione) evidentemente hai sorvolato.
Tu mi hai chiesto come spiego quell’esperimento e io ti ho puntualmente risposto, sei tu che non stai andando sui punti precisi che ti sono stati confutati, e razionalità vuole che la dialettica verta sui punti e non su qualche affermazione apodittica, su qualche punto esclamativo, e tantomeno sulla tua sensibilità offesa o su qualche credenziale che sa di autoreferenzialità.
P.S.
La questione dei nick. A parte che io malaugaratamente mi chiamo davvero Ermete, ma poi, scusa, finchè uno non faxa un documento di identità anche un nome e cognome può essere un nick…se io mi fossi messo di nick Giulio Bianchi sarebbe stato un nick. Dunque, oggettivamente e finchè uno non presenta un documento, anche Alessandro Pendesini può essere un nick e non un nome reale. Quindi, visto che ridurci a chiedere i documenti l’uno all’altro sarebbe imposssibile oltre che squallido, io inviterei a lasciar perdere certi ridicoli moralismi che nulla hanno a che vedere con quel che stiamo discutendo, nè in senso scientifico nè filosofico.
Senza rancore a questo punto lo chiedo io a te 😉
Chiedo scusa per l’off topic
@Ermete
Spiacente dirti che i tuoi ragionamenti filosofici -molto confusi- non mi hanno minimamente convinto ; non rispecchiano l’esito degli studi accademici delle migliori università mondiali, tra le quali la celebra Max Planck di Francoforte !
P.S. -Ti invito a leggere l’eccellente articolo « Abolito il Libero Arbitrio – L’Espresso » (see Google). Particolarmente le risposte del neurofisiologista Wolf Singer direttore dell’istituto Max Planck ! Se, dopo aver letto questo articlo non sei comunque convinto, posso proporre al professore Axel Coeremans (che conosco molto bene) direttore del dipartimento di neuropsicologia presso l’Universita Libera di Bruxelles che accetti la tua presenza nell’auditorium dell’ULB nel quale dovrai sostenere le tue tesi che validano il Libero Arbitrio, in lingua francese o inglese. Se riuscirai a convincere A.Coeremans e diversi suoi ricercatori, mi faccio forte di rimborsarti personalmente tutte le spese del viaggio e soggiorno !
Aspetto quindi una tua risposta su questo sito o in separata sede.
Intanto ci si va appellando al principio di autorità e non si è in grado di discutere sui punti.
L’articolo non mi pare risolvere nessuna delle contraddizioni evidenziate nel discorso con te, nè evidenziare quando e dove Libet ha usato esperimenti su lungo tempo di scelta e mi pare proprio, negli esempi, confondere il libero arbitrio con la scelta estetica (ovvero puramente legata alla sensazione, come vuole il termine, dunque anche del gusto).
Non ti faccio i nomi degli scienziati compatibilisti perchè, in un confronto puntuale, sfidare a tenzone a Bruxelles a spese proprie a discutere con un accademico un nick conosciuto su un blog e/o presentare qualche nome sparato qua e là di accademici mi pare proprio arrivare al ridicolo…e, caro Pendesini, finchè non mi rispondi con parole tue sui punti espressi nei commenti precedenti oppure obiettando su queste mie valutazioni dell’articolo, a me di toccare il ridicolo non va proprio. A te evidentemente piace, ma è questione di gusti e non di liberi arbitrii 😉
Per contribuire alla discussione in senso maggiormente tecnico metto un link anche io. L’articolo è del 2005 dunque leggermente successivo al 2004, che è l’anno dell’articolo che ha messo Pendesini
http://www.swif.uniba.it/lei/filmod/N1/interviste.html
Dalla questione 5 in poi si trova analizzato in modo molto più problematizzato il discorso del libero arbitrio (e si dirimono le confusioni tra esso e il gusto).
Faccio presente che gli intervistati sono Silvia Morante ( allora docente di Fisica Biologica, Università di Roma “Tor Vergata”) e Giancarlo Rossi ( allora docente di Metodi Matematici della Fisica, Università di Roma “Tor Vergata”), ma si chiama ‘intervista filosofica’, appunto essi stessi sanno di parlare di problemi filosofici -o meglio di epistemologia, che è la stessa cosa che fa Pendesini- e non di teorie scientifiche perchè quelle che stiamo facendo sono implicazioni filosofiche della scienza e non scienza.
@Ermete
Vorrei farti notare che certe risposte che solleciti tempestivamente, si trovano nei miei commenti precedenti. Conosco relativamente bene gli studi di Libet. Ritengo pero che commentare su questi studi (e non solo), necessiterebbero lunghi interventi, e che sarebbero inoltre off topic. Rinvio quindi queste mie eventuali risposte quando l’UAAR deciderà (forse) di postare un articolo relativo al Libero Arbitrio su questo blog….
Per farla corta ed evitare polemiche sterili : se ritieni pertinenti le risposte date da Wolf Singer citate nell’articolo di l’Espresso, allora dico che noi due guardiamo più o meno nella stessa direzione, e che gli eventuali malintesi sono più dovuti alle difficoltà che incontro scrivendo in italiano, che sulle rispettive convinzioni personali.
Preciso che ritengo la nostra libertà una libertà biologica : « io » sono «le mie sinapsi », nientaltro che l’attività del mio cervello in costante interazione e cambiamenti con il mondo e gli altri. La mia personalità è, in grand parte, la risultante di queste interazioni.
P.S. Non ci sarebbe niente di ridicolo partecipare ad una conferenza che avverrà prosssimamente a l’ULB di Bruxelles sul Libero Arbitrio, ed esporre le proprie visioni e/o critiche in merito ! Ho personalmente, a diverse riprese, potuto chiedere chiarimenti e/o commentare su certe tematiche scientifiche a diverse conferenze, e non mi sono mai sentito ridicolo ! a volte solamente ignorante …