Una nuova recensione è stata pubblicata nella Biblioteca del sito UAAR. Il volume analizzato è Il crocifisso di Stato, scritto da Sergio Luzzatto e pubblicato da Einaudi.
La redazione
Una nuova recensione è stata pubblicata nella Biblioteca del sito UAAR. Il volume analizzato è Il crocifisso di Stato, scritto da Sergio Luzzatto e pubblicato da Einaudi.
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Ho letto la recensione. “Il crocifisso di Stato” dà informazioni nuove e/o poco note e mi pare un libro molto interessante.
Dalla recensione di Luzzatto:
«Per il primo millennio cristiano, il crocifisso è assente, c’è soltanto la croce.»
Però il crocifisso è già rappresentato nella porta lignea di S. Sabina a Roma (quarto secolo), una delle più belle chiese della capitale (siamo atei ma sensibili alla bellezza).
Non credo si riferisse a poche rappresentazioni, ma all’uso costante e sistematico.
infatti è diverso un crocifisso da una rappresentazione di cristo in croce.
per pignoleria: i battenti in cipresso di s. Sabina, con relativa incisione di un crocifisso, con occhi aperti e senza nimbo, sono del V secolo, così come la stessa basilica, fondata nel 425. Non per nulla siamo a poco anni di distanza dall’editto teodosiano e il crocifisso incomincia a perdere le connotazioni negative e ad avere i primi, seppur rari, riscontri icononografici; che aumenteranno dopo l’accentuazione della rappresentazione di Gesù come umanità sofferente, propagandata nel 696 dal concilio constantinopolitano, e verranno via via a sostituire i primitivi ixtùs, il buon pastore (mutuato dalla tradizione ellenica), il Cristo in trono e quello pantocrator.
Ho letto questo bel libro, e mi sento di consigliarlo. Un agile pamphlet ricco di informazioni utili ed interessanti, scritto con grande passione.
Penso che sia il libro giusto da leggere, in questa settimana di attesa! 😉
il crocifisso non è il simbolo di una religione ma di una nazione.
è vero per la nazione italiana che deve portare la croce …
non ho letto il libro e ho poco capito la recensione. mi limito ad osservare che trovo corretto il titolo se e nella misura in cui sostiene che la questione della presenza o meno in ambienti pubblici del croficisso è questione di amministrazione dello Stato, non certo confessionale (nonostante si continui a far slittare la questione in questa direzione). Non vi sono documenti del magistero che impongono di usare il simbolo della croce negli ambienti pubblici, non è precetto ecclesiastico, non fa parte ovviamente del decalogo (nemmeno nella versione “catechistica”) e non è prassi descritta nelle prime comunità cristiane del NT.
“Non vi sono documenti del magistero che impongono di usare il simbolo della croce negli ambienti pubblici, non è precetto ecclesiastico…”, infatti attualmente il cosiddetto “crocifisso sui muri pubblici (statali!!!)” è solo uno dei tanti “regali-pubblicità” che i venduti politici italiani fanno al Vaticano.
Dal 1861 al 1922 non c’erano simboli religioni, nè nelle scuole, nè negli edifici pubblici.
Non è così. Vedi articolo del prof. Della Torre “E Cavour mise la croce in classe”:
“C’erano simboli religiosi nell’aula della famosa maestrina dalla penna rossa di deamicisiana memoria? Probabilmente sì; o almeno avrebbero dovuto esserci, stando alla normativa allora in vigore. Pochi sanno che il regolamento per l’istruzione elementare del 15 settembre 1860, n. 4336, attuativo di quella famosa legge Casati del 1859 che costituì per un sessantennio la struttura fondamentale del nostro sistema scolastico, prevedeva l’affissione nelle aule scolastiche del crocifisso. La disposizione era destinata a passare sostanzialmente senza soluzioni di continuità nella normativa regolamentare successiva. In particolare, prima di essere ripresa dai provvedimenti dell’età del fascismo (tutti comunque precedenti al Concordato del 1929), essa venne nuovamente ribadita dal regolamento generale dell’istruzione elementare del 6 febbraio 1908, n. 150. Dunque l’esposizione del crocifisso nelle scuole non è frutto della “riconfessionalizzazione” dello Stato che, secondo un giudizio comune ancorché discutibile, sarebbe stata operata dai Patti lateranensi del 1929 o, più in generale, dal fascismo. Né tale esposizione deve farsi risalire agli ultimi governi liberali quando, per usare un’espressione di Gabriele De Rosa, viene meno l’ideale laicista ed è ormai entrato in crisi lo Stato liberale. Le disposizioni in materia hanno invece origine nell’età risorgimentale ed attraversano tutto il periodo del più duro e dilacerante conflitto fra Stato e Chiesa, quando separatismo e una laicità inclinante al laicismo segnano la politica e la legislazione italiana in materia ecclesiastica…”