Al grido di «Aborto libero, sicuro e gratuito», il 28 settembre scorso – Giornata internazionale dell’aborto sicuro – le strade di molte città latinoamericane sono state attraversate da fiumi di attiviste di verde vestite. Verde, come verde è il colore della campagna in favore dell’aborto legale e sicuro in Argentina, che il 30 dicembre del 2020, con l’approvazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, ha centrato il proprio obiettivo.
Con quel passaggio storico, il Paese è entrato a far parte del ristretto novero di Stati latinoamericani che riconoscono il diritto all’autodeterminazione delle donne nelle prime settimane di gestazione, sei in tutto: oltre all’Argentina, l’Uruguay, Cuba, la Guyana, la Guyana francese e Porto Rico.
Sette sono invece quelli che prevedono un divieto assoluto: El Salvador, Haiti, Honduras, Nicaragua Jamaica, Suriname e Repubblica Dominicana.
Gli altri si situano nel mezzo, con legislazioni più o meno restrittive. Il lavoro da fare per colorare di verde tutto il Continente è dunque moltissimo. Ma alcuni eventi di queste ultime settimane lasciano ben sperare.
Come noto, in Messico (dove ogni Stato ha la propria legislazione in materia di aborto) due recentissime sentenze della Corte suprema hanno acceso le speranze del movimento per l’aborto legale e sicuro. La prima ha dichiarato incostituzionale la legislazione del Coahuila che criminalizza l’aborto nella prima fase della gravidanza. La seconda ha giudicato incostituzionale l’articolo dello Statuto del Sinaloa secondo cui la vita inizierebbe al momento del concepimento. Sebbene non comportino un’automatica modifica delle leggi vigenti negli altri Stati messicani, rappresentano un precedente importantissimo anche per il resto del Paese.
Il 28 settembre, poi, mentre i fazzolettoni verdi sventolavano per le strade di Santiago del Cile, Bogotà, Città del Messico, Caracas, Lima e San Salvador, la Camera bassa del Congresso cileno ha approvato un progetto di legge che depenalizza l’aborto entro le 14 settimane di gravidanza.
Attualmente in Cile le donne possono abortire solo in caso di stupro, pericolo di vita per la donna e gravi malformazioni fetali: tre “conquiste” avvenute solo di recente, nel 2017, grazie alla spinta del secondo governo di Michelle Bachelet. Fino ad allora l’aborto era proibito in tutti i casi, come stabilito, poco prima di lasciare il potere, dal dittatore Augusto Pinochet.
Il progetto di legge deve ancora essere approvato dal Senato ma le donne cilene – e con loro quelle di tutto il Continente – martedì scorso avevano decisamente qualcosa da festeggiare.
Ingrid Colanicchia