Poco tempo fa abbiamo commentato la pretesa cattolica di far risparmiare alle casse pubbliche undici miliardi di euro l’anno, anziché costituire un onere quantificabile in oltre sei miliardi, come documento invece l’Uaar. Una parte rilevante di tale pretesa è costituita dalla sanità ospedaliera: oltre un miliardo di euro. Che a un’analisi più attenta rappresenta invece a sua volta un costo. Le cui dimensioni si vanno facendo sempre più impressionanti, a causa del modo dissennato e spesso fuori legge di gestire la sanità da parte degli enti ecclesiastici.
Diversi fiori all’occhiello della sanità cattolica vivono in Italia una pesante crisi. Dovuta soprattutto proprio al meccanismo sussidiaristico e agli stretti intrecci politici tra enti ecclesiastici e settore pubblico. Alla sanità privata cattolica, che beneficia di cospicui finanziamenti tramite convenzioni, viene garantita una posizione dominante proprio grazie al kombinat clerical-politico, con la colonizzazione delle posizioni di responsabilità di uomini molto vicini alla Chiesa e una permeabilità di ambienti che dovrebbe far riflettere. Il caso di Comunione e liberazione che mantiene le leve della sanità in Lombardia è eclatante. Non stupisce che il fiume di denaro garantito dalle amministrazioni pubbliche venga sperperato in operazioni poco trasparenti e si assista a sprechi faraonici. A farne le spese sono i cittadini e coloro che lavorano in questi ospedali, perché a causa della crisi economica, della necessità di tirare la cinghia e dai tagli alla sanità pubblica questo disinvolto sistema non ha ora più liquidità e rischia di collassare.
A Roma il policlinico Gemelli, gestito dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, dall’anno scorso si ritrova con un buco di quasi un miliardo di euro, tra debiti verso banche e fornitori. Gli amministratori del nosocomio danno la colpa alla Regione Lazio, che secondo loro dovrebbe un totale di 820 milioni di euro, ma che non ha fondi sufficienti. Nel corso dei mesi, di concerto con la Regione, è stato avviato un piano di ristrutturazione con tagli e cassa integrazione per i dipendenti.
Altro caso eclatante quello del San Raffaele a Milano, istituto fondato da don Luigi Verzè e al centro di uno scandalo per un crac da un miliardo di euro. Non solo spese pazze e fondi movimentati in maniera opaca, con tanto di accuse di bancarotta per decine di milioni di euro: proprio nella Lombardia ciellina è emerso anche intorno a questo ospedale il coinvolgimento di faccendieri e politici come Roberto Formigoni, con un collaudato sistema di sussidiarietà ‘malata’. Tale da garantire milioni di euro al San Raffaele con atti e delibere ad hoc, grazie a complesse reti di amicizie ad alto livelli tra politici, imprenditori e banchieri accomunati dall’appartenenza alla lobby di Comunione e liberazione.
Alla ribalta è ora anche l’Idi di Roma, l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata gestito dalla congregazione religiosa dei Figli dell’Immacolata Concezione. Anche qui centinaia di milioni di debito e rischio crac. Uno degli esponenti dei concezionisti e per diversi anni nel consiglio di amministrazione, padre Franco Decaminada, è stato arrestato per false fatturazioni. Anche altri amministratori sono stati accusati a vario titolo per reati quali appropriazione indebita e bancarotta. Si scopre tra l’altro l’intreccio di contatti e interessi proprio tra i vari ospedali cattolici indebitati. Proprio Decaminada si era offerto di salvare il San Raffaele, rivolgendosi direttamente al Vaticano tra l’altro già impegnato per impedirne il tracollo. Nel luglio del 2011 il padre concezionista si era rivolto direttamente a monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli affari generali della segreteria di Stato vaticana, con un progetto che metteva sul piatto 200 milioni.
La situazione per l’Idi pare stia cambiando, visto l’interessamento di istituzioni e politici innescato dalle proteste dei dipendenti che non ricevevano gli stipendi da molti mesi. Si sarebbe arrivati a un accordo tra Regione Lazio, Idi e sindacati cui plaude la Santa Sede, per far pagare ai contribuenti la cassa integrazione per i circa 400 dipendenti che erano a rischio mobilità. Tra i registi dell’accordo il cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della Prefettura agli Affari economici del Vaticano. Il quale ha negato che sia intenzione della Santa Sede prendere in carico direttamente il nosocomio: comprendiamo benissimo, è evidente che conviene lasciare il fardello sulle spalle delle istituzioni “laiche” e dei singoli enti religiosi a rischio affossamento.
A fine marzo, guarda caso, il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera, ha firmato un decreto per la vigilanza straordinaria da parte dello Stato con nomina dei commissari straordinari per l’Idi (tra cui Massimo Spina, direttore amministrativo del Bambin Gesù e collaboratore del delegato vicario Giuseppe Profiti), che ha interessato anche Elea. Mentre per altre imprese che non hanno santi in paradiso le istituzioni non sembrano così solerti.
Il caso è eclatante, ma non è isolato. Il favor religionis nei confronti della sanità privata religiosa, accordato dagli amministratori pubblici, ha coperto magagne che sarebbero venute a galla assai prima se fossero state coinvolte strutture private non religiose. Si è invece preferito chiudere entrambi gli occhi, persino di fronte alla palese megalomania di personaggi come don Verzé e padre Decaminada. Ora non è invece possibile chiudere il portafogli di fronte alle necessità dei lavoratori, anch’essi vittime del meccanismo. Che un tale sistema sia portato addirittura a modello della sanità pubblica dovrebbe avere dell’incredibile, eppure non è così. In Italia è la normalità. Una normalità clericale profumatamente finanziata dai contribuenti.
La redazione
“Che un tale sistema sia portato addirittura a modello della sanità pubblica dovrebbe avere dell’incredibile, eppure non è così. In Italia è la normalità. Una normalità clericale profumatamente finanziata dai contribuenti.”
La conclusione dell’articolo descrive e riassume perfettamente la situazione; purtroppo, visto a chi è andato il minestero della Salute, credo che non ci siano speranze di miglioramento.
Non c’è peggior sordo e cieco di chi non vuole sentire e vedere.
“visto a chi è andato il ministero della Salute”
non ci sono peggiori criminali di coloro che, vedendosi scoperti, si fanno sostituire da loro complici…
La sanità religiosa cura tutti,credenti,atei,poveri,abbienti,tra l altro lasciatemi chiosare su un argomento precedente cioè il diritto all aborto della donna in pericolo divita,esso è lecito anche per la dottrina cattolica poiche vi è da scegliere tra due vite e almeno una deve essere salvata,questo concetto fu espresso dall allora cardinale Ratzinge,non credo che Benedettoxvi,e, neanche Papa Francesco la pensino in modo diverso.
F
L’ignoranza si cura con la lettura. La sanità nel tuo caso non può far nulla in ogni modo.
cura tutti, basta che paghino (salato)
a Bologna una delle case di cura più care è questa:
http://www.casacuratoniolo.it/
cura tutti, basta che paghino.
Visto come scrivi, proprio tutti non direi.
Dev’essere stato un sforzo sovrumano mettere insieme tutte quelle lettere del’alfabeto, povero Aluccio. Per giunta con qualche virgola e spazio qua e là!
“questo concetto fu espresso dall allora cardinale Ratzinge,non credo che Benedettoxvi,e, (…) la pensino in modo diverso.”
HA HA HA!!! 😀
(scusate l’errore sul tasto “rispondi”: ovviamente era una risposta ad “ale cattolico” delle 17:44 😉 )
Pubblico è bello e se religioso anche meglio.
La più grande menzogna degli ultimi 20 anni.
Se esistono ospedali privati significa che un ospedale può essere fonte di guadagno. Se diversi ospedali privati sono convenzionati significa che tramite le convenzioni ottengono maggiori guadagni che ad operare sul libero mercato. Gli ospedali della chiesa cattolica non operano quindi in beneficienza come vorrebbero far credere, ma svolgono un’attività lucrativa come si è visto bene col San Raffaele. E approfittano anche delle deroghe ai livelli contrattuali, con minori garanzie contrattuali e minimi salariali più bassi. Poi quando gli affari non vanno bene i debiti diventano pubblici e deve intervenire lo stato o il comune ad appianarli, come si è visto a Milano con l’ospedale San Giuseppe passato dalla chiesa a carico del comune.