Oggi è la Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il 20 novembre ha visto per due volte l’Assemblea generale delle Nazioni unite compiere all’unanimità passi fondamentali per i bambini: nel 1959, con l’approvazione della Dichiarazione dei diritti del fanciullo, e nel 1989, quando con la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia si passò da pur importanti proclami a più concreti obblighi che gli stati sottoscrittori si impegnano a rispettare. E che paesi come l’Italia a sufficienza non rispettano, perché ai diritti dei bambini continuano a preferire le relazioni con la Chiesa.
Parte integrante della convenzione è l’istituzione del Comitato sui diritti dell’infanzia, che verifica i rapporti periodici che gli stati membri sono tenuti a presentare. E proprio da questi esami emergono pesanti bocciature dell’Italia su due fronti di enorme rilievo: la discriminazione infantile nella scuola pubblica e gli abusi sessuali.
Nelle osservazioni conclusive 2003 il comitato Onu striglia il nostro paese in quanto “i bambini, soprattutto nelle scuole elementari, [possono] essere emarginati se si astengono dall’insegnamento religioso, incentrato essenzialmente sulla confessione cattolica” e raccomanda al governo che faccia in modo che i genitori “siano a conoscenza della non obbligatorietà dell’educazione religiosa cattolica”. Nelle osservazioni 2011 la dose viene rincarata, e il comitato Onu esprime preoccupazione “poiché la libertà dei minorenni di ricevere o meno l’insegnamento della religione nella scuola materna, primaria e secondaria può essere compromessa, nella pratica, dalla mancanza di valide materie alternative e dall’assenza di informazioni”. Seguono raccomandazioni specifiche per garantire che “l’educazione religiosa sia realmente facoltativa” e che siano “disponibili informazioni in tutte le lingue straniere più diffuse”, oltre che per “ studiare, identificare e documentare buone pratiche sulle alternative all’insegnamento della religione cattolica e, sulla base dei risultati di tale indagine, di considerare l’opportunità di inserire insegnamenti alternativi nei curricula nazionali”.
Parla il comitato Onu sui diritti dell’infanzia, ma sembra di leggere comunicati dell’Uaar, che con la campagna Ora alternativa ha sempre ribadito i medesimi concetti. Oltre a passare all’azione. La più che decennale inerzia dei governi italiani di fronte a questi moniti pesanti come macigni è stata infatti interrotta per merito dall’Uaar con due storiche vittorie legali, che hanno visto condannato il Ministero dell’istruzione per violazione dei diritti all’istruzione infantile e alla libertà religiosa. Prima nel 2010, al Tribunale di Padova, poi lo scorso settembre, al Tar del Lazio.
Passiamo alle più recenti osservazioni 2019 sullo stato dei diritti dell’infanzia in Italia. È presente un capitolo dedicato agli abusi e allo sfruttamento sessuale, dove il comitato Onu punta l’indice sui “numerosi casi di minorenni che hanno subito nello Stato parte abusi sessuali da parte di personale religioso della Chiesa cattolica e il basso numero di indagini e procedimenti penali”. Tra le raccomandazioni che vengono fatte al nostro governo, quelle di “istituire una commissione d’inchiesta indipendente e imparziale per esaminare tutti i casi di abuso sessuale perpetrati nei confronti di minorenni da parte di personale religioso della Chiesa cattolica”, di “rendere obbligatoria per tutti, anche per il personale religioso della Chiesa cattolica, la segnalazione di qualunque caso di presunto abuso sessuale commesso su minorenni alle autorità competenti dello Stato parte” e, soprattutto, di “intraprendere tutti gli sforzi vis à vis con la Santa Sede per rimuovere gli ostacoli all’esecuzione di procedimenti penali efficaci nei confronti di personale religioso della Chiesa cattolica sospettato di aver commesso abusi sessuali su minorenni, così come disposto nei Patti Lateranensi rivisti nel 1985, al fine di combattere l’impunità di tali atti”.
Le rampognate che a più riprese il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia ha dato ai governi italiani dovrebbero far pensare a una soluzione più lineare, al passo con la modernità e con il concetto di un paese laico e civile. Che in un colpo eliminerebbe la discriminazione infantile causata dell’insegnamento religioso cattolico nella scuola pubblica e gli ostacoli all’azione investigativa e giudiziaria per abusi su minori quando c’è di mezzo un appartenente alla Chiesa. Le relazioni malate vanno interrotte, anche se sono trattati internazionali. La Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sia l’occasione per pensare alla mossa giusta da fare. È il primo degli obiettivi dell’Uaar: la denuncia unilaterale del Concordato.
Roberto Grendene