Una studentessa di religione islamica dell’istituto alberghiero di Rimini si è vista negare il tirocinio presso un hotel. Le regole interne dell’albergo impediscono infatti di mettere a contatto con la clientela personale velato. La ragazza, scrive Repubblica, in tal modo rischia però di non poter sostenere gli esami.
Raffaele Carcano
E se un domani non la assumono per lo stesso motivo gli fà causa?
La ragazza rischia ? Basta che si tolga il velo quando sta lì, e se lo rimette quando esce !
Dov’è il problema ? Se poi non se lo vuole levare non fa gli esami la scelta è sua.
Perché cambiare le regole per fare un favore e lei e lei non vuole rispettare una norma per convenienza ? La sau religione non mpone il rispetto per gli altri ?
L’ultima domanda è retorica, ma la risposta è negativa.
se quell’albergo ha quelle regole, ossia niente copricapi mentre si lavora a contatto con il pubblico, qual e’ il problema?
cosa diversa e grave se ammettessero veli da suora e proibissero veli islamici
comunque mi sembra strano che sia un fulmine a ciel sereno: negli alberghi di un certo livello (che mi e’ capitato raramente di frequentare) c’e’ addirittura la divisa: studiare in un istituto alberghiero e non essersi posta questo problema mi sembra strano
In certi paesi del medioriente la divisa c’è, e prevede il velo obbligatorio per il personale femminile.
Chissà, magari da qualche parte in Iran c’è una ragazza disperata perchè per poter uscire di casa e frequentare la scuola è costretta ad indossare il velo; e mi sembra esattamente la stessa vicenda di Rimini.
Questo vale per chiunque in qualunque ambito. Se un usciere, o guardia giurata, vigile urbano o quant’altro prevede una certa divisa, certamente non ci si può indossare un giubbotto di pelle per esempio.
Ciao a tutti.
non mi sembra esattamente la stessa vicenda: il velo e’ anche simbolo di sottomissione della donna (dove vige ancora oggi, mi sembra una imposizione riservata solo alle donne)
non portare alcun copricapo in ambito lavorativo, sia uomini che donne, o portarne uno entrambi (vedi la divisa della polizia), non mi sembra discriminatorio per genere
Da quanto ho capito, si trattava di uno stage scolastico: gli studenti non dovevano portare una divisa dell’hotel.
Questo vuol dire che se la scuola non prevedeva una divisa, o se comunque ha permesso durante tutta la durata dei corsi di portare il copricapo, non si capisce a che titolo si sia imposta ora la rimozione del velo.
Per quello che riguarda invece l’ambito lavorativo, ricordo che in Italia la legge prevede che il datore di lavoro non possa imporre un particolare abbigliamento, se non quando è necessaria una divisa (e la necessità dev’essere dimostrata), o per particolari obblighi derivanti da normative igieniche o di sicurezza.
>non si capisce a che titolo si sia imposta ora la rimozione del velo.
Te lo spiego io, e la ragione é chiarissima a tutti qua, ma per ipocrisia e malafede pochissimi hanno il coraggio di ammetterlo…la ragione, o meglio, le ragioni sono:
-razzismo
-islamofobia
due monete che purtroppo nel ‘libero e democratico occidente’ hanno fin troppo valore corrente, come molte ‘esternazioni’ di questo sito dimostrano…
@suleiman kahani
La terza moneta che per malafede o per ipocrisia, ha TU omesso di nominare, e’ il principio di UGUALIANZA tra uomo e donna.
@Paul se esiste un principio d’uguaglianza tra uomo e donna, come mai io posso vestirmi come mi pare, mentre sembra che alle donne che vogliono indossare il velo questo diritto venga sempre più negato ?
@Leonardo
E’ lo stesso velo che rappresenta una violazione del Principio di Ugualianza tra uomo e donna…Chiamarlo diritto suona addirittura assurdo.
Un po’ come il diritto ad indossare una catena…O il diritto di essere legati al letto…O il diritto di avere un nastro da pacchi attaccato alla bocca. 😉
Esatto: se a me piace essere legato al letto, nessuno mi può negare questo diritto.
E’ come il diritto di rifiutare una trasfusione di sangue (che ti salverebbe la vita), o quello di rifiutare l’idratazione forzata: c’è chi reputa assurdo ed inconcepibile che una persona accetti d’andare incontro alla morte, e pretenderebbe di decidere al posto dell’interessato.
Se una persona vuole portare il velo per sentirsi inferiore (o magari per un suo personale senso del pudore: un po’ come altri portano le mutande), piuttosto che fare sesso incatenati o legati al letto, sono fatti suoi.
Bisogna vedere se per legge il regolamento interno ha validità generale sul discorso del velo.
Capita spesso -è capitato anche a me in passato- che aziende impongano alcune cose che in realtà non potrebbero e, per fare un esempio, a quel che so io non ti possono impedire di tagliare i capelli (semmai di tenerli raccolti nei casi in cui l’igiene lo richieda); oppure, altra cosa che mi spiegarono a suo tempo quando ero più giovane ed insofferente della disciplina, la divisa serve o per ragioni igieniche o per identi f i care immediatamente il dipendente.
Non so se possa arrivare a legiferare fino a questo livello, cioè proibire un velo che lascia libero il volto.
Ci vorrebbe qualcuno che ha nozioni specifi c he di diritti dell’impresa e del lavoratore (credo che per il tirocinio valga lo stesso, se non ancor più morbido) per evitare che discutiamo senza sapere precisamente e ‘positivamente’ la legge in questione; altrimenti diventa un’arena in cui ognuno dice la sua, quando l’ultima parola spetta ad uno che conosce la materia.
sì, giusto
il concetto comunque deve essere che il motivo religioso non vale come forzatura “ammissibile” di una regola che invece vale per tutti gli altri (velo, kippa’, cappellino della Juve, cappellino di un partito, ecc. devono essere posti sullo stesso piano per la legge)
Grendene, non avevo letto la tua risposta.
Concordo: se si lascia l’hijab si deve lasciare a chi vuole il cappellino della juve o di qualsiasi partito a parte quelli fascisti vietati dalla Costituzione, anche se poi qua spesso in un modo o nell’altro si è derogato ma è altro discorso, quello dell’anticostituzionalità dei fascisti, che non riguarda UAAR.
Se si riconosce la preminenza del fattore religioso su qualsiasi altro (anche fosse il semplice benessere personale nel caso di un indumento che piace) la laicità salta.
E’ vero, ma deve valere anche il contrario: il fattore religioso non deve essere discriminazione positiva, ma nemmeno negativa.
Un esempio per spiegare meglio sui regolamenti interni, anche se non direttamente correlata.
Anni fa in un albergo ove lavoravo il datore di lavoro, dopo l’assunzione da notare bene questo che è importante, ci fece firmare un regolamento interno, per cui se si arrivava in ritardo si pagava una penale e se qualcuno veniva pescato a bere bevande alcoliche tutto il personale veniva multato per la colpa di uno, per responsabilizzarci diceva il titolare.
Un collega portò il foglio al sindacato dove gli ci spiegarono che quel regolamento interno era carta straccia perhè non contemplato in alcuna giurisdizione anzi in contrasto con essa e non contava nulla averlo firmato; e, all’atto pratico, avevano ragione.
Spostando la questione su questo caso, bisogna vedere se quel regolamento interno sia valido ( ho notato che di solito ti dicono, per precisi motivi igienici o di riconoscimento, cosa devi mettere e non cosa non mettere a meno che ciò che metti non sia in linea col lavoro…orecchini e anelli in cucina per l’igiene ad esempio ma mai per arbitrio), anche se, e qui torna il punto che avevo evidenziato, prima dell’assunzione credo che il datore di lavoro abbia piena libertà di scelta, se assumerlo o no, sul potenziale dipendente.
Non so però come funziona per un tirocinio alberghiero.
Per un esercizio pubblico e’ importante l’immagine che di esso danno i dipendenti a contatto col pubblico, ossia con la clientela effettiva e potenziale.
Percio’ secondo me appre legittimo in via di principio che possa imporre uniformi o, senza arrivare alle uniformi anche che richieda uno STILE CONSONO all’immagine che la direzione vuole proiettare.
Dunque Il velo puo’ essere escluso da un esercizio pubblico per una questione di immagine senza che si arrivi ad imporre una uniforme.
Esempio, per il mio hotel ammetto qualsiasi abbigliamento purche’ elegante e moderno.
E chi non ci sta pazienza, non chieda privilegi in base alle sue ubbie religiose o tribali, o al suo cercare di dimostrarsi alternativo o peggio antagonista.
Appunto. Io trovo abbastanza surreale che la ragazza si scelta un ambito lavorativo dove si è così a contatto col pubblico e che si basa tanto sull’immagine.
E’ vero Marcus Prometheus.
Qua c’è una terza parte oltre al datore del lavoro e al lavoratore: il cliente, per cui comunque l’albergatore non può penalizzare l’introito per le esigenze di abbigliamento del personale.
In genere chi sta al pubblico -reception, baristi, camerieri- porta sempre una divisa o comunque, a mia esperienza, veste, finchè sul lavoro, secondo lo stile che l’albergatore ritiene più consono alle aspettative della clientela.
Ora, se si lascia il velo, anche se sobrio, si dovrebbe lasciare qualsiasi altro copricapo purchè non troppo appariscente: io non ci vedrei nulla di male, come non vedrei nulla di male nel vestirsi abbastanza liberamente (entro i limiti della decenza, di solito il datore di lavoro non vuole che si tengano cose che rimandano, nell’immaginario comune, ad una certa sciattezza, esempio i piercing). Tuttavia un conto è parlare per princìpi un conto parlare in maniera concreta, cioè pensando all’introito e, dunque, alle esigenze del cliente, le quali vanno previste e tenute in conto, anche se non ci trovano d’accordo, giacchè nessun cliente=zero lavoro.
Per concludere: se lasciasse a lei portare il velo, il titolare non potrebbe dir nulla a me se mi tengo un cappello, a patto che non si dia motivo privilegiato alla religione, cosa su cui nessuno di noi è d’accordo. Se lasciare queste libertà di abbigliamento può creare un danno economico, ci sta che il datore di lavoro eviti tutto questo.
Dunque, pur non sapendo bene i termini di legge sulla questione, credo che per un lavoro al pubblico il datore di lavoro possa avere fondati motivi per non volere il velo, motivi che non ci sarebbero se la ragazza non lavorasse al pubblico ma, ad esempio, in cucina o nella lavanderia dell’albergo.
In una puntata di Forum il datore di lavoro di un’agenzia pubblicitaria aveva imposto alle dipendenti la divisa con la gonna, a una ragazza la cosa non piaceva, tra le motivazioni anche il fatto che la sua mansione prevedeva di fare continuamente le scale al piano superiore con i gradini trasparenti e lei si sentiva continuamente osservata sotto la gonna dai clienti in basso. Non rifiutava la divisa in toto ma chiedeva la versione col pantalone che il capo le negava adducendo che le ragazze stanno meglio in gonna, attraggono più clienti, e lavorando nel mondo dell’immagine si dovevano adeguare alla sua politica. La ragazza vinse la causa. Insomma, non è che per il principio economico del datore di lavoro si possa passare sopra a tutto.
Infatti, Barbara, è un discorso molto complicato, soprattutto in casi estremi.
Di solito la divisa in un locale pubblico serve soprattutto perchè il cliente riconosca subito il personale e non si creino confusioni; sulle regole dell’abbigliamento vale il principio del decoro (pulizia, ordine nel vestire) e non quello della bellezza, altrimenti potrei volere che le dipendenti si vestano da conigliette di playboy per attirare clienti oppure potrei assumere solo ragazze avvenenti e lasciare a casa quelle che lo sono meno meno, cosa che peraltro si veri f ica seppur non con motivazioni esplicite.
Insomma, più leggo interventi più mi accorgo che è un discorso molto molto complesso: l’unico elemento certo è che se si lascia il velo alla ragazza si deve lasciare a chiunque la libertà di indossare un copricapo, sobrio e pulito, per non enfatizzare il motivo religioso sopra altri.
Ma basta con ‘ste false denuncie di discriminazione e con ‘ste proteste per violazione della libertà religiosa!…Che la ragazza mussulmana si adegui alle regole di questo esercizio turistico se vuole fare il tirocinio, gli esami e lavorarci. Non puo’ chiedere deroghe, esenzioni o eventuali privilegi, sulla base della libertà di professare il proprio credo, con tutte le assurdità che questo comprta! Possibile che ogni 3×2 salta fuori il “talebano” credulone di turno che avanza pretese di non conformità alla societa!!?!?…Sarà pur ora di finirla o no!?!?
Per come funzionano le convenzioni per gli stage e visto il clamore suscitato penso che sicuramente si farà avanti qualche altro hotel. Io sono per la libertà di “acconciarsi” perchè la vedo come esito di una emancipazione personale che permette a chiunque di bardarsi come crede, dell’eventuale “ridicolo” o “cattivo gusto” si farà carico la persona stessa, se gliene frega. Detto questo è chiaro che qualunque azienda può scegliere delle regole più o meno blande sull’abbigliamento ed esiste una differenza tra la vita privata e l’ambito lavorativo (o pubblico), differenza che appunto le religioni vorrebbero non esistesse. Aggiungo che, senza fare del “razzismo estetico”, ci sono donne col velo belle ed elegantissime e buzzicone trash col capo scoperto, magari finisce che il velo diventa pure di moda anche per i non musulmani! 🙂 Però un conto è la moda ed un altro un precetto religioso.
In banca, ad esempio, si può andare a lavorare fichi, sportivi e fashionissimi??
Mi pare ovvio, tra un albergo con divisa e uno dove la receptionista porta il velo (rendendomi di fatto difficoltoso il riconoscimento) scelgo il primo.
Se non altro per riconoscere chi ho di fronte.
Beh, però l’hijab non rende difficoltoso il riconoscimento e non esclude la divisa.
A me, come cliente (anche se non sono solito essere cliente di alberghi) non interesserebbe se ci fosse una receptionist col velo (a meno che non sia un velo integrale), mi basterebbe che fosse cortese e professionale.
Sono d’accordo . Pero avendo viaggiato in tanti paesi musulmani per lavoro, non ho visto molte donne con l’hijab al ricevimento negli alberghi . Sono tutte vestite all’occidentale, la maggiore parte dei clienti essendo di provenienza europea o americana ( In Pakistan e in Iran, non ho notato molte donne a lavorare negli alberghi salvo come cameriere )
E’ il solito modo dei fondamentalisti nascondersi dietro i sacrosanti diritti di un cittadino per poi minare la laicità dello stato. Anche i primi cristiani quando finirono le persecuzioni poi furono i primi a reprimere il dissenso con violenza, vedi l’editto di TeodosioI. Le religioni monoteiste chiedono diritti quando non sono al potere, ma poi sono le prime a negarli quando agguantano il potere.
Signori, non ho ancora capito quale sia il problema del collega albergatore verso la ragazza con il velo. Di che velo si parla esattamente? Erano scoperti occhi, bocca, naso?
Se si, non vedo il problema.
Se fosse stata prevista una divisa specifica – ma non è stata prevista quindi mi fermo qui. Dunque?
Che non voglia fra i piedi una persona che è un danno di immagine ambulante? In pratica la ragazza col suo velo dichiara l’inferiorità delle donne…. bella pubblicità per un’attività commerciale.
Diciamolo chiaramente: il posto di lavoro NON è casa tua. Al lavoro ti comporti da persona civile e lasci le tue beghe a casa, se il posto di lavoro prevede un codice di abbigliamento lo rispetti altrimenti ti cerchi un altro posto di lavoro.
Mai gestito un lavoro a contatto col pubblico Davide? Da come parli sembra proprio di no.
Da noi l’ambiente è molto informale, ma quanto arriva il Cliente ci pinguiniamo tutti che sembriamo le foto delle riviste di moda. E’ divertente? Manco pu cavolo. Ma l’immagine nel commercio conta.
Sai per tenerti il posto di lavoro, devi tenerti i clienti…. niente clienti=ditta fallita.
Perchè una azienda dovrebbe rischiare di perdere clienti per andare incontro alle menate religiose dei vari pirla di turno?
Non potrebbe indossare una bella divisina da cameriera anni 30, con cuffia?
Saluti.
Per il riconoscimento basta un badge con foto.
Da un punto di vista strettamente personale, se sapessi che la musulmana alla reception ha dovuto privarsi obtorto collo di un capo di abbigliamento che riteneva necessario e che, trattandosi di un’affermazione individuale e legittima, non mi offendeva in alcun modo, metterei quell’hotel all’indice delle mie personali destinazioni lavorative o vacanziere. Non prima, ovviamente, di aver fatto le mie rimostranze alla direzione.
Sono d’accordo, nonostante l’idea stessa del velo mi faccia venire il prurito al cuoio capelluto, e nonostante lo ritenga una forma di sessismo, peraltro non maggiore della mercificazione femminile delle papi-girls, nei confronti della quale non ho mai sentito albergatori protestare. Visto che nel caso in questione il hijab non pregiudica il riconoscimento della ragazza (non più di un velo da suora) né la sua abilità a svolgere l’incarico né l’eventualità di indossare una divisa, il regolamento interno mi puzza solo di discriminazione su base religiosa.
Fondamentalmente la penso anch’io come voi, e anch’io ora la butterò a titolo esclusivamente personale.
La paura che il cliente possa trovarsi a disagio non credo che dipenda dal fatto che l’hijab indica una forma di accentuata sottomissione femminile; credo che le riserve dell’albergatore siano perchè l’hijab indica qualcosa di esotico e lontano dalla nostra cultura, come fosse un vestito tradizionale.
Fosse diversamente sarebbe giusto che lo specifi c asse anche se è un po’ illogico (e un po’ da polizia del buon costume quantomeno) non assumere una perchè porta su di sè un simbolo di sottomissione. Io ti devo far lavorare, non entrare su come la pensi; questo è un principio cardine del laicismo.
Allora, io non so quanto la clientela sia disturbata da un hijab e quanto invece, per molti altri, sarebbe maggior fonte di disturbo sapere che una ragazza non è stata ammessa a lavorare per questioni così futili; ovvio che la carta dell’albergatore era che tutto questo non venisse mai fuori e risolversi tutte le noie a monte.
Io personalmente non avrei problemi ad avere una receptionist con l’hijab; ne avrei di più con la direzione se sapessi, trovandomi lì, la decisione che è stata presa in base ad un regolamento interno di cui non si vede la necessità effettiva e che sembra tanto una forma di tradizionalismo un po’ retrò.